giovedì 15 giugno 2023

Rondini e pioggia

 


Verso sera di solito pioveva come accadeva certi giorni di fine agosto. Eppure formalmente l'estate non era nemmeno ancora iniziata.
Nei cieli chiari fino a tardi, stridevano le rondini. Le guardavo ed ero felice ci fossero. I loro voli frenetici e potenti mi rinvigorivano l'anima.
Era l'anno in cui c'era stata tanta siccità durante l'inverno, e tutti ne erano abbastanza preoccupati. Poi era tornata la pioggia.
Io lavoravo da quasi dodici mesi consecutivi per la stessa agenzia, un record personale dopo tanto tempo passato qui e là, tra una fattura e l'altra da mettere assieme per non ritenermi completamente disperato.
Su certi amori del passato avevo messo la così detta pietra sopra anche se col pensiero ci tornavo spesso. Su qualcuno con tenerezza, su qualcun altro con rancore profondo. E mi pareva di essere diventato tanto debole di cuore da non riuscire più ad avere dei veri palpiti. Ma sotto la superficie ci speravo. Così come desideravo tornare a combattere, essere in grado di esprimermi anche in maniera prepotente, come facevo un tempo.
Il mio paese era cambiato, la mia nazione lo era. Il divario tra possibile ed impossibile si era ormai fatto netto in ogni ambito. C'era questa sensazione di libertà fasulla a ricoprire le chiacchiere di tutti ma in fondo tutti erano rassegnati ai propri destini, chi sopra e chi sotto la soglia della povertà.
I miei c'erano ancora, una delle due sorelle si sarebbe trasferita con la famiglia in Svizzera da lì a qualche mese. Ero triste ma sollevato al contempo.
Insomma subivo l'andamento delle cose e della vita assieme all'afa serale prima della pioggia.
Scrivevo appunti, leggevo romanzi, tentavo di farmi una cultura complessivamente meno mediocre rispetto al me stesso precedente. Mi esercitavo come chi, non più giovane, teme e desidera al contempo di dover essere chiamato in guerra.
Ma il potere, la questione del potere gestito da pochi, entro pochi circoli, dalle solite famiglie, e la sorte, quella stabilita dal cielo e capricciosa, indipendente da ogni volontà umana, per me restavano i temi fondamentali.
Non riuscivo a concentrarmi su altro che non fosse potere e sorte, forse perché avevo dato fondo ad ogni speculazione riguardante i sentimenti e le connessioni umane quando ero già un ragazzino romantico, spesso isolato, pieno di rabbia e tristezza infinita.
Per me quei due argomenti erano tutto in quei giorni e niente riusciva a distrarmi dal pensarci, nemmeno i ricordi dei vecchi amori. È così che ho capito che erano finiti inesorabilmente assieme alla mia età più giovane. Ora ero un uomo che assomigliava più all'idea di sapiens appena venuto al mondo, pronto alla caccia e alla difesa, che non a quella moderna figura di uomo metropolitano nevrotico e privo di spirito della natura. Ero lucido e bestiale assieme, mi stavo rendendo sempre più essenziale e questo iniziava a spaventarmi.

#nelsoncorallo #scrittura #scrittore #scrivere #editoria #romanzo


mercoledì 17 maggio 2023

Dubbio & Coscienza

 


Chi ha bisogno della coscienza?

La coscienza viene spesso descritta come una casualità evolutiva. Un incidente di percorso. Allo stesso tempo però la coscienza stessa sembra esserci essenziale, ed essere ben più che una consapevolezza di esistere.


Dato che né la scienza né la filosofia sembrano essere riuscite a definire la coscienza, dovremmo dedurne che sarebbe inutile tentare di indagare le sue origini e il suo divenire? Possiamo anche solo dare per scontato che la coscienza esista per davvero, e non sia semplicemente un epifenomeno della fisiologia cerebrale, per non dire un’illusione? A mio avviso queste domande cadono nella stessa categoria del paradosso del solipsismo. Forse tutto ciò che esiste è la mia coscienza, e quindi la mia coscienza è falsa se attribuisce coscienza a tutto tranne che a me. O forse sto solo immaginando di pensare. E così via. Certo, forse è così, ma che importa? Non significherebbe niente in ogni caso. Per semplificare il nostro scritto, diamo per assunto che tutto sia sufficientemente reale quanto basta perché possa esistere, e che siamo nati in una condizione ontologica o esistenziale comunemente chiamata coscienza. 


In breve, accettiamo la nostra percezione, sensazione o estetica dell’essere consci, e procediamo con l’indagare la natura di uno stato così probabile, o almeno possibile. 


La coscienza sembra essere qualcosa di diverso o di più rispetto alla consapevolezza. È possibile che, come credevano gli scienziati romantici e gli ermetici, anche le pietre siano consapevoli, ma in una dimensione temporale praticamente inaccessibile per noi – se non attraverso l’alchimia, la quale consisterebbe allora nell’arte di accelerare la consapevolezza della pietra al livello visionario della coscienza. Certe piante e animali sono consapevoli: possiamo lasciar perdere la prospettiva cartesiana di una materia inerte e di animali intesi come macchine insensibili. L’universo è, per così dire, consapevole. Forse la natura della coscienza riguarda la consapevolezza di questa consapevolezza, come il mito di Narciso. Abbiamo già ripreso in questo senso la metafora dello specchio. 


L’universo richiederebbe la coscienza da parte del Sé percipiente per divenire consapevole della propria consapevolezza. «Ero un tesoro nascosto», dice Allah, «e amai essere conosciuto. Ho creato la creazione affinché mi conosca».1 


Se così fosse potremmo affermare che la coscienza non è un accidente ma gioca un ruolo nell’evoluzione – se definiamo l’evoluzione come più di una concatenazione accidentale di materia inanimata in una condizione senza significato che chiamiamo vita. La coscienza potrebbe essere vista come la condizione necessaria per il sorgere del senso o del valore, come lo chiama Nietzsche. Potremmo definirlo l’amore o il desiderio che l’universo ha per se stesso. 


Fatte queste premesse, dovremmo porci la domanda principale: perché ci ritroviamo oggi di fronte a quella che viene chiamata la crisi o persino la catastrofe del senso, al punto che le certezze e i sistemi simbolici della spiritualità tradizionale non ricoprono più per l’umanità il ruolo di roccaforti contro l’abisso, dall’esistenzialismo chiamato banalmente l’assurdo? E perché c’è questa cupa negazione dell’importanza del senso da parte degli scienziati e filosofi che non riconoscono la funzione evolutiva della coscienza? 


Abbiamo ragioni pratiche per sollevare la questione, dato che la posizione volgarmente materialista ha condotto a una condizione moderna fondata sulla riduzione di tutto il valore in prezzo, e a quel trionfo della bruttezza sulla bellezza che chiamiamo civiltà. L’azione più rivoluzionaria che ci rimane è la restituzione del valore al valore, come ha proposto Nietzsche. Ma non possiamo cominciare l’opera senza prima chiederci, non cosa sia la coscienza, ma cosa faccia, e ovviamente, senza prima risalire all’inizio del declino, tornare al momento in cui la coscienza ha smesso di ricoprire la sua funzione evolutiva. 


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Il nostro compianto collega Terence McKenna ha ipotizzato che la coscienza sia emersa quando una scimmia ha mangiato un fungo allucinogeno. Anche se non credo che questo evento sia accaduto davvero, penso che sia una bella metafora. Una relazione Io-Te tra noi ominidi e il mondo, nella forma di un sacramento o cibo sacro, potrebbe indicare o simboleggiare appropriatamente una possibile origine della coscienza. La filosofia moderna diffida di tutte le origini e pretende di circoscrivere le proprie argomentazioni alle funzioni, ma non siamo obbligati a restringere le nostre indagini all’interno della camicia di forza del mero positivismo. 


La consapevolezza quindi divenne consapevole di sé per giungere all’identità del Sé e del mondo in una relazione dialettica di desiderio e amore. L’istante preciso della separazione, in cui l’animale cosciente diventa non solo consapevole ma conscio della propria consapevolezza, è anche potenzialmente il momento esatto della riunione o unio mystica, l’unità di Sé e altro. 


Credo che il linguaggio possa costituire lo strumento necessario di tale realizzazione, ma allo stesso tempo sia il terreno su cui è possibile per la coscienza decadere. Il linguaggio è forse lo specchio necessario, ma uno specchio è già uno schermo. I miti universali che raccontano di animali parlanti e divinità teriomorfe indicano già una nostalgia per il Sé indiviso prima del linguaggio, il Sé animale. Il misticismo riguardante tutti i misteri di figure licantrope dei cosiddetti popoli primitivi esprime il desiderio di una reintegrazione che vuole travalicare il linguaggio. Il declino è preordinato? Il linguaggio è l’errore originario? 


Credo che per il momento sia necessario scartare questa possibilità, se si vuole continuare a parlare della coscienza. Dopotutto, gli altri miti danno precedenza alla parola, al logos. Dio crea il mondo come linguaggio, o anche come scrittura. Sarebbe interessante, ma non appropriato, guardare al linguaggio come al nemico di una qualche ipotetica coscienza pura, perché equivarrebbe a un suicidio intellettuale. Per ora basti accettare la nozione che la nostra coscienza gioca un ruolo nell’evoluzione, e che l’espressione stessa della coscienza è la condizione necessaria per la sua efficacia. 


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Questo ci porta concettualmente, se non cronologicamente, al paleolitico, ai tipi di umani parlanti che chiamiamo Neanderthal e Cro-Magnon, e alle loro estensioni temporali più tarde di gruppi sociali tribali di cacciatori e raccoglitori egualitari, privi di gerarchia, primitivi nel senso di primordiali, originari. Molti esempi di questi gruppi sono sopravvissuti e documentati persino in forme storiche, quasi sempre con pregiudizio e incomprensione, ma perlomeno la loro esistenza è stata registrata. Possiamo rifarci a queste testimonianze per interpretare il “passato” in cui è esistita una “precedente” forma di coscienza. In alcuni recessi remoti o tra i “rifiuti della società” come mistici e artisti, esiste ancora. Uso le parole passato e precedente in senso metaforico, anche se ne conservo il senso storico. Il passato potrebbe essere adesso. Per dirla con Faulkner, non è neanche passato. 


Che tipo di coscienza si differenzierebbe dalla nostra al punto da spingerci a considerarla precedente? Per usare la lingua poetica del Rig Veda, come se fosse l’alba? Per comprenderla dobbiamo immaginarla, e per immaginarla dobbiamo esperirla, come satori isolati in cui ci dimentichiamo che noi e l’universo siamo in relazione. Credo che tutti gli umani abbiano accesso a questo stato, anche se molti di noi lo reprimono per i motivi che andremo a indagare. Nella seconda metà della vita, Colin Wilson dedicò la propria ricerca a questo problema: come indurre e prolungare l’esperienza di picco in cui la coscienza opera per noi, non contro di noi, per restituire senso e valore alla vita. 


Senza dubbio verrei accusato di esotismo superficiale se affermassi che le comunità “primitive” posseggono maggiormente questo tipo di coscienza rispetto a noi moderni, perciò è meglio esprimersi in termini comprensibili per la teoria critica. Forme socio-economiche di coesistenza diverse inducono modi di coscienza diversi. Nemmeno i marxisti potrebbero negarlo. Da questa idea traggo la mia tesi. Il pensiero o la coscienza determinano la forma di vita, ma la forma di vita determina il pensiero, o almeno la qualità soggettiva dell’esperienza e del valore vitale, cioè la coscienza. 


A causa dei modi in cui producono e riproducono il valore, le società primitive e tradizionali possono esprimere una forma più pura e profonda di consapevolezza di essere-nel-mondo rispetto a ciò che permette la nostra civiltà tecnologicamente avanzata. Una mediazione tecnologica ed economica eccessiva influisce negativamente sull’esperienza diretta. La si chiami pure “alienazione”, per usare il termine nell’accezione che gli diede Marx nei Manoscritti economico-filosofici del 1844, o anche in senso esistenzialista. Non credo che uno sciamano vedrebbe le cose in maniera diversa – difatti sappiamo che i pensatori sciamanici appartenenti a società primitive ancora esistenti, come gli hopi, i kogi o gli yanomami, hanno recentemente mosso proprio questo genere di critica alla società occidentale o moderna.2 


Voglio sostenere, basandomi sull’archeologia, l’antropologia, la storia dell’arte e delle religioni, che le società più “arretrate” posseggono una forma qualitativamente diversa di coscienza, meno alienata di quella postindustriale della società capitalista e della sua cultura monolitica basata sul feticismo dell’agiatezza e sul materialismo volgare. La coscienza primitiva sembra più in sintonia con il corpo, con la natura, esprime un ethos o partecipazione animista che possiamo associare con l’arte primitiva e gli stili delle culture pre-moderne. Si potrebbero fare molti riferimenti, ma credo di essermi espresso chiaramente. Invito i lettori a immergersi nella letteratura etnografica e replicare le mie ricerche. Nessuno mi paga per questo lavoro, e non ho nessuna scadenza. Le note di riferimento possono essere riprese guardando ai lavori di Charles Fourier, Ananda K. Coomaraswamy, Pierre Clastres, Marshall Sahlins, James C. Scott, Abdullah Öcalan, Richard E. Sorenson, nonché agli anarchici verdi e ai primitivisti dell’anti-civilizzazione come Fredy Perlman e John Zerzan. Rimando inoltre ai miei precedenti lavori nel campo.3 


Il mio scopo non è dimostrare la veridicità di una particolare teoria sulla coscienza primitiva. Do per scontato che forme precedenti e più evoluzionarie di coscienza sono state largamente soppiantate dalle forme contro-evoluzionarie più tarde. Mi chiedo semplicemente come sia potuto succedere. 


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Riferendosi ai nomi sopra citati, si può ipotizzare che il primo grande passo verso l’alienazione sia stata la domesticazione delle piante e degli animali in epoca neolitica tra gli altopiani delle odierne Iran, Turchia e Iraq. Quella che probabilmente nacque come lo svilupparsi di una relazione amorosa con certe piante e animali, al punto che gli umani preferirono vivere con loro tutto il tempo piuttosto che cacciare o raccogliere risorse, comportò complicazioni impreviste per la salute e la coscienza, dato che, come notò Nietzsche, il benessere fisico e la coscienza sono strettamente connessi o cocreativi. Non più simili ai vegetali e agli animali, rispetto all’animismo del paleolitico, gli umani divennero loro “superiori”, come nel paganesimo del neolitico, e successivamente la superiorità in sé costituì una scissione o alienazione dalla natura. 


Bisogna sottolineare che l’addomesticamento non diede origine, o condusse inevitabilmente, alla nascita della civiltà e dello stato. 


Il contadino proto-vassallo vive una vita comunitaria tutto sommato egualitaria. Il tempio è il centro della ridistribuzione e del benessere, non del debito e del peccato. Una volta che lo stadio neolitico iniziale dell’allevamento e della coltivazione basilari viene sostituito dall’agricoltura, il tempo libero e l’abbondanza del paleolitico, interrotto occasionalmente da periodi di intenso sforzo e digiuno occasionale, vengono rimpiazzati da un’economia più regolare e sicura basata sul surplus e su quello che potremmo già chiamare lavoro. Il primo genera ansia (qualcuno potrebbe appropriarsi del surplus della ricchezza comune), il secondo crea monotonia (cacciatori e raccoglitori non eseguono mai solo una mansione). La preoccupazione e la noia erodono la vecchia coscienza, con risultati riscontrabili nell’arte neolitica, molto meno libera dell’arte paleolitica. 


Ma l’agricoltore libero vive una vita colta e sacra rispetto agli schiavi, la classe lavoratrice o fellahin che si formò con l’improvvisa nascita dello stato circa 6000 anni fa. Per un milione di anni gli umani si erano evoluti per condurre una vita non autoritaria basata sulla mutua collaborazione, e ora in un lampo la società volta le spalle all’evoluzione e si riorganizza per il beneficio esclusivo di una classe governante formata da re, guerrieri e sacerdoti. Il Tempio è ora diventato la Banca Centrale, il centro di comando del peonaggio e della repressione. Tutte le civiltà cominciano in un’orgia di sacrifici umani; in seguito l’impulso omicida viene considerato economicamente controproducente ed è sostituito dal tributo di guerra, dalla schiavitù, dal debito e dall’ideologia religiosa, che giustifica la sofferenza. Gli umani furono creati per servire gli dèi e i loro rappresentanti. Ribellarsi è peccato. 


Da allora gli apologi del potere – teologi, filosofi, scienziati – ci spiegano che il progresso consiste in maggior ricchezza e bellezza per la classe dominante, e duro lavoro e bruttezza per la gente comune. È chiaro che la nascita della civiltà segna il momento di crisi della coscienza, che ora deve diventare cattiva coscienza, o “falsa”, per mantenere l’illusione reciproca che questo stato d’essere innaturale è in qualche modo divinamente (o scientificamente) predeterminato, perché è evoluzionario. Prima nel paleolitico, secondo gli intellettuali, esistevano la povertà e la guerra universali, poi sono arrivate la straordinaria rivoluzione agricola, le glorie della civiltà classica e infine la perfezione del tecnocapitalismo trionfante. Darwin lo vuole, così deve essere!


Ovviamente, tutti sanno nel profondo del cuore che le cose non stanno così. Non solo la civiltà ha creato ingiustizia e lavori monotoni per noi mentre ha garantito libertà e cultura per le élite, ma è ora evidente che la civiltà distruggerà l’ambiente, cioè la natura, per semplice stupidità e avidità. La dissonanza cognitiva tra le grandiose rivendicazioni della civiltà e l’effettivo banale immiserimento della vasta maggioranza degli umani spinge o alla ribellione, preda di una rabbia incontrollata, o alla muta disperazione e al feticismo consumista. La religione non offre più una valida scusa per una tale coscienza schizoculturale, e il risultato è il futuro che abitiamo oggi, senza dio, artificiale, orrendo, e apparentemente terminale. 


Tutto ciò non avviene nell’arco di una notte. La coscienza ha una storia. Possiamo ripercorrerla per tappe, a partire dal collasso avvenuto intorno al 4000 a.C., fino al presente. Servono migliaia di anni alla nuova economia per diffondersi e infettare il mondo intero, persino oggi in pochi angoli remoti e retrogradi del globo persistono ancora tracce di forme precedenti di consapevolezza tra le comunità tribali e rurali. Inoltre, nel corso dei secoli alcuni umani si sono sempre ribellati alla civiltà, è sempre esistito un movimento underground sotto la superficie dell’oppressione e dell’ideologia, una società segreta eterna, o anche un tong5 dedito al rifiuto e alla resistenza. E ovviamente si è dimostrato impossibile sradicare i mistici e i poeti che in alcuni casi vedono oltre la coltre di miraggi e apprendono le vestigia di antiche verità. 


Cerchiamo a questo punto di delineare una storia della nostra coscienza. 


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Consapevolezza

Tutto ciò che è nell’essere è consapevole. 

Coscienza

Il mistero da risolvere. 

Autocoscienza 

In apparenza solo gli umani sono autocoscienti, ma si potrebbe sospettare che lo siano anche scimmie, cani e persino corvi. Questo è il livello del linguaggio, o lo specchio del logos. 


Autocoscienza tragica 

Diventiamo consapevoli di noi stessi in quanto esseri separati tragicamente e cronicamente dalla “natura originale”. Inventiamo la spiritualità, l’arte e la “sessualità” come mezzi per riunificarci con il mondo perduto degli animali (animismo). Dal punto di vista economico, questo è lo stadio del dono, la reciprocità arcaica; dello sciamanismo, misticismo senza religione; della cultura, ancora priva della radicale separazione della civiltà tra classi superiori e inferiori. 


Autocoscienza acuta 

Giunti al neolitico, la coscienza vive una crisi in quanto veicolo che segna un profondo divorzio dalla natura selvaggia. La spiritualità della reintegrazione ora viene sospinta dall’angoscia e dalla violenza tramite il sacrificio, l’animismo è sostituito dal paganesimo. L’animismo considera tutto sacro, mentre il paganesimo proietta la sacralità su dèi concepiti come Altro dal mondo. Tra le due attitudini non c’è una separazione netta, ma uno spettro. Con il paganesimo il paesaggio e la vita stessa diventano improvvisamente animate e sacre, gli dèi possono irrompere nell’esistenza quotidiana. 


Coscienza civilizzata 

Come ha osservato Charles Fourier, questo stadio rappresenta la vera caduta dallo stato di grazia. Gli dèi non si manifestano più nella nostra consapevolezza, ma possono solo essere raggiunti indirettamente attraverso la mediazione sacerdotale. Ci si sente condannati, peccaminosi, condannati al lavoro da una maledizione biblica: il corpo è sovrascritto dall’alienazione – il corpo è un nemico. La civilizzazione è una malattia mentale; su un pianeta normale questo tipo di persone verrebbero considerate pazze. Eppure, dobbiamo ricordare che certe forme nobili di coscienza possono persistere e superare persino l’immiserimento e i ramolacci della civilizzazione, come era solito dire Fourier. Il mondo non è ancora percepito come materia inerte. Un’arte veramente elevata e grande può ispirare una gioia estetica affine all’animismo primordiale, persino il proletariato crea ancora e colleziona questo genere d’arte. Inoltre, lo stato primitivo è ancora inefficiente nei suoi meccanismi di controllo. La scrittura può costituire la magia dello stato ma può essere sovvertita, e lo è, dall’eterno sostrato in un mezzo di resistenza. Ci sono ancora zone non mappate della terra in cui si può scappare per sfuggire ai padroni, le utopie dei pirati. Certi tipi di misticismo e magia giacciono al di fuori della realtà dominante dell’oppressione e della noia. 


Razionalismo 

La graduale apoteosi della civilizzazione e l’emergere di ciò che oggi riconosciamo essere il capitalismo portò a un illuminismo cartesiano che per la prima volta rovesciò la dottrina della terra vivente, mantenuta dall’ermetismo tradizionale a partire dall’antichità, e rimpiazzata con il dogma della materia inerte e del cogito isolato. L’influenza della tecnologia e dell’economia può aver aiutato a dare origine a questa visione del mondo, ma la stessa diede vita a una nuova disastrosa forma di coscienza, in cui il Sé si convinse di essere razionale. In pratica questo è il momento della morte di Dio, anche se la tremenda novella non venne recepita a fondo se non dopo un paio di secoli. Il risultato di questa presa di coscienza fu il romanticismo, che tentò, e forse sta ancora provando, a ravvivare l’immagine della terra vivente assieme a una filosofia ed estetica dell’animismo. 


La nuova coscienza rigetta o ignora qualsiasi irruzione divina nella propria vita e impone la «crudele strumentalità della ragione»6 sul mondo ridotto a oggetto, piuttosto che cosoggetto. La fisica newtoniana7 con il suo universo meccanico viene rispecchiata nelle idee economiche come l’utilitarismo, dove gli ideali di efficienza e profitto cancellano le sfere dell’emozione estetica e della realizzazione di un’unità con la natura. 


Possiamo considerare l’enclosure sia come la perfetta metafora sia come l’implementazione più razionale di queste idee. Lo spirito viene emarginato assieme alla terra. I poveri verranno presto dichiarati inadatti, e sono già considerati immeritevoli. Ciò che conta è il contabile. I pretesi ideali positivi del razionalismo, quali la democrazia rappresentativa, vengono traditi tutti in un colpo dal ritorno del represso e tramutati in maledizioni come il capitalismo industriale e il periodo del Terrore. 


Al confronto, i sumeri, gli egizi e la cavalleria di Re Artù sono molto più attraenti. Paragonata al colonialismo imperialista e alle officine sataniche della rivoluzione industriale, persino la cristianità medievale assume in retrospettiva un fascino nostalgico, da cui scaturisce l’aspetto reazionario del romanticismo. Ma questa reazione appare calorosa e rivoluzionaria in contrasto con la freddezza e la rigidità della Ragion Pura. Inoltre, esiste una corrente “di sinistra” del romanticismo, rappresentata dalla simpatia di Shelley e Byron per i tessitori luddisti, e dall’entusiasmo di Blake per Satana celebrato come la quintessenza dell’immaginazione nel Matrimonio tra il Paradiso e l’Inferno. In risposta al razionalismo, naturalmente lo spirito libero abbraccia l’irrazionale, e la rivolta della coscienza sommersa assumerà forme “folli” come la rinascita dell’occulto nel XVIII secolo, il decadentismo del XIX secolo, o il surrealismo e l’anarchismo del XX secolo. Quella che abbiamo chiamato coscienza normale, esemplificata dalla cultura paleolitica, è ora relegata al manicomio. Solo i folli sono veramente coscienti. 


L’autocoscienza borghese 

Arriviamo ora a quella che potrebbe essere definita la mentalité moderna. L’educazione è diventata un processo di acculturamento ai dogmi del razionalismo e dell’utilitarismo, il risultato è un Sé sovra-educato, non l’uomo rinascimentale ma lo specialista dissociato. È richiesta una repressione sessuale su scala praticamente industriale per creare la disciplina necessaria a sopravvivere e persino prosperare sotto il capitalismo. Ma il risultato si manifesta come un livello patologico di autocoscienza acuta, l’oscura ombra emergente dell’ego razionale illuminato. I pensieri del XIX secolo si aggrappano alla religione come un pennone spezzato che galleggia dopo un naufragio, ma dove la religione comincia a fallire, la mente borghese emerge trionfante. Il darwinismo sociale perverte l’idea dell’evoluzione atea in una scusa per la repressione eugenetica della classe operaia e delle altre razze. Il materialismo erige difese rigide e isteriche contro l’irrazionale e il sensuale. L’arte ufficiale degenera in un kitsch estremo e una magniloquenza trionfalista, mentre i folli romantici sono esclusi, considerati irrilevanti o persino malvagi: drogati d’oppio! Pervertiti! Criminali estetici! 


La coscienza malata della borghesia pondera si considera come se fosse nello specchio del Sé. Si preoccupa solo del Sé, lo gestisce come se fosse un portafoglio di investimenti ma lo teme come un Mr. Hyde. In guisa di un motore a vapore, deriva la propria energia dall’autosoppressione. La ricchezza non è più un segno d’elezione divina ma di perfezione evolutiva. È moralmente giusto essere segretamente infelici, è il prezzo per essere civilizzato e avanzato, un vero gentiluomo o madame vittoriane. 


Nel frattempo gli “altri” che non hanno raggiunto questo stadio avanzato, i poveri, i “nativi” e “selvaggi” che vivono alle estremità oscure dell’impero, rappresentano l’inconscio. Le minoranze devono essere oppresse così come l’inconscio deve essere soppresso e negato. Loro sono rimasti tutt’uno con la natura, e ciò li rende superflui e spregevoli. 


L’unico Sé che ha valore è il Sé borghese. Difatti i poveri, sebbene oppressi, appaiono in realtà meno repressi dei loro padroni. Sono “puerili”, un termine offensivo nelle bocche dei legislatori, ma per la resistenza è forse una verità romantica. I poveri hanno i loro piaceri: il sesso, le droghe, le feste sfrenate e il caos. Potrebbero persino possedere una consapevolezza mistica perduta dalla più nobile controparte civilizzata. O forse sto romanzando troppo? I nativi con le loro danze degli spiriti senza speranza, i contadini con le loro stupide ribellioni agrarie, sono davvero in qualche modo più in contatto con la “divina natura” di quanto lo sia la borghesia? Io dico di sì. 


L’autocoscienza iperborghese e la scoperta dell’inconscio 

Attorno al 1900 i Padroni dell’Universo europei realizzarono “all’improvviso” che erano malati di mente e di spirito. Si stancarono della repressione sessuale e non vollero più immolarsi agli altari della civiltà. Negli ultimi giorni aurei del lungo XIX secolo si diffuse nell’aria l’odore di una incipiente rivolta. Nietzsche e Freud scoprirono l’inconscio.8 Forse si poteva tornare in contatto con il Sé primitivo, il Sé dell’età della pietra per intenderci, in una coscienza indivisa. Forse la chiave era la psicoterapia, o l’arte, o entrambe. 


Sfortunatamente non era nessuna delle due. Il risultato dell’eruzione dell’inconscio fu l’apocalisse della guerra totale nel secolo breve e la peggior sofferenza che l’umanità avesse mai sperimentato fino ad allora, un salasso che finì quasi con l’uccidere il paziente, un’orgia di odio e omicidi.9 


I surrealisti considerarono la liberazione dell’inconscio come un atto rivoluzionario, ma Freud aveva deciso che l’inconscio doveva essere infine ri-represso come un motore a vapore per salvare la civiltà dal suo disagio. Lo psicanalista fallì nel comprendere che la civiltà è il proprio disagio. Provare a mettere di nuovo il coperchio sul calderone ribollente provocò un’esplosione nella quale l’ego venne quasi disintegrato. Il trauma dell’eruzione ha definito la coscienza del nostro periodo postbellico.10 


Negli anni cinquanta il pensiero freudiano ed esistenzialista raggiunse la sfera del dibattito pubblico. La mia generazione è cresciuta facendo battute sul complesso di Edipo e sulla nostra angoscia nevrotica. Negli anni sessanta, ci siamo stancati di essere depressi e “sconfitti”, perciò abbiamo deciso di ribellarci contro la civiltà in nome della pace, della gioia, della sessualità libera, degli allucinogeni enteogenici, dell’arte e della realizzazione mistica. Avevamo preso questo “gioco” molto sul serio e fummo profondamente delusi quando la rivoluzione del 1968 fallì per essere repressa dal capitalismo e dal comunismo, il suo gemello malvagio. 


La spiritualità orientale si dimostrò essere solo una tappa del viaggio e non la meta finale, semplicemente aggiunse la propria influenza all’emergere di una nuova autocoscienza iperborghese, compiaciuta delle proprie virtuose politiche liberali e del sentimentalismo ambientalista. “Spiritualità” ora significava non doversi mai scusare per contribuire a rovinare gli ultimi resti del mondo naturale. «Chi, io? Perché, ho votato Obama!», «Faccio delle donazioni al Dalai Lama!», «Ho protestato contro la guerra!», e così via. 


Il Sé dell’iperborghesia è il Sé più prezioso. Niente potrebbe essere più importante del bambino borghese, creato a immagine e somiglianza della famiglia borghese, il centro dell’attenzione e la quintessenza del suo Sé autocompiaciuto, del suo eccezionalismo soddisfatto. I bambini poveri possono ancora “andare fuori a giocare”, forse da soli, persino annoiati, ma il bambino prezioso non viene mai liberato dal castello della devozione. Circondato da giocattoli hi-tech e computer, televisori e videogiochi, pecorella guidata da un’attività funzionale all’altra, buttata in un pollaio con altri bambini simili della stessa età in fabbriche sociali per la produzione di ego de-socializzati, ogni capriccio del caro bimbo viene accontentato, ma solo nel contesto di una opprimente mancanza edipica. Il risultato è il consumatore adulto, un feticista ignorante, viziato e iperinflazionato, il Sé infantilizzato, isolato ed eziolato della classe media universale postmoderna. 


A proposito, posso escludermi da questa critica? Mi piacerebbe poter dire di essere un signor naturalista della classe operaia dallo spirito libero e la mente sana, ma in realtà, come Nietzsche, sono solo in grado di diagnosticare le miserie della “mia classe” perché ne faccio parte. 


Il balzo dall’inconscio alla tecnopatocrazia 

L’inconscio si è dimostrato un tremendo fardello, un oggetto insidioso buono solo per essere ributtato sotto il divano della civiltà assieme a tutti i cumuli di polvere e i mozziconi di un passato rinnegato. 


La psicoanalisi e le piante enteogeniche/sciamaniche vennero considerate troppo minacciose, e furono rimpiazzate con inibitori della serotonina e tranquillanti. Chi ha bisogno dell’inconscio quando abbiamo il Prozac e il Ritalin? I bambini che mostrano segni di ribellione, o potenziale per futuri comportamenti antisociali, possono essere drogati e sottomessi, a costi bassi e con metodi efficienti. Per noi l’efficienza è la scusa per tutto. Distruggeremo il mondo nel nome della convenienza, e inoltre ne trarremo profitto. Infatti già lo facciamo. 


Lo schermo prende il posto dell’anima o psiche, offre il «paradiso di cristallo» che una volta veniva promesso dai dualisti gnostici che rinnegavano il corpo. Lo schermo ci offre tutti gli antichi sogni della magia: visione lontana, preveggenza, istantaneità, telepatia, la Biblioteca Universale di tutta l’informazione di ogni tempo, mappe che ci impediranno di perderci o di sapere dove siamo, tutte le comodità, tutti i desideri a portata di un pulsante (purché abbiano un prezzo, e cosa non ce l’ha?), un Grande Fratello che sorveglia ogni nostra mossa e pensiero per proteggerci dai terroristi e venderci ciò che vogliamo ancor prima di realizzare che lo vogliamo. Immortalità virtuale, volo sciamanico virtuale, la simulazione di una coscienza virtuale molto più divertente e meno minacciosa della coscienza con cui siamo nati, pensieri nuovi e brillanti di altre persone pronti a rimpiazzare i nostri vecchi rimuginii, una connessione istantanea al nostro conto in debito perenne (credito infinito), la protesi per l’anima. Un’intelligenza aliena in tasca per 200 euro, tutto su un piccolo schermo, il nostro specchio magico portatile. Siamo o no i più belli del reame? 


Cosa può offrire il nostro patetico cervello di carne e la sua coscienza paleolitica repressa rispetto a queste meraviglie? Chi ha bisogno della coscienza, dopotutto? Perché? Per farci cosa? 


La coscienza non è altro che il nodo terminale che riceve i dati dello Schermo Universale, altrimenti non ha funzione che non possa essere sostituita da una pillola. La soppressione macchinosa dell’inconscio comporta anche, sicuro come la morte, la scomparsa della coscienza. I dati sono meglio di Dio, migliori del Sé, migliori dei sogni, e realizzano tutti i nostri desideri ancor prima che li concepiamo. 


Il dominio delle macchine impazzite, la tecnopatocrazia, ci permette di vivere tutti come zombie felici, mangiatori dei nostri stessi cervelli, consumatori dei nostri falsi Sé. Sotto il segno del Valore Universale, il denaro, la lunga e triste storia della coscienza vacilla verso una piagnucolosa conclusione. Il mondo va avanti senza di noi. Da adesso in poi i nostri simulacri, i nostri sostituti androidi, vivranno al nostro posto, lasciandoci al pacifico nirvana dei nostri smartphone e iPad. Invece di una società umana, che non esiste come ci disse la baronessa Thatcher, ci saranno i social network. Come il famoso Boy in the Bubble cantato da Paul Simon, non abbiamo bisogno di rischiare la nostra immunità nel mondo reale con la sua natura sporca e disastrata, infestata di vermi. Possiamo “interagire” per sempre con tutte le immagini che vogliamo per crearci un mondo dove l’unico idolo è il Sé vuoto. 


È troppo tardi per la coscienza. L’evoluzione l’ha ampiamente superata. Ora non è più un problema, il dilemma è stato risolto. Il cervello è un computer, l’anima è uno schermo, uno specchio vuoto. Sparito, perduto, passato. 


Copyright © 2021 L'Indiscreto - Rivista Galleria Pananti


IN COPERTINA UN’ILLUSTRAZIONE PER “MALBUCHGESCHICHTEN” DI ILSE FIRBAS, 1949

Questo testo è tratto da “La vendetta di Zarathustra” di Hakim Bey. Ringraziamo Agenzia X  e Ampère Books per la gentile concessione.

di Hakim Bey

Link: https://www.indiscreto.org/chi-ha-bisogno-della-coscienza/

#lindiscreto #coscienza #scrittura

domenica 28 agosto 2022

L'Amore di Corallo*, cap. 8

Pure, l’amore che volevi l’avevo io da darti;

l’amore che volevo – lo dissero i tuoi occhi

sciupati e diffidenti – l’avevi tu da darmi.

Si sentirono, si cercarono i nostri corpi;

compresero la pelle e il sangue.

Ma ci nascondemmo, tutti e due sconvolti.

Costantino Kavafis

Mi torturo guardando la foto che Eva ha messo sullo status di WhatsApp: lei, lui, loro figlia in braccio. Sorridono tutti. E io dove sono? Perché non sono presente al posto di quell'altro, che è sicuramente meno bello di me?

Non è capitato una sola volta di dover assistere allo spettacolo triste di lei, che avrei potuto amare ed essere suo compagno per la vita - finché morte non vi separi -, che dopo il mio forfait trova un altro uomo e concepisce ciò che sarebbe dovuto essere il nostro bambino o bambina. Avrei preferito una bambina.

Ma prima volevo trovare un me stesso che poi sono riuscito solamente ad abbozzare, e per costruire quello che sono oggi ho dovuto lasciare, abbandonare, mollare lungo la via tutte loro che oggi mi mancano e non penso possano essere sostituite mai. Non credo sia originale né autorevole scrivere ciò che ho appena scritto ma è la verità. Qualcuno si cerca così tanto e tenta con forza di farsi una struttura esterna che possa compensare il proprio dolore intimo che alla fine impiega ogni risorsa per mettere su un castello di carte traballante che poi crolla, dopodiché lascia rimorsi e una serie di stucchevoli "perché?" oltre alla consapevolezza di aver sbagliato tutto.

Immaginiamo che la maggioranza degli esseri umani faccia tentativi goffi per rendersi migliore di ciò che può realmente essere, impegnandosi allo spasimo a inseguire un'ideale versione di sé che non potrà raggiungere o,  se ci riesce,  non potrà mantenere a lungo, allora che cos'è l'umanità? Un ammasso di dilettanti che annaspa, spreca risorse,  compie azioni orribili e perde l'occasione di essere felice in maniera più semplice. Ambiziosi e disillusi, io sono tra loro. A noi hanno dato un temperamento e un carattere sfortunato, siamo doppiamente perdenti. E rendercene conto è il castigo finale.

Mi torturo e me lo merito.

Vivo nell'epoca in cui il lamento è letteratura,  è arte del se', è il personal branding, e soprattutto io so farlo meglio degli altri mediocri che però ricevono più likes,  in quanto mediocri per l'appunto. 

Nessuno avrebbe potuto fermarmi dalla corsa impazzita nella quale mi ero gettato. Né mio padre,  né Eva,  né nessuna dopo di lei. E se fossi riuscito a ottenere di più? Avrei guardato a quella foto di famiglia con ironia e disgusto snob? Probabilmente sì. E le lacrime di coccodrillo sarebbero arrivate più in là negli anni, in vecchiaia, perché successo e denaro possono anestetizzare ma non estinguere l'amore.

Se adesso avessi un cane almeno lo porterei fuori a fare un giro in questo paesino calmo della Sardegna del sud dove sono solo perché ho voluto restare solo per qualche giorno prima di tornare a Milano e rigettarmi nella nevrosi.  Ho una pallottola di cotone nell'orecchio destro in cui è entrata troppa acqua,  c'è un film di Woody Allen in tv e il ventilatore ronza e gira il capo da qui a là. So solamente scrivere cosa mi passa per la mente e leggere i libri di chi è più bravo di me. Inseguo sempre quell'idea che possa risarcirci di tanto malessere e scommetto che non lo saprò a breve. Sono pieno di malinconie e ricordi,  sperando qualcosa si sblocchi e mi dia la prova che Dio esiste anche per me. E traballanti passi mossi in infradito sulla sabbia calda di pomeriggi di fine estate.

Potrei far parlare Corallo adesso ma non me la sento.

I miei genitori,  i miei zii, il paese brutto e stupido che ho villeggiato per mesi in passato, la città, Salerno e il mare non balneabile, il sesso estivo che accadeva come temporali, il calore,  il sale, sorelle,  amici, erba,  stelle, macchine in viaggio da sud a nord,  tutto torna a me in un istante e sembra ieri e mille anni fa in un vortice di atomi e ricordi, mio Dio,  che cos'è la vita e cos'è l'umanità?

Accadono i fatti e volano via i giorni e non si fa in tempo a comprendere mai nulla o quasi ma se ne ha questa consapevolezza estenuante per cui si può scriverne: è devastante.

Questo però non riguarda le persone fattive. Loro non sono né sensibili né hanno tempo per riflettere, loro fanno e basta. Loro sono i carrarmati del mondo e lo distruggono passandoci sopra,  estraendo succo e sangue dalle masse che tentano di combinare qualcosa nella vita. Loro sono gli stessi che potrebbero pubblicare un mio romanzo, avvoltoi figli di troia. Mi piace pensare che morirete anche voi.

Fare una rapina.

Ammazzare qualcuno.

Organizzare una truffa.

Rubare qualcosa di molto prezioso.

Mettere una bomba.

Sedurre una donna bellissima.

Vincere la lotteria.

Esistono una serie di azioni per uscire dalla routine e dalla quotidiana paranoia di vivere. Per non dire dalla mediocrità e dal l'impotenza. Ne esistono anche altre di soluzioni ma le prime che mi vengono in mente sono quelle, forse perché sono un criminale e uno squilibrato.

Potrei dire che il mio modo di pensare è pressoché questo se non avessi conosciuto la letteratura. Tralasciando Shakespeare e tutto il resto,  sorvolando sul problema dell'editoria che pubblica solo merda e mettendo da parte il destino infame, diventa ben poca cosa la mia esistenza. Eppure non ho avuto poco, anzi, a ripensarci sono saturo di emozioni e storia personale, tanto che potrei pure dire basta. Basta, grazie. 

Invece no. 

Sarà colpa della letteratura e dei sensi che ancora vivo e voglio proseguire nonostante il tedio. Potrei dire che abbiamo fin troppo tempo anche se la vita è breve. Ciò che è davvero breve è l'infanzia, la giovinezza semmai. Dopodiché inizia un mondo di ripetizioni dove, se si è come me, ci si arena nei pensieri. I fattivi invece fanno,  costruiscono, proseguono incessantemente e mettono su cose. Ci sono diversi tipi umani, non tutti uguali, e di solito quelli fingono di governare il mondo. Truffatori pieni di risorse,  costruttori, farabutti. 

Vabbè, non sono io. 

Io fino a ieri speravo di cambiare, maddai, non è possibile. 

Sono destinato alla putrefazione e a rompere i coglioni. Al massimo uno dei fattivi potrebbe dire: "Voglio usare la tua roba" e io potrei dire "Dai,  sì,  pagami e facciamola finita". Potrei sentirmi per mezz'ora qualcuno, poi tornerei alla realtà, cioè che sono un parolaio. 

Che volete? È natura.

Puoi chiedere a una rondine di non volare e a un lupo di non cacciare? No, appunto. 

L'unico vero sforzo che noi parolai dobbiamo fare è quello di osservare per bene, riflettere per bene,  studiare per bene e poi riversare ciò che abbiamo capito per bene. Altrimenti siamo parassiti. Ciò non toglie che una volta che abbiamo fatto tutto per bene poi nessuno ci consideri. Ma sapremo di averlo fatto come Dio comanda, nell'intimo. 

Per il resto fingeremo di essere come gli altri e di avere altri problemi. Ipocriti senza colpa. Di questa condizione me ne sono reso conto anni fa,  ho tentato di ignorare la cosa,  ora è un fatto.  Che sfortuna per certi aspetti,  che fortuna per altri. 

Spiegato questo che si fa? 

Ti inventi una storia e provi a camparci sopra. Magari qualcuno ti ascolta e magari non ti ammazza di botte.

Non avrò indietro il tempo vissuto e non sarò nelle foto con lei accanto ma finalmente ne sono consapevole, sveglio, sincero e posso piangere e ridere mentre tento di farmi comprare e spendere poi tutto in fiori per i miei sogni infranti e amori non vissuti ma mai abbandonati. 

mercoledì 25 maggio 2022

L'Amore di Corallo* cap. 7

 


Di quanto io fossi pieno di dubbi e debolezze lei ne era cosciente. Eva sapeva chi ero nonostante mi nascondessi dietro strutture di rabbia e orgoglio. Lei mi vedeva per intero. E il nostro legame, che per lei era più importante di qualsiasi difetto, era il fulcro dell'esistenza. Mi avrebbe accompagnato, si sarebbe messa accanto a me per anni, per crescere senza spezzare il filo che ci teneva uniti. Sicuramente ci sarebbero stati conflitti e dissidi devastanti, ci saremmo detestati, accusati, forse rinnegati e traditi anche. Ma avremmo avuto una vita.

- Ma? - mi chiede Corallo mangiando una caramella gommosa mentre io innaffio le piante sul balcone.
- Ma ho strappato il filo - gli dico io svuotando una bottiglia d'acqua nella fioriera dopo averla riempita dal rubinetto della cucina.
- Sì, lo sappiamo.
- E capisco tutto, chiaramente, adesso.
- Bravo ciccino.

Un lutto, la morte, il trauma che esplode nel deserto del mio cuore. Ti amavo e ti amerò sempre. Eri l'amore della mia vita. Perdonami per quello che ho fatto o non ho fatto. Ti ringrazio per tutto ciò che mi hai dato e permesso di essere. È almeno la seconda o la terza volta che ti dico addio. Noi continuiamo a dirci addio, da una vita. Addio, auguro la pace ad entrambi. E un nuovo amore anche per me.

- Commovente, davvero - dice Corallo guardando altrove.
- È tutta la vita che vengo sbattuto altrove. Per voler fuggire il dolore, la mia pena è stata il tedio. Ho fatto pochissime cose giuste. Oggi accetto tutto il necessario per fare la cosa giusta.
- Vuoi un premio?
- È estremamente difficile accettare che tutto questo dolore non produca nulla, sia fine a se stesso, non sia utile nemmeno come esempio per altri. È insopportabile considerare me stesso un buco nero di sofferenza. Questo mi uccide.
- Buttarsi di sotto ti ucciderebbe davvero.
- È l'amore che ho provato per Eva vuole che io lo guardi in faccia, lo riconosca e chieda perdono. Come il fantasma di un omicidio irrisolto. E lo faccio, mi inginocchio, chiedo pietà, Cristo, pietà!
- Melodramma, cazzo, succede a chiunque abbia un cuore. È ovvio non ci sia rimedio se non il tempo. Ora pensi che per smettere di soffrire dovresti innamorarti di un'altra e comunque mai dimenticando lei, mai. Oppure dovreste tornare assieme, magicamente, adottando sua figlia etc.
- Perché fai il cinico, Corallo?
- Altrimenti è tragedia pura, questo continuare a cercarsi nel tempo infinito.
- Ed ecco il finale. Ce l'ho. L'amore che perdura è prova di amore a se stante. È nella costanza che c'è l'amore. L'amore resiste anche ridotto a una molecola.
- Ma tu l'hai lasciata perché lei accettava che tu fossi malato! Hai rotto perché le saresti andato bene anche com'eri, cioè simile a tuo padre, prepotente e bastardo. E lei, poi, questo te lo avrebbe rinfacciato! Ammettilo!
- È vero.
- E ora che hai capito, che biologicamente hai sviluppato intelligenza che non avevi a quel tempo, ora sai quanto sia necessario impegnarsi nelle relazioni, coglione! Prima non avresti potuto riuscirci, checcazzo. Prima eri immaturo, era immatura lei, non capivate niente. Quello che ami oggi è l'esperienza che avresti potuto vivere se fossi stato più forte e meno stupido. Ma se oggi lo sei, più forte e meno stupido, è proprio perché vi siete lasciati, avete fatto esperienze a parte e siete evoluti come esseri umani.
- E perché non abbiamo potuto crescere assieme?
- Perché in quel tipo di coppia non si cresce, ci si assuefa' e basta. Lei avrebbe alimentato il peggio della tua natura, te ne sei accorto, dai. Quindi oggi puoi amare Eva proprio perché vi siete dati la libertà, avete viaggiato separati e avete scopato altrove!
- E adesso?
- Dovresti chiudere anche con le altre faccende in sospeso. Con quelle storie pensate e tenute là per non progredire, per non correre il rischio di metterti in relazione con una donna reale, intelligente, biologicamente formata e soprattutto migliore di te sotto molti aspetti.
- Già.
- Vai, muoviti. Mi stai stancando.

Ho camminato a lungo. Poi mi sono attaccato alla sbarra appesa nel corridoio e ho flesso i muscoli tutte le volte necessarie a sentire dolore e farmi venire le vesciche sui palmi.

- Corallo.
- Che vuoi?
- Indietro non si torna.
- No, infatti.
- Ma cosa c'è domani?
- Non lo so proprio. Fai una cosa alla volta e spera di aver fortuna. Non hai tanta scelta. Almeno non fare l'imbecille, no?
- Sì.

mercoledì 18 maggio 2022

L'Amore di Corallo* cap. 6

 


Facevo passi indietro col pensiero, nei territori evanescenti della memoria, perché il presente era concreto di insoddisfazione e paranoia.
Era mattina, tenevo la tapparella della cucina quasi del tutto abbassata mentre saliva il caffè. Troppa luce bianca e arrogante per me appena sveglio.
Accumulare relazioni sentimentali, non adrenaliniche e singolari notti di sesso, ma anni di rapporti con donne differenti per finire sempre allo stesso modo. Non sposato, non padre, non accanto a una persona con cui costruire casa, riempire gli spazi vuoti o rifare insieme quelli sfatti. Quarant'anni.
Tornare a Eva era uno dei viaggi dell'anima a ritroso, che lei ogni tanto evocava scrivendomi per parlarmi dei sogni in cui io le comparivo. Eravamo in due a continuare a darci appuntamento in un altrove dove non esisteva il concetto di fine.
Poco prima di iniziare a frequentare l'attrice, Eva era tornata dopo anni di silenzio ed assenza perfetta. Anche se lei c'era sempre stata, in me, pietra miliare dell'amore. E nelle scatole con le nostre foto, oggetti, lettere conservate in un'anta della libreria.

- Ti perdono, nonostante quello che mi hai fatto, io ti perdono - mi aveva detto in un messaggio vocale.

E alla sua richiesta di rivederci nella realtà avevo detto no. Ed ero uscito con Clelia, forse perché quel suo intervento nel mio reale mi aveva creato repulsione e paura. Grottesco poi sentirla tanto vicina l'altra sera rientrando in casa come fossimo insieme. O forse no, niente affatto. È la conferma che l'amore si muove sfruttando le dinamiche della fisica quantistica.

- Non capisco dove cazzo vuoi arrivare - mi fa Corallo fumando una delle mie troppe sigarette.
- Mi rendo conto di essere legato indissolubilmente a tutte loro, a qualcuna di più, certo.
- Cosa importa, se poi con nessuna costruisci una relazione vera e stabile? Finché morte non vi separi etc.
- Immagino mi serva a fare ordine per essere pronto.
- Ma a cosa?
- A sopportare la mia imperfezione.
- Touche'.

Clelia mi rimproverava la lentezza, lei bramava cibo, vacanze e soldi. Non si è mai smentita, è una donna fatta in questo modo e la sua natura ha prevalso. Ma anche lei di tanto in tanto mi cerca, ricorda, chiede cosa io faccia e con chi. Anche lei non è immune dalle passeggiate nei territori evanescenti del passato. Forse chiunque si faccia prendere dalla malinconia e abbia il coraggio di scrivere all'altro per confessare questo peccato di cuore è degno di amore. Anche se poi torna dov'è ossia nel reale, nel quotidiano, nella materia e nelle sue meschinità.

- Nessuno sposa i poeti - mi fa notare Corallo.
- A meno che non siano affermati - rispondo.
- In quel caso sposerebbero la loro fama, non la loro poesia.
- Mm.

Faccio scorrere la giornata cercando di aumentare la mia mole di lavoro, leggendo Moravia e studiando antropologia.
Prima di cena esco in bici, l'aria è satura di pollini e insetti microscopici al tramonto. Nel laghetto delle papere, sulle sponde calde, tartarughe si espongono ancora un attimo al sole.
Dopo cena accendo l'aria condizionata, almeno per un po'. Se avessi del whisky lo berrei con ghiaccio. La Luna è ancora bella piena, prepotente e vasta.
La memoria serve a fare ordine. Scrivere serve a comprendere. Comunicare con gli altri serve a vivere. Qui non si tratta di fare l'apologia del ricordo sentimentalista per esercitare una pena su me stesso o su chi legge, con la speranza recondita di fare breccia in qualche cuore. Niente affatto. È una questione di cultura.

- Tu sei cambiato, fratello - mi dice Corallo sospettoso.
- È vero.
- Hai più autocontrollo, non lo nego, ma perché scrivi se non frutta nulla?
- È il mio stile, una maieutica col fine di imparare a pensare senza limiti.
- E poi?
- Qualcuno ne giova.
- Bah.

Sto studiando per l'ennesima strada professionale. Esattamente come tutti i miei amori passati, qualsiasi cosa io abbia intrapreso finora è finita a seccarsi senza pressoché dare frutti se non stagionali. Ho solo due costanti nella vita: cercare e aspettare. Un lavoro a cui dedicarmi pienamente o una donna con cui fare lo stesso, quelli sono i punti critici.

- Ho fatto un sogno tra sabato e domenica notte. Dirigevo una scena per un video, la troupe mi stava a sentire, ero pieno di forza ed entusiasmo, tutto era pronto. L'attrice protagonista, vedendomi così padrone del set, mi baciava sulla bocca, innamorata. Ricambiavo ma provavo imbarazzo perché la priorità era di finire di girare la scena. C'era una pistola a tamburo da qualche parte. La situazione cambiava, mi trovavo nel suo appartamento, lei era bella, bruna e stava in piedi al di là di un divano dietro cui mi accorgevo di essere nudo e intento a defecare. Emettevo suoni grotteschi, ero imbarazzato e inerme. Lei mi guardava ed io dissimulavo, dopodiché ammettevo di stare cagando, d'essere - anche - quello che lei vedeva: un sudicio uomo che espelle feci. Scrutando nei suoi occhi bruni cercavo di capire se continuasse ad amarmi anche così.
- Poesia, eh? - mi fa ironico Corallo.
- Verità - dico io - Non è l'amore che manca nel mondo, per quanto raro, è l'intenzione di mantenerlo in piedi che latita. Nutrire dei dubbi, di qualsiasi natura è ovvio, ma è altrettanto ovvio sperare che quella cosa nasca e perduri anziché seccarsi. Ci possono essere diverse motivazioni alla base di una coppia che resiste, non per forza nobili o gradevoli, anzi spesso indecenti e vigliacche. Ma deve accadere qualcosa di imperscrutabile per cui quelle condizioni si sviluppino al principio e poi restino nel tempo. Prima sputavo sull'ipocrisia degli amori senza amore, ora non più. Essermi rivelato incapace di mantenere le cose unite mi ha reso meno supponente. L'idea di inseguire costantemente la perfezione si è rivelata l'inganno di una cultura pericolosa e infantile. La ribellione serviva a smantellare il sistema precedente puntando all'utopia ma ora la ricerca di un'idea sovrumana ha perso il suo potere rivoluzionario.
- Cristo, però sei sconnesso. Sostieni tutto e il contrario di tutto, qual è il punto?
- Avevo paura di diventare pazzo - dico a Corallo preso da un'illuminazione messa assieme scrutando coincidenze.
- Che? - mi fa lui.
- Non sono rimasto con Eva non solo perché avevo voglia di fottermi e assaggiare tutte le possibilità che il mondo avrebbe potuto offrirmi se fossi stato coraggioso. Non l'ho sposata non solo perché non ero pronto alla routine ma perché sentivo che non avevo ancora sconfitto la mia follia. Cioè quella di mio padre e la mia assieme. Ero terrorizzato da poter diventare pazzo e violento.
- Ci siamo andati vicini, eh?
- Credo che mio padre lo avesse capito. Addirittura lui lo vedeva: percepiva che stessi partendo per la sua stessa strada a metà tra realtà e sogno. E che una struttura di vita inquadrata e ordinata mi avrebbe preservato dalla follia...
- Ti ha sempre detto che saresti finito sotto un ponte.
- Sì ma anche il contrario, che avrei conquistato il mondo.
- Bipolare.
- Il secondo punto che mi terrorizza, adesso, è di sentirmi spinto a fare le cose per farle e crearmi io stesso una gabbia di sicurezza dove fingermi al sicuro senza dover più indagare né ragionare.
- Sei stato troppo a secco in questi ultimi anni. E non parlo di sesso, perché quello non te l'ho mai fatto mancare.
- Già, abbiamo sempre avuto carne. A volte mi pare assurdo. Non sono nemmeno bellino come prima.
- Eppure è così.
- Sai cosa vorrei?
- Cosa?
- Avere tutto così chiaro in me da non dover più provare affanno. Agire istintivamente come una tigre pensante e consapevole. Fino a essere talmente lucido da essere d'aiuto addirittura agli altri.
- E perché dovresti?
- Perché è il terzo punto della mia vita: sono stato costretto a troppa solitudine.
- Stare con me non ti basta?
- Corallo, non offenderti, ma siamo stati fin troppo assieme io e te. Vorrei distribuirti un po' agli altri.
- Stai attento perché provoco anche effetti indesiderati.
- Ho imparato a gestirli.
- Convinto tu.

Sigaretta, mi sposto sul balcone, è mezzanotte.

domenica 15 maggio 2022

L'Amore di Corallo* cap. 5


Rientrando in casa, appendo le chiavi nel corridoio senza accendere la luce perché dal pianerottolo ne arriva un po', fioca e calda, mentre da fuori la Luna quasi piena inonda la cucina d'argento. Milano in strada stasera, senza sapere esattamente perché e che farci, sabato notte, si esce, con questa luna diventa frenetica la vita sui marciapiedi, nei cortili, locali, piazzette. L'aria è definitivamente estiva.

Ho dovuto seguire l'istinto e mi sono tirato fuori di casa anch'io, quel bagliore nel cielo era troppo potente.
Piegato sul serbatoio giallo della moto, passo Centrale, Loreto, viale Abruzzi verso sud e raggiungo gli altri. Gli altri è un concetto davvero esteso. Il locale ha un pergolato nel cortile del museo del fumetto, un simulacro alto tre metri, buffo, un dinosauro fatto con un calzino, e c'è un parchetto con la piscina per gli skate, bambini e genitori con addosso abiti colorati, l'atmosfera mi ricorda Barcellona.
Lego la moto, prima di scendere mi stavo dimenticando di abbassare il cavalletto. Questo plenilunio mi stona e frastorna.
Nel pomeriggio mi sono chiesto se sia vero che esistano vite ben inquadrate, nette nei contorni, definite strutturalmente. Che iniziano, vanno avanti su binari che raramente portano a deragliamenti o bivi fondamentali, per quanto qualche svolta ce l'abbiano pure loro. Vite razionali, matematiche, avvantaggiate dal punto di partenza per una serie di fattori sociali, culturali e semplicemente fortunate. Queste vite che hanno i loro affanni interni, anche mostruosi a volte, solo che dall'esterno non parrebbe mai.
E poi vite caotiche, irrazionali e non baciate dalla sorte fin dall'inizio. I cui protagonisti non sono mai da nessuna parte, sparpagliati, indecisi e in crisi costante. Guardando queste vite si vede un disegno a chiazze, spruzzi, linee e tratti interrotti.
I protagonisti di questo genere di esistenza hanno punti fermi interiori, studiano, cercano, soffrono e tentano di recuperare una rotta precisa. I protagonisti delle vite scientifiche devono avere a che fare con problemi psichici. Spesso si rassegnano o aggiustano quanto basta a non morire o impazzire. I protagonisti delle vite caotiche hanno mostri interni ed esterni, più esterni che li rendono preda di quelli interni.

Universalmente tutti lottano per sopravvivere.
Sopravvivere materialmente, punto primo. Sopravvivere emotivamente, punto secondo. Sopravvivere creativamente, punto terzo.
Se domani avessi tutto il pane del mondo risolverei un problema. Resterebbero gli altri due. Perché? È un'esigenza innata. Orgoglio e presunzione, un senso superiore per ciò che faccio. Che tipo di cultura è?
Mia nonna paterna, contadina del sud, fornaia, Maria, irrefrenabile, doveva fare. Non esisteva pausa nemmeno sotto il Sole meridionale, nonostante l'ignoranza, l'asprezza e il recente boom economico. Lei doveva fare per produrre risorse e senso sociale. Tanta fatica, poche complicazioni psicologiche, era simile a un piccolo animale con la pelliccia grigia. Eppure lei ha rappresentato il trauma dei propri figli e dei suoi nipoti. Anche nella semplicità si nasconde l'orrore.
Bevo una birra a 6 €., più tardi un'altra, un tizio col suv bianco non ha rispettato il rosso del controviale, il figlio di puttana, e quell'altro in moto ha dovuto inchiodare cadendo sull'asfalto per 9 metri e 40 centimetri.
Ambulanza, vigili urbani, luna quasi piena.
In periferia bande di ragazzini urlano e bestemmiano. Inizia davvero a fare caldo. Cristo.
Lascio spenta la luce del lampadario della cucina, spalanco il balcone, esco nel buio. Gli irrigatori automatici spruzzano acqua su erba corta e blu scuro, c'è odore di linfa che sale dal basso.
Ricordo quando in casa rientravo con lei, Eva, ed avevamo poco più di vent'anni. Accaldati, sbronzi, pronti a fare l'amore nonostante le condizioni. Rivedo noi due in quella stessa cucina e so che è successo eppure è un sogno. Com'è possibile sia accaduto e non è più così? Perché ci siamo amati se poi l'ho lasciata per perdermi nella smania di frequentare il mondo? E perché dopo vent'anni lei è qui accanto a me di notte, con la luna piena, se vive altrove, ha una figlia non mia e ciò che eravamo pare il riflesso di anime che vivono in un'altra dimensione?

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venerdì 13 maggio 2022

La Vita di Corallo*

 


In base a tutti gli errori del passato, come faccio a tornare al benessere?
Il passato è stato saturato dagli sbagli, praticamente tutto è stato corrotto e predisposto al male, tanto da far supporre solo un disastro finale. E ci sono quasi arrivato.
Poi ho frenato perché sono uno di quelli il cui orgoglio comprende l'amore e il rispetto per se stesso e gli altri. Uno di quelli la cui cultura è stata alimentata da concetti per cui vivere è difficile ma ne vale la pena. Sono uno di quelli per cui è meglio tentare tutte le strade possibili cercando, cercando, indagando il destino e i segni, perché ho investito tanto nella possibilità di far dialogare la mia natura col mondo.
Ma non ho aggiustato ancora tutte le cose. Mi sono chiesto tante volte se non ci fosse più nulla da fare, ineluttabilmente, ed è sempre rimasto un piccolissimo margine, uno solo, arduo. Se il passato non poteva essere cambiato, almeno il presente. Se ieri non c'era scampo, troppo odio si era accumulato nel tempo, forse oggi c'è un'altra speranza. Il libero arbitrio nel voler migliorare anziché lasciarsi andare alla deriva nel nulla.
Certo, la situazione deve essere chiara, limpida alla coscienza. Nessuna ombra su ciò che è stato prima. E credo di esserci arrivato, per quanto ancora osservo i simboli come in uno specchio che va oltre lo spazio-tempo.
Cosa posso fare ancora per aggiustare la storia? Forse non è una linea retta, l'esistenza, forse è un circolo. E cosa posso fare per procedere nella spirale, sapendo di non essere destinato per grazia divina a diventare qualcuno ma solo se mi ci impegno, studio, provo? Questa chiarezza è assieme entusiasmante e ferale. Alla fine potrei dire che, se riesco a essere me stesso, è per libero arbitrio. È una sicurezza, sotto questo aspetto. Se non sono destinato a qualcosa, come preferivo credere barando, allora a cosa?
I ching: 52, il monte sul monte.
Le cose non vanno bene quanto si vorrebbe andassero, per tante ragioni. Ognuno ha le sue. Certo, la vita è severa e non fa sconti. È la vita. Poi uno ci si mette, prova, si ingegna oppure si dispera. Spesso sbaglia complicando la cosa e si perde nella cosa stessa. Le storie invece trovano strade e soluzioni sempre creative, sacre, geniali. Il mondo parallelo alla vita è senza regole mediocri, solo favolose.
Resto fermo e aspetto.
La cosa per cui soffro di più: stare fermo.
Eppure non volevo diventare adulto e malato come temevo, e ci sono riuscito. Non volevo essere matto. Non lo sono, nonostante tutto. Una vittoria almeno l'ho ottenuta, no?
Ora che si fa?
Mi vengono incontro persone. Ogni giorno c'è qualcuno che mi cerca e non è per affari, lavoro, denaro. Quotidianamente c'è chi desidera parlare con me, come se io sapessi, come se io potessi fare chissà che. La vita come contatto con gli altri. Allora parliamo, mi raccontano, gli racconto. Ho imparato a tenere la distanza giusta, né troppo né poco, perché i rapporti sanno essere anche pericolosi.
Allora la smetto di pensare a cosa io non abbia e sono ciò che sono mentre intesso relazioni. Ascolto e spesso mi rivedo riflesso nei loro errori, affanni, tentativi e soprattutto dubbi. Io sono anche in chi ho davanti. Bisogna avere cultura ed esperienza per arrivarci. Mi accorgo di quanta poca attenzione c'è nel mondo, poiché sapremmo ipoteticamente già tutto ma lo ignoriamo. Distrazione e mancanza di serietà contraddistinguono la nostra società. Magari altrove meno, in altre culture diverse da questa.
Allora prendo appuntamento e vedo quella persona, poi sto per i fatti miei, mi ricarico, ne vedo un'altra. Sono donne, uomini, ragazzi, adulti, chiunque. Hanno idee simili alle mie, a volte completamente diverse, altre non lo sanno nemmeno loro. Qualcuno evolve nel tempo, altri restano gli stessi, si sfogano e basta, ricominciamo da capo il giorno appresso. E se in passato mi sentivo svuotato ora mi arricchisco e ne vorrei di più, dare appuntamento a chiunque. Scambiare parole e luoghi d'incontro, là, in città, fuori, in periferia, di mattina, pomeriggio o sera. Così gli incontri hanno luci e ambientazioni diverse, è già letteratura rendermene conto.
Dialogando con loro, oltre me stesso, rivedo persone del passato e le vite che avevo iniziato anche a dimenticare. In quello c'è mio zio da ragazzino, in quella una compagna di classe delle elementari, in uno mio padre a quarant'anni, in un'altra mia sorella prima di diventare madre. E così, via, via, riflessi di riflessi, echi di echi di esistenze.
Se non avessi fatto questo percorso tortuoso e lento e inconcludente, non me ne sarei accorto. Bisogna avere una certa sorte per arrivare a questa condizione d'altronde.
Ognuno ama un film, una poesia, una canzone, me la riferisce e io la cerco, quindi incorporo ciò che loro sentono. E se l'educazione fosse questa, saremmo già evoluti.
È servito tanto silenzio e cura nel farmi a pezzi.
È come io percepisco il mondo e l'effetto che questo mio sentire ha fuori di me ciò che io sono realmente.

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Ho provato tante strade. Non me ne s'è aperta una. A parte quella di raccontare cos'è successo. Ho imparato tante cose, ho capito l'esistenza per come è e per come fa soffrire ma non ho inteso come risolverla, a parte respirando lentamente e riflettendo sostando tutto su un piano superiore.
Ho ancora il timore di essere spacciato e che nessuno mi potrà mai aiutare, condannato e abbandonato come milioni di persone uguali a me. Ho la remota speranza che qualcosa possa accadere, in passato è successo, ma è remota come vincere alla lotteria.
Sono riuscito ad arrivare dove temevo e spero di non dover andare oltre, perché ci sarebbe molto peggio, purtroppo.
Le ho tentate praticamente tutte. Ho fatto il male, Signore? Ho commesso errori, senz'altro, ma ormai siamo in una zona in cui il passato non c'entra più, siamo in un presente arido e senza appigli, sopravvivenza da equilibrista.
Non mi sto piangendo addosso, è che non ho quasi niente da fare a parte sperare, raccontare e immaginare. Siamo in un mondo organizzato davvero male. Dopodiché noi, come esseri siamo così fragili. Un disastro. È ovvio che io preferisca stare bene che male. Sono malato senza esserlo.
Ho delle aspettative e anche delle pretese che definirei legittime. Eppure ciò che sento e voglio non è detto sia giusto né plausibile per il mondo. Posso desiderare senza riscontro, sono libero di farlo certamente.
Se potessi maturare e sbocciare, adesso, e non nel senso di morte, nel senso di completezza del sapere, che meraviglia sarebbe. Compiuto, giunto al termine dell'espansione necessaria, nel bene e nel male, senza più dubbi, pratico, modesto anche nell'accettare i limiti, sarei quasi perfetto. Vorrei sbocciare e passare gli anni che mi restano come un fiore aperto e buono, dopodiché appassire del tutto e finalmente morire.
Ho fretta? Perché? Per vivere senza fare danni. Tutta questa imprecisione nella quale siamo immersi, mio Dio, è un caos snervante se se ne ha un po' di consapevolezza. È assurdo. Viviamo nell'assurdo e ci cresciamo dentro convincendoci ogni volta di aver capito tutto. Ma tutto ci sfugge dalle mani dopo poco. Allora sarebbe meglio aprirsi al sapere definitivo, nonostante si scoprisse anche la parte peggiore, vivere senza più illusioni.
Fino a ieri mi sentivo furbo e speciale. Soprattutto mi sentivo superiore. Eppure le cose giuste che so oggi le ho sempre sapute, ho solo fatto finta di dimenticarle. Spinto da sete, orgoglio e destino assieme. La donna russa che mi aveva letto la mano lo aveva predetto.
Adesso.
Tutto è compiuto.
So ancora cosa mi piacerebbe fare. Raccontare, partecipare alle storie, alle tecniche. C'è chi fa e c'è chi racconta.
Come uomo, per ciò che ho fatto, visto e vissuto mi vergogno. L'iniquità di cui sono stato testimone e anche protagonista mi disgusta. Ho apprezzato lo schifo senza rendermene conto, inebetito dalla mia stessa cultura.
La condizione umana è estremamente parziale e fragile. Non è da tutti rendersene conto. Permettiamo e perpretiamo violenza anche mentre ci sforziamo di fare il contrario. Ci muoviamo a branchi affamati e quando siamo sazi ci sentiamo Dio. Sbagliamo di continuo tranne quando ci fermiamo. E stando fermi, senza per questo farci schiacciare, provare a vivere come fiori sbocciati e mossi dal vento. Connessi alle radici, spargendo polline, rivolti al sole di giorno, alle stelle di notte.

Nessuna poesia può spiegare la vita ma ogni poesia può avvicinarsi a darle un senso. Sono frammenti di esistenza, come noi d'altronde, ognuno per sé eppure uniti al tutto. Siamo atomi singoli ma non irrimediabilmente dispersi. Ci apparteniamo e lo sappiamo, come quando osservando gli animali di un ecosistema ne comprendiamo le interconnessioni e le dinamiche che assomigliano al rispetto reciproco anche mentre si sbranano. C'è chi obietta che l'essere umano è il più crudele tra gli animali, che sarebbe capace di distruggere tutto. No,  dico di no. Egoisti lo siamo senz'altro,  pazzi e violenti, manipolatori e assassini,  infami, stupidi e presuntuosi però  non possiamo fare a meno l'uno dell'altro. 

Andiamo avanti sbagliando e pieni di sensi di colpa, vorremmo smettere di soffrire, ci proviamo perlomeno. 

Idioti convinti di saper pensare, teneri, noi sappiamo quanto in realtà siamo fragili ma dobbiamo pur tentare. 

Ogni cosa che vedo a parte la Natura e tranne rarissimi esempi di ingegno umano, è pressoché merda. Non sono superbo, sono sincero. Mi commuove pensare alla nostra bellezza ingenua e inconsapevole, lo giuro. 

A questo punto dovrei compiere un reato oppure un delitto per compensare l'amore che sento per l'umanità, perché appena inizi a tollerarla quella ti accoltella, purtroppo. Umanità che è troppo stupida per fermarsi e tentare di rimediare invece di continuare fino al disastro e poi piangere. Qualsiasi cosa sia è sicuro sarà sbagliata nel 99% dei casi. Ridicolo. Eppure così viviamo noi. È la nostra condizione.

E io? 

Che c'entra,  io ho capito pressoché tutto,  non faccio testo essendo un'eccezione. Non stiamo parlando di me. Io vado avanti perché posso. E questo è davvero tutto un altro discorso. 

Voi dovreste svegliarvi semmai e smettere di fare cazzate, di presumere anche solamente di capire qualcosa che non sia la merda di cui parlavamo prima. E capendolo dovreste disperarvi e poi ridere a lungo. Dopodiché,  ognuno consapevole di ciò,  dovreste pregare Dio per esservi salvati appena in tempo. 

Non lo farete. 

E vi starò a guardare amandovi ugualmente e disprezzandovi al contempo. Non è totalmente colpa vostra,  siete come ragazzini e in passato vi assomigliavo molto anche io. Stronzi. 

lunedì 21 febbraio 2022

L'Amore di Corallo cap 4


L'Amore di Corallo cap 4

- Esistenze diverse, percorsi, destini. Qualcuno ha davvero fortuna, insomma le cose gli girano esattamente come le ha desiderate. Poco dolore, molti piaceri e soprattutto soddisfazioni. Ne ho frequentati un bel po' di questi soggetti, credo non si rendano conto di quanto siano rari e in qualche modo benedetti per il fatto di non dover partecipare alla lotta e all'affanno dei molti che invece non solo non ottengono granché ma vivono costantemente in affanno. Di solito questa gente, i pochi, finisce per ricoprire ruoli di comando o responsabilità sociale, ma non possono davvero capire come funziona il mondo, perché loro non hanno percorso la strada del dolore. Quindi non capiscono niente delle persone, anzi, il distacco è talmente grande che interpretano l'esistenza dalla loro unica prospettiva. Fanno i politici, i dirigenti, i giornalisti, gli artisti, insomma, gestiscono il potere e le comunicazioni ma è matematico che ciò che propongono a chi sta sotto sia una deformazione delle loro visioni prive di realtà.
- Anche quegli stronzi combattono.
- Sì ma per arrivismo, ambizione, ipocrisia, mica per campare, Corallo.
- Vero.
- Ovvio, anche loro alle volte finiscono in merda.
- La giustizia fa giri larghi...
- Di sicuro non la giustizia umana, quella è fatta dagli uomini, quindi è sempre parziale. Ma credo anche in una giustizia universale, che agisce prima e dopo le nascite di tutti noi.
- Tu credi in cose indimostrabili.
- Sì, lo so.
- Beh, ma quindi?
- Nulla, come al solito avevo voglia di riflettere.
- Sto bene ultimamente, ho voglia.
- Di cosa?
- Di tutto.
- Non riusciamo a trattenere niente. Tutto scorre e passa oltre. L'unica cosa che abbiamo è il presente, no?
- Sì, ecco perché bisogna riempirlo di roba buona.
- Donne, soldi ed esperienze?
- Già.
- Lei era stupida ma mi voleva bene. Mi dispiace ce l'abbia con me per il male che le ho fatto. Sono stato duro, d'altronde era insopportabile quando pretendeva troppo, senza pensarci prima. Lei non pensava, al contrario di me. Agiva, faceva, voleva. Litigavamo, andavamo a letto, per un certo periodo è stato impossibile fare a meno l'uno dell'altra. Impossibile. Qualcosa ci teneva, credo fosse un bisogno. Certe relazioni finiscono solo quando sono pronte a liberare chi le ha fatte nascere, come se avessero una vita autonoma. L'amore crea una dimensione a parte in cui due persone partecipano e non ne sono del tutto padrone. E non solo per quanto riguarda l'amore, credo valga per diversi rapporti.
- Eppure volevamo altro, vogliamo altro anche adesso. E lei sta col tizio che le regala i fiori, solita storia...
- Sì, un tema ricorrente nella mia vita.
- Si vede che è così che deve essere.
- Forse, forse è uno spunto per evolvere. Se sono riuscito a risolvere le cose addirittura con mio padre, Cristo, non posso non riuscire a risolvere il tema dell'amore.
- Non ne hai la certezza.
- Vale la pena provarci però.

Mi alzo per bere un bicchierino di whisky e fumare la terza sigaretta del dopo cena. Poi basta, devo andare a letto evitando di addormentarmi sul divano. E devo scrivere, perché è l'unico metodo per capirmi. L'introspezione è un lavoro duro e difficile.

- Ma a chi importa?
- Lo fanno tutti, Corallo, solo che non lo dicono oppure lo fanno male. O magari fanno altro, meglio, ad esempio dipingere o costruire palazzi. Ma tutti pensano a se stessi, hanno dubbi, hai capito no?
- Sì, vorrei solo capire dove vuoi andare a parare.
- Alla verità che mi aiuti a essere utile invece di essere un problema.
- Tranquillo, tanto prima o poi finirai comunque di essere un problema qui sulla terra.
- Lo so perfettamente ma durante il transito vorrei fare qualcosa di buono per me e per gli altri.
- E cosa?
- Dare gioia, smuovere coscienze, proteggere, essere d'aiuto per quelli a cui è capitato di fare errori e vogliono rimediare, come noi.
- Come te, semmai.
- Giusto, tu non sbagli mai.
- Nella mia dimensione non esiste giusto o sbagliato.
- Lo so ma nella mia sì.
- Tu l'amavi?
- Una sera, al mare, l'avevo portata a cena fuori. Naturalmente era felice, lo era sempre quando mangiava in un ristorante,  ma in quel periodo non stava bene fisicamente. Ricordo che osservandola avevo provato dolore profondo e sgomento al pensiero che lei potesse essere grave, che fosse malata seriamente e che avrebbe potuto morire. Il mare scuro di notte alle nostre spalle, luci giallognole e lampadine attorno, ho sentito paura per lei. Credo fosse amore in quel momento.

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mercoledì 16 febbraio 2022

L'Amore di Corallo cap 3

 


L'Amore di Corallo cap 3

- A forza di lamentarti dei tuoi problemi, sei diventato tu il problema.
- E questa da dove esce?
- Così, riflettevo sulle cose - dico a Corallo mentre lui fuma in piedi accanto alla finestra del balcone semi aperta. La luna è quasi perfettamente piena, il cielo blu scuro, freddo e sgombro, di fine inverno.
- Perché cazzo non ci hai pensato prima alle "cose"? - mi chiede lui.
- Come perché? Ero nel panico, sempre appresso alla malattia mentale del Maestro, alle sue manie, e a tutto il resto...
- Tempi difficili, sì. Ansia, ormoni, idiozia.
- Esatto. E poi, a forza di starci in mezzo, compresso e instupidito, sono diventato io il mio stesso problema, capisci? Non che non fossi una vittima delle circostanze, lo ero. Però ad un certo punto ho partecipato alle circostanze, ho scelto di comportarmi male. Di pensare il male. E tu mi hai aiutato, eh.
- Mmm, sì, può essere... - fa lui spegnendo la sigaretta e rientrando in soggiorno.
- Parlavamo di lei comunque. Del fatto che nella nostra storia non ci fosse più spazio per l'amore, solo per la rabbia. Anche se mi ricordo molti bei momenti. Dolcezze, istanti di tregua. Mi sembra di aver vissuto solo relazioni conflittuali da quando ne ho memoria, e del bene ho potuto godere solamente nel ricordo, una volta che erano finite. Anche se ultimamente sono più concentrato sul vivere la bellezza mentre c'è.
- Hai i capelli e la barba piena di peli bianchi d'altronde.
- Sì, è anche per questo. Ma è anche uno sforzo di volontà. L'amore è un costante dare un'opportunità a qualcuno e a se stessi nello stesso momento. Senza calcolo, solo per l'amore fine a se stesso. Come per l'arte.
- Lei ti ha sempre considerato un uomo manchevole di pragmatismo, chiuso nelle sue teorie, incapace di amarla come avrebbe voluto.
- Sì ma le piacevo.
- Sì ma se n'è andata quando le hai fatto capire che poteva essere più felice altrove.
- Avrebbe dovuto resistere, se era amore-amore.
- Cos'è l'amore-amore?
- Quello che esiste e resiste. Altrimenti è amore nel senso di affetto, spiritualità, magari destino avverso, ma non amore- amore.
- Tanta gente sta assieme e non si ama mica, no?
- Non sto parlando di quelli, dai. Anche se lei voleva una vita borghese, di proprietà e sicurezza, proprio come gli altri.
- E tu?
- Complicità, comprensione, ironia, aiuto reciproco.
- Vuoi dire che tu non hai senso pratico? Non valuti una donna per il lavoro che fa? La sua cultura? Il ceto da cui proviene?
- Sì e no. Certo, mi piacerebbe fosse ricca e colta. Ma poi mi accorgo che è una presunzione e pure un'illusione ipocrita. Non si può programmare né un'attrazione né un sentimento.
- Ma ti piacerebbe avesse determinate caratteristiche!
- Certo, nel pensiero! Ma quando una persona arriva nella realtà, tutto quello che hai pensato prima svanisce, se ti attrae, se te ne innamori! A meno che tu non sia una mente fredda, funzionale, alla ricerca di specifiche tecniche. Comunque questo è un discorso da poveri, Corallo.
- In che senso?
- È una ammissione di far parte della media bassa della società. Di quella che calcola un rapporto in base alla funzionalità economica. Esattamente come ragiona mio padre, Cristo.
- Anche i ricchi frequentano solo chi ha un reddito in linea con le loro aspettative.
- Certo, ma raramente amano, i ricchi.
- Già, troppo occupati con altre cose, giusto?
- Sì, con loro stessi. È un peccato grave sentirsi migliori di un altro essere umano. Noto che i ricchi, certi intellettuali boriosi e i nuovi protagonisti dei social si sentono distanti anni luce da chi sta sotto. Credono di essere speciali e appunto siderali rispetto alla massa. È un peccato grave, è un'illusione fatale. Siamo tutti quanti più o meno ridicoli. L'unica differenza sta nel possesso delle cose e dei ruoli.
- Per chi sta sopra, questo non è affatto un problema.
- Immagino di no, finché stanno bene e al sicuro. Poi tutto crolla comunque.
- Mmm.
- Altrimenti bisogna essere dei geni. Rari. Estremamente rari nei secoli.
- E noi cosa saremmo?
- Bella domanda, Corallo.
- Ti senti un genio, fratello?!
- Posso dire che per certi aspetti mi ci sento, sì.
- Quali aspetti?
- Sapere che questo è ciò che importa, a cui tutti devono prima o poi pervenire.
- Questo cosa?
- Un dialogo esistenziale, spietato, profondo con se stessi.
- Touche'.
- Lei era stupida e mi voleva bene. Me ne vuole ancora, come quasi tutte le altre prima di lei. Voleva solamente che fossi più innamorato, più predisposto ad accudirla. Non posso darle torto e nemmeno ragione. Ma preferisco amarla di quell'amore a distanza fatto di affetto...
- Noi finiremo per restare da soli. Bianchi, secchi ma tenaci come certi uomini di mare, e soli.
- No, non così soli come credi, Corallo.
- E come?
- Non lo so ancora esattamente.
- Intanto?
- Il tempo scorre veloce, chi è destinato a fare una famiglia la fa, chi no, no. Non subito, forse mai. Prenderà un cane o dieci gatti, insomma che importa? Chi si sente chiamato a riprodursi lo fa senza pensarci.
- E se non può?
- Adotta o si rassegna. Sarà quello il suo problema esistenziale per cui soffrire e cercare risposte da Dio, farsene un cruccio, disperarsi anche. La vita è ingiusta, no?
- Ingiusta, violenta e crudele.
- Anche, sì.
- Sei ancora convinto che l'amore esista e non sia una tra le tante illusioni?
- Ne sono assolutamente convinto.
- Puoi dimostrarlo?
- E tu puoi aspettare?
- Sì, tutto il tempo del mondo.
- Bene.
- Perché stiamo parlando d'amore?
- Perché dopo tutti questi anni a combattere per un ipotetico successo materiale da stronzi, che peraltro non si è realizzato, ho capito che l'amore è ancora più importante di quanto solo immaginassi. Anzi, lo immaginavo, ma ho voluto dimenticarmene.
- Eppure passiamo il tempo a risolvere problemi materiali, di soldi, oggetti, cose...
- Quella è la sopravvivenza. Non si vive di solo pane è stato detto. Ma non è stato detto che non si vive di pane, no?
- Il pane serve.
- Vorrei andare a vedere le balene un giorno. Mi servono i soldi per farlo. Lei non mi hai mai proposto di fare un viaggio interessante o avventuroso, desiderava solo cose banali e mondane. Uno spreco di risorse. Era una stupidina. Mi fa piacere adesso che sta con lui, l'altro, anche se ogni tanto se ne lamenta.
- È amore quando si augura ad una ex di stare bene con un altro?
- È amore, è affetto, è spiritualità.
- E noi?
- Abbiamo ancora un po' di tempo e una donna che ci aspetta da qualche parte.
- Se lo dici tu...
- Già.

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