"Avrai le tue buone ragioni
per darmi del porco;
ma se con così congruo fervore
le vieni esponendo,
ti esponi al rischio peggiore:
trovarmi d'accordo con te"
Vittorio Sermonti
Con la lingua disegna circoli attorno al mio glande.
Me lo succhia tenendolo con entrambe le mani. Mani piccole, bianche, con lo smalto rosso. No, forse non era rosso lo smalto, non ricordo. Però ricordo quanto fosse brava a fare quello che stava facendo. E ricordo che era bionda. Tutt'altro che un dettaglio per me.
Paragrafo 1, le bionde
Erano anni che non andavo con una bionda. L'ultima era ancora vergine. Io invece avevo quel po' d'esperienza sessuale in più che bastava a rendermi "uomo" davanti ai suoi occhi. Occhi verde-azzurro, i suoi, se ricordo bene. Lei aveva un nome alla francese, era la più bellina del paese, giù a Sud. Era estate, nel borgo sperso tra i monti Alburni, che dalla mia soffitta si vede il golfo di Salerno. Lontano. Sempre troppo lontano. Con in mezzo migliaia d'alberi d'ulivo e sterpi di ginestra e terra secca. Comunque, la bionda più bellina del paese - aveva anche le lentiggini, se non sbaglio - se ne stava sull'orlo della maggiore età mentre, assieme ad un'amica, trovava scuse per passare ogni giorno sotto casa mia provando ad incontrarmi "per caso". E' una tecnica raffinata di forzatura del destino, spinta dagli ormoni e da chissà quali voglie che si agitano tra testa e pancia. Intanto io soffiavo dentro ad un sassofono per non pensare agli esami dell'università, ignaro della di lei brama.
Consumavo pomeriggi caldi in quella soffitta, a petto nudo, saltuariamente assillato dal ricordo di un'altra bionda, la Sexy Bionda, che m'aveva introdotto all'età della post adolescenza con fasi da tossico, proprio l'autunno prima. E vivevo quella concatenazione d'eventi che si legano l'uno all'altro tramite l'inconsapevolezza di ciò che si desidera veramente.
Volendo non ci sarebbe altro da dire, a parte che a ripensarci oggi mi pare tutto come un gioco di carte segnate, messo in atto da un baro astuto, che altro non era che un "me stesso" disperso tra incesti irrisolti, tragedie familiari e rabbia infinita.
E paradossalmente il primo impulso che provo quando mi metto a recuperare la memoria del passato per scrivere è: non scrivere.
Ma scrivere è la mia cura.
Quindi...
Se non suonavo il sax, portavo in giro la mia cagna: Nikita, mastino di razza sbavosa e ansimante per il caldo. Mi trascinava tra le stradine di pietra polverosa inseguendo odori interessantissimi per lei ch'era abituata a pisciare nei parchetti della periferia di Milano.
Avevo addosso una canottiera da basket con sopra scritto "Rockets" quando la biondina più bellina del paese mi incrocia - per caso - e mi saluta. Cos'ho pensato?
"E questa chi è? Mai vista prima".
Ma sì che l'avevo vista, è che non l'avevo notata, tutto qui. Si è sbadati a 23 anni, quando si ripensa ciclicamente alla bionda milanese che ti ha lasciato a bocca asciutta l'autunno prima, facendoti sentire un coglione. Però una nuova biondina, più giovane, la più bellina del paese, ci pensa lei a farti distrarre da quel pensiero. Soprattutto quando ci si mette con impegno. E lei, Berenice, aveva una missione assai precisa in mente. Berenice - che si pronuncia Berenis - un paio di giorni dopo il nostro primo incontro era riuscita a farsi dare da me un passaggio in macchina al paesino accanto al nostro. L'avevo fatta salire sulla Panda di mio Nonno, finestrini spalancati per l'afa, mentre parlavamo di quanto sbavasse la mia cagna, sdraiata sul sedile posteriore. Recitavo la mia parte da super-fico che viene dalla città mentre lei usava un'ironia e una malizia superiore a quanto potessi aspettarmi da una che viveva tra i monti. In ogni caso, la sera stessa, scomparendo agli occhi dei curiosi che sono proporzionalmente il doppio del numero degli abitanti di un minuscolo borgo meridionale, sempre pronti a spifferare a genitori e parenti facilmente propensi all'omicidio "per onore" ciò che sta facendo la propria figlia/nipote, io e Berenice ci stavamo baciando clandestini, mentre un temporale notturno faceva piovere fulmini snellissimi sulle nostre teste bagnate. Appoggiati al paraurti della Panda, nel buio, l'avevo presa per la mano e portata davanti a me. M'aveva seguito perché voleva che tutto ciò accadesse.
Ci si potrebbe scrivere un romanzo intero parlando solo di quell'estate di iniziazione sessuale e di come io, reduce da un'esperienza che m'aveva proiettato nell'età della post adolescenza, stessi diventando lo strumento d'emancipazione altrui.
- Ma che cazzo, Corallo, parli sempre delle stesse storie - mi fa l'amico dei tempi del liceo.
- Ma che cazzo te le leggi a fare, allora? - rispondo io all'amico dei tempi del liceo.
Sempre così. Se c'hai un pensiero costante e lo vuoi esplicitare c'è lì qualcuno a farti notare che sbagli. Allora non parliamo più, dico io. Perché la varietà degli argomenti nella vita non è poi così varia come sembra. Tipo oroscopo: amore, lavoro, amicizia, salute. Forse mafia. E tutte le storie si dividono o in "commedia" o in "tragedia", stop.
- Sì, ma tutta 'sta analisi psicologica che ci metti dentro… - dice ancora l'amico.
- Roba da malati. Sono malato, che c'è di male? Chi scrive solitamente soffre di schizofrenia, non lo sapevi? - dico io.
- Non è vero.
- Beh, forse. Però son cazzi miei, in definitiva. Scrivi una cosa tu e io la leggerò.
Ho iniziato a pubblicare storie sul Blog perché i miei amici non volevano più sentire le mie avventure sessuali/sentimentali. Cioè, sì, ma per sommi capi, senza dettagli. Ma sono i dettagli che rendono interessanti le storie. Viviamo in un paese dove la gente sta nei bar a raccontarsi i dettagli. E poi se non vuoi leggere, non leggere.
Perché non si trattava mica solo di un bacio quello che stavo dando a Berenice. Eh, no. La mia mano era scivolata nei suoi pantaloni attillati per sentire esattamente come fossero messe le cose là sotto.
- Toh, guarda, un imene intatto! Erano anni che non ne incontravo uno.
Infatti il fine di tutte quelle manovre, quelle di lei, erano votate a far scomparire quel brandellino di carne scomoda. Ancora pochi giorni e l'estate sarebbe finita, e per Berenice sarebbe finita come giovane donna non più immacolata.
Con pazienza da killer il mio ruolo non era tanto quello del seduttore quanto quello del soldato in avanscoperta su un territorio zeppo di mine. Stava a me trovare i modi, i tempi e i luoghi per prendere ciò che lei aveva scelto d'offrirmi. Su di me pesava tutta la responsabilità di fare le cose per bene.
- E dove vai? - domandava un amico davanti al bar, con una birra da 66 cl. in mano.
- A fare un giro - rispondevo io con la sigaretta stretta tra le labbra.
- E con chi? - faceva l'amico appizzando occhi pieni di cupidigia.
- Da solo… - dicevo io evitando gli sguardi della gente attorno.
Di tutti quei maschi violenti e campagnoli che si sentivano in diritto d'avere ciò che a me credevano non dovesse spettare. Perché io ero "lo straniero" che veniva da Milano, ossia un intruso nelle dinamiche di paese, dove la verginità della più bellina spettava a chi le annusava il culo, pazientemente, ormai da anni. E non a me.
Sudavo freddo quando alla svolta della curva che divide il borgo dalle campagne lei compariva dall'ombra, veloce come un furetto, salendo nella Panda sgangherata.
Rideva, piena di adrenalina, mi baciava, mi chiamava "tesoro". Scomparivamo nella notte, mentre un padre terrone sentiva nelle budella avvicinarsi la fine della fanciullezza della propria bambina. Ad opera mia, Nelson "o sarracino" Corallo.
- Quanto cazzo te la meni… - dice l'amico mentre legge il mio blog.
Lentamente, col peso dell'ingiuria e della responsabilità, la spogliavo. Acerba, era proprio come un frutto lucido e immaturo, sotto le mie mani abbronzate. Nudi a far l'amore in una casetta di campagna, pietre grezze, luce di torcia elettrica in un angolo mentre un mondo di animali e insetti si muoveva nelle terre là fuori.
Le entravo dentro a fatica, spingendo contro tutte le sue resistenze: gambe snelle che si incrociavano alle mie anziché spalancarsi, morsi sulle labbra per "punirmi" di quel rapimento di verginità, paura vera nei suoi occhi chiari, desiderio rinnegato e quella minaccia mentale che i preti chiamano "peccato", che però quando si è nudi s'è già tradotto in un certo numero di Ave Maria da dire alla sera. E il suo imene, brandello di carne da infrangere.
Un privilegio.
Già avuto in passato, ma ero vergine anch'io, quindi non valeva.
Ora godevo di quel privilegio da un'altra prospettiva, più virile, mentre in paese i vecchi finivano di salutarsi davanti all'unico bar ancora aperto.
Nella casetta di pietra, come non fossi nel mio corpo, aleggiando su quella brandina militare, assistevo alla lotta di dolore e piacere che si mescolano insieme per la prima volta. Ne ero l'artefice, attento ad ogni suono, interno ed esterno, attento a tutto. Un animale da preda notturno.
L'avevo fatta donna.
No.
No, non è un'affermazione, è una domanda: ci volevo io a farla donna? No. Donna lo era già, le serviva solo un mezzo per far affiorare del tutto la propria femminilità. Ed io ero stato il suo mezzo.
Con Berenice continuammo i nostri incontri clandestini, solo che agosto era finito. Avevo messo il sassofono nella custodia, il cane in macchina e avevo salutato mio Nonno tante volte, con quella sensazione che non l'avrei più rivisto, e poi ero partito.
Tornato a Milano ero riuscito a sostituire la bionda di prima con quella ch'era arrivata dopo. Mi ero fatto anche i complimenti, da solo, per come avevo agito nel prenderla, leccarla e tutto il resto. Tanto se provavo a raccontarlo agli amici tutto appariva o come volgare o come oggetto di malcelata invidia. Quindi il mio diario si riempiva di ricordi, in solitudine.
Dopodiché la telefonata di mio Zio, che Nonno era morto.
La biondina più bellina del paese era ancora là. Non erano passati neanche tre mesi che già s'era fatta più femmina. Si dice che quando una ragazza perde la verginità poi lo si vede dal modo in cui cammina. Cazzo ne so. Mentre il corteo funebre finiva il suo mesto percorso, io già fuggivo per santificare la Vita in quella stessa casetta di pietra, spersa nelle campagne, tra le cosce della biondina che adesso muoveva i fianchi senza più così tanta paura. Nessun senso di colpa, anzi, quell'amplesso l'ho dedicato proprio a Rocco de' Ricciardi, sissignore, mio Nonno.
Ma con l'inverno, sotto un cielo freddissimo, anche la bionda Berenice se n'era andata altrove. Giustamente, quando si è stato il primo si deve anche accettare di non essere l'ultimo. Nonostante fosse il Sud, certe regole severe erano ormai parole sbiadite dal tempo. Meglio così. Oltretutto noi non avevamo prodotto alcun frutto del peccato. Anche se qualcosa di me aveva creduto fosse giusto - e possibile - considerare l'accaduto come l'inizio di una lunga, romantica, storia di passione, contrasti familiari, coltellate… e non un evento a se stante. Ho questo vizio dell'amore che non mi passa. E invece ho dovuto accettare la realtà, accorgendomi d'essere stato il fortunato personaggio di un episodio che aveva per protagonista una ragazzina con la voglia di far l'amore, per la prima volta.
Così sono passati gli anni, e la biondina più bellina del paese è diventata una graziosa giovane donna. La vedo raramente. Ma è come se manco la conoscessi, in fondo. Io l'ho avuta quando era poco più che una bambina, e di lei ricordo il modo in cui apriva e chiudeva gli occhi mentre le mordevo un lobo dell'orecchio per distrarla dal dolore della penetrazione che avveniva più sotto. Di lei mi ricordo quel poco di imbarazzo e malizia, oppure l'odore infantile del suo corpo. Di lei, in definitiva, ricordo me stesso, che poi è l'unica cosa di cui mi è sempre importato veramente.
L'atra bionda invece, quella che si sta dedicando con tanta cura a un rapporto orale in mio favore, l'ho conosciuta a Madrid. Solito viaggio in giro per l'Europa, telecamera in spalla per riportare immagini a casa e farci i quattrini.
- Ah, quindi a Madrid studi all'Università? - le dico io.
- Sì, specialistica in … - risponde lei.
- Ah, però vedi lo stesso il nostro programma?
- Sì, in streming.
- Ah...
Sguardi, parole, momenti di tensione a fior di pelle. Ma sul fondo c'è qualcosa che già sa di rancido, di cocktail e vino mescolati assieme. E poi - c'è poco tempo - nudi in un letto di una casa in affitto. Ricordo… perché tutto sta nel ricordo. Perché quando una cosa succede e poi finisce, resta solo nella memoria. Che nel mio caso viene poi trascritta su carta o su altro, ché c'ho la testa così zeppa dei miei pensieri che non c'ho voglia di tenerci dentro pure i ricordi. Però ricordo che aveva gli occhi verdi e che, quel pomeriggio di pioggia incessante che intanto a noi fotteva gran parte delle riprese, mentre cincischiava col cellulare, sullo screen-saver del suo apparecchio mobile ho notato la foto di lei che baciava il suo fidanzato, rimasto in Italia.
Bene, ha il ragazzo ma non lo dice apertamente.
Quindi non ho dato importanza alla cosa.
- Che troia… - dicono le signorine.
- Che me ne fotte - dico io.
Intanto là c'ero io, quindi toccava a me tenerla al caldo, almeno quella notte.
Vino rosso, drink, risate stupide. Io e lei, tra i miei colleghi fidanzati e le sue amiche curiose, indispettite da quell'intimità traditora, a baciarci nel retro di un bar spagnolo. Tra le lenzuola, troppo ubriachi per farlo bene, sufficientemente lucidi per farlo e basta. Bussano alla porta della stanza, è quel coglione del mio compagno di viaggio che vuole fare il simpatico. Me ne fotto altamente, continuo il mio spettacolo privato. Mani sul culo, labbra attorno ai capezzoli, pensieri sfuocati. Anestetizzato dall'alcool, si va avanti un po', fino a quando lei non si sposta di lato, si siede tra le mie gambe e mi ingoia. Mi sorprende accorgermi, nonostante la sbronza, di quanto fosse brava. Proprio brava.
Ed ho la prima vera illuminazione del 2013.
Un pompino non è il semplice atto di prendere in bocca un pene. E' bensì l'arte di far godere qualcuno, che ha un pene, con la propria bocca. Far godere. Considerare il tutto, articolarlo, armonizzarlo. Ecco la differenza tra "fare" e "fare bene". E mi sono stancato, e pure tanto, di ricevere cose fatte con approssimazione. Nel sesso e in tutto il resto. Ci vuole consapevolezza.
Ma, in fondo, se così non è, di chi è la colpa?
Lasciamo stare che il giorno dopo, rincoglionito, ho ripreso un aereo, son tornato in Italia e dopo neanche 48 ore son ripartito per la Romania. Lasciamo stare adesso che la bionda di Madrid, Elle si chiamava, ho continuato a sentirla tramite messaggistica istantanea, diventando per lei una piccola tentazione in cui rifugiarsi quando la vita appare troppo banale ma non si ha il coraggio di ammettere a se stessi di aver bisogno d'altro. E lasciamo stare per un attimo che dopo di lei son piombate nella mia vita altre bionde, come se avessero aperto una porta rimasta chiusa per anni e loro fossero là in attesa… perché questi alla fine NON sono dettagli. E a me interessano solo i dettagli adesso.
Ma tramite quell'esperienza mi è tornato alla mente il fondamentale punto: le cose bisogna saperle fare bene.
Mentre sono sull'aereo Milano-Bucharest penso a niente. Fuori, sulla pista di Linate, c'è il sole. Vorrei solo chiudere gli occhi e dormire un po'. La cabina si riempie di passeggeri e il sedile accanto al mio è vuoto. Almeno fino a quando una ragazza graziosa non ci si siede. Ed è bionda, occhi verdi. Alta, con un atteggiamento goffo da giraffa, tira fuori un libro dalla borsa e fa finta di leggere. I motori partono, inizia la fase di rullaggio. Lei è nervosa. Apre e chiude il libro, guarda a destra poi a sinistra, sale l'ansia. Mi ritrovo a sorridere di nascosto mentre lei smania. E poi, come ho detto, è bionda. L'aereo è pronto al decollo. All'ennesimo sguardo che ci diamo per sbaglio, lei - sottolineo lei - trova una scusa per parlarmi.
- Anche a te non piace il decollo? - mi fa.
- No, veramente sei tu che mi stai mettendo ansia… - dico.
- Ah, scusa…
- No, è che di solito viaggio su aerei lowcost che fanno un bordello di ferraglia quando stanno per partire. Invece questo di linea è così silenzioso che mi inquieta… - dico io recuperando alla mia naturale predisposizione ad essere poco socievole.
- Ah, ah - ride lei.
Ci presentiamo, anche il suo nome comincia per Elle. Due bionde, occhi chiari, a distanza ravvicinata, per di più con nomi che hanno la stessa iniziale. Se non fosse per la mia grande cultura, potrei vederla come una coincidenza da serial killer.
L'aereo decolla, si impenna, vuoto d'aria.
Lei parla e non la smettiamo per l'intera durata del volo.
So per certo che con la graziosa giraffa non accadrà null'altro che questo, ossia un dialogo tra due persone che si studiano provando quel sottile piacere di ignoto e leggero imbarazzo. Il suo, non il mio. Perché anche lei ha un bel fidanzatone in Italia ad aspettarla. Nulla di male. La rivedo due giorni dopo. Passiamo parte della sera a passeggiare per quella piccola Parigi rumena che è Bucharest, e parte della notte a mangiare, bere vino, parlare. Quello che facciamo lo facciamo bene e io mi sento proprio come vorrei essere, perché "l'essenziale è invisibile agli occhi", sì è vero, ma l'essenziale non è ciò che uno di solito pensa. L'essenziale è l'elemento primario per un contatto. Senza quello non c'è niente da fare. E il mio essenziale, adesso che ho sepolto metaforicamente i miei genitori, tutti gli incesti, tutte le tragedie greche familiari, i traumi adolescenziali e le ombre che da solo mi proiettavo addosso, è: i dettagli.
Seconda illuminazione del 2013.
Nei dettagli c'è il potere. Non sto parlando del potere che generalmente si associa alla parola "potere". A me non interessa governare una nazione e nemmeno soggiogare un popolo. A me interessa avere il controllo su me stesso. Il mio potere è avere il controllo dei dettagli.
- Non c'ho capito un cazzo, Corallo… - dice l'amico, sempre svogliato.
- Lascia perdere, questo post non ti piacerà.
In un ristorante meraviglioso per architettura, antichità, cibo, colori, con la bionda di Bucharest si parla di tutto. Soprattutto è lei che vuole descrivermi come e perché vive, chi e cosa ha fatto, dove e quando è stata. Ma sì, dimmi tutto baby. Dimmi i dettagli, mentre tu parli e io ti osservo, e sei bella, la Terra gira attorno tanto bene. E mi accorgo che posso ascoltarti e starmene così, forse solo ogni tanto distratto dall'idea che vorrei baciarti. Io posso. E non c'è nessuno dietro di me a mettermi fretta, né l'idea di un'altra donna a distrarmi. Non c'è più tutta quell'ansia d'essere abbandonato o quella vertigine che mi portava verso il fallimento ad ogni costo. Adesso posso dedicarmi ai tuoi dettagli.
E poi lo so già che non c'è altro. So che svanirai pure tu, ma la dolcezza con cui mi guardi adesso mi fa ondeggiare.
Nei suoi discorsi avevo notato i dettagli. Lei ce li aveva messi apposta per farmi capire l'essenziale. Ed io l'avevo capito.
Eravamo in pace.
E' per questo che di lei ho un bel ricordo.
Ed è per questo, che di altre, non ho nessun ricordo.
La forma delle nuvole fuori dalle vetrate del mio ufficio è simile a una massa morbida di teste di cavolfiori. Un orto nel cielo grigioazzurro della periferia est di Milano. Ci trovo gusto a contemplare - semplicemente - le nuvole, senza doverci trovare null'altro che questo. Anche se, a essere davvero zen, le nuvole sarebbero solo nuvole. Anzi, guardando bene il cielo, non dovrebbero esserci neanche quelle nello spazio. Ad essere davvero zen si vede solo il cielo.
Poco importa, il mio progetto di scaricarmi di dosso le tensioni nervose stimolate dagli ambienti ostili sta funzionando.
"Ho rivisto il film della Wertmuller, quello con Giannini e la Melato su un'isola… hai presente?" - mi dice una non-bionda.
"Certo" - rispondo io.
"C'è lui che mi ricorda molto te!"
"Gennarino Carunchio?"
"Sì"
"Non sei la prima a dirmelo…"
"Ah no?"
"No. E neanche la seconda."
"Ah…"
Paragrafo 2, la sindrome di Carunchio.
Già, baby, non mi hai detto niente di nuovo ma grazie per aver pensato a me. Il fatto è che quel film è uno tra i miei preferiti.
Ho conosciuto personalmente Lina Wertmuller al Festival di Roma 2012. Ce l'avevo davanti, piccola e vecchia. Sorridente come una bambina. Che donna. Avrei voluto parlarle, dirle, abbracciarla, complimentarla... Ma ero secco come un liceale davanti a una figa universitaria. Però, che donna.
Il fatto è che il suo film "Dispersi in un insolito destino..." m'ha proprio condizionato la vita. Io stesso non m'ero accorto d'essermi immedesimato talmente tanto nel personaggio di Giannini che, senza capirlo fino in fondo, ne ripetevo gli schemi nella vita reale.
Ne avevo assimilato i dettagli di pensiero, senza analizzarli affatto.
Gennarino Corallo… roba vecchia. Già con la sexy bionda del 2002 avevo naufragato sul quell'isola dove un uomo e una donna, di classi sociali estremamente opposte, tornano a quello stato di natura primordiale ritrovando se stessi, i propri ruoli, le voglie e l'istintualità che la società gli aveva succhiato via dalle vene. Beh, comunque io mi son sentito Gennarino a lungo, inconsapevolmente. Addirittura convinto che lui rappresentasse il bene e la Melato, Raffaella Pavoni Lancetti, il male. Eppure, rivisto nei dettagli, il rude ma tenero Gennarino risulta pure un po' uno stronzo. Non tanto per gli schiaffi che dà alla Melato nè per il maschilismo ostentato che in fondo è solo un modo per vendicarsi di tutto il marcio capitalismo che s'era dovuto subire durante la sua vita da sguattero, quanto perché chiede alla sua "femmina", essenzialmente una buttana industriale, di scegliere tra passione e sicurezza economica.
"E tu che cosa avresti fatto? Saresti diventato l'amante?" domanda la non-bionda con aria di sfida.
"No. Avrei mollato tutto. Avrei lasciate lei e pure la moglie siciliana scassacazzo, e me ne sarei andato. Per tornare con una barca a vela più grande."
Perché o trovi una soluzione diversa, nei dettagli, oppure la sostanza rimane sempre la stessa: cioè tu che ti piangi addosso.
Mi sono trovato, ultimamente, davanti a situazioni dove una donna, davanti a un mio "vabbè, lasciamo perdere", mi ha lasciato intendere: "Non sai cosa ti sei perso".
Ma è proprio questo il punto, baby: non so cosa mi sono perso! E proprio perché non lo so non mi faccio nessun tipo di problema… perché è finita l'epoca in cui era più attraente l'idea rispetto al fatto in se'. Se non provo, non gusto, non sento, la cosa non mi interessa.
Ricordi il discorso sulle cose fatte bene, nei dettagli?
E tu, come femmina, hai fallito perché non sei riuscita a tenermi là, adorante pur di assaggiare i tuoi sapori.
"E' tornato Corallo", sembrano urlare i miei muscoli tesi.
"E' tornato il mascalzone, il malandrino, 'o fijo 'e bucchin'!", sembrano urlare i miei occhi sempre più verdi.
Sì, sono tornato.
Il sedile accanto al mio, sull'aereo di ritorno da Bucharest, è simbolicamente vuoto. La bionda alta e magra è rimasta in Rumania mentre me ne torno a casa, dove mi aspetta la tartaruga affamata di gamberetti secchi.
Nel frattempo l'altra bionda, quella di Madrid, continua a scrivermi messaggi a base erotica mescolando voglia carnale a sensi di colpa. Anche se butto avanti tutto il cinismo di cui sono capace, 'sta cosa mi fa piacere. E' stato un attimo, l'alcool è svanito dal sangue e la distanza s'è intromessa in modo sostanziale, ma almeno è rimasto qualcosa. E' una piccola cosa. Un dettaglio, appunto. E' un ricordo che si può tenere. Magari usarlo per espanderlo, nel mio lettone, con le luci giuste. Quindi proietto lo sguardo verso quel momento e sento il corpo rispondermi subito, irrorando di sangue le zone predisposte. Che male c'è? E' la vittoria di chi ha intuito l'essenziale.
E' così che ho annullato l'uso del porno industriale.
Con un sorrisetto in faccia scrivo alla bionda di Bucharest.
"Siamo ancora un segreto io e te?" riferendomi al fidanzato ignaro.
"Sì :)"
Essere il segreto di una ragazza d'origini rumene, essere stato la tentazione (consumata) di una ragazza che vive e studia a Madrid. Essere presente da qualche parte.
Ma questo non è Corallo. Questa ne è solo la premessa.
La biondina di Madrid manda bacini tramite emoticon su watsup. E dopo molte mie insistenze mi invia alcune foto di se stessa, mai nuda quanto vorrei, scattate apposta per me.
L'epoca in cui vivo è questa, d'altronde.
Però, giorno dopo giorno, qualcosa nel suo modo di fare cambia: Elle è sempre più sicura di se'. Impercettibilmente sviluppa una forza, e gode nell'avermi là, a disposizione come pensiero di riserva tra una sessione d'esami, un weekend col fidanzato che è andata a trovarla per farle una sorpresa - poveraccio - e masturbazioni solitarie con l'immagine di Corallo tra le cosce (me l'ha confessato lei). La biondina, da cui vorrei peraltro che me lo succhiasse come aveva già fatto, nel dettaglio, fa la spavalda e commette un errore. Perché se l'unico ingrediente che mantiene in vita un rapporto su watsup è il sesso, e la femmina non se la sa giocare con parole e promesse allettanti, il maschio gira lo sguardo altrove, e soprattutto si rompe il cazzo.
Il maschio è in crisi.
La femmina, emancipata e moderna, non soffre più per amore. No, non ha tempo. La femmina moderna bada alla sostanza, non più ai dettagli.
Le nostre donne non sono più come le nostre nonne.
Le femmine che incontro detestano gli uomini con orgoglio. Non gli uomini che hanno un orgoglio, proprio loro, le donne, li detestano sfoggiando grande orgoglio.
Hanno trovato la soluzione a tutto.
- Maschilista, testa di cazzo, fai schifo…
- Ma va', esageri.
- Scrivi, dici, pensi cose disgustose!
- Per piacere, è letteratura moderna…
- Letteratura questa?! Poverino, hai una mente molto limitata se pensi ciò.
- Preferivo "sei un coglione"…
- Non scendo al tuo livello.
- Allora non leggere il resto, è meglio.
Fine prima parte.