Se sono capace di fare qualcosa, certamente è fare schifo. Schifo con il mio proprio stile. So mettermi nei guai più grotteschi, attirare gente stramba, farmi male e curarmi com metodi assurdi. È il mio potere segreto.
- Usa un linguaggio tra il parlato e l'aulico, anzi una forma ricercata tra italiano desueto e falso colloquiale.
Sto nella merda senza affogarci mai del tutto e ci vivo, dentro, da sempre. "Costantemente malato eppur non muore mai", recita una linea de I-Ching. Sono io, sotto pressione, mentre dico che non farò quella cosa per poi farla alla grande. Perché l'errore è una vertigine irresistibile, per me.
- Cosa lo scrivi a fare?
- Stai zitto, questo è meglio di tanta altra roba.
- Lo stile Bukowski non vende e non rende più. Sembra linguaggio da social, narcisismo spicciolo ed egocentrico.
- Pfff, lo dici tu.
- Bisogna essere più letterari, serve qualità.
- Non sempre, non per forza.
Sangue, soldi, saliva e sesso sono i territori che conosco meglio. "S" per tutti. E se parlo di successo è solo perché lo frequento senza esserne protagonista bensì cronista. Essere me, sotto l'ombra di Nelson Corallo, è come desiderare ogni volta di guarire agendo esattamente al contrario, Bastiano. Vino rosso, corpi di donne bagnate di voglia, hanno menti più forti della mia, più sagge della mia, più tutto della mia tranne che l'errore.
- Questa è sottile.
- Dire che le donne sono più di qualcosa è sessismo.
- Hai ragione, riprendo.
Sono un capro espiatorio, Benjamin. Ma negli sbagli e neisensi di colpa, densi, collosi nel sonno interrotto all'alba, io vedo bellezza. Diavolo, morte, stelle e luna. Folle percorso tarotico verso me stesso.
- Tarotico?
- Beh?!
- Non si capisce niente, dai.
- È lo stile.
La vita si è spostata - anche - sulle piattaforme virtuali, è vero. Si vive anche là. Si scrive, si legge, si osserva e si pensa. Forse assomiglia a un sogno distopico, uno di quelli per cui l'intellettuale ci si riempiva la bocca per sentirsi superiore e orwelliano, ma non ci credeva, eppure è così. Bisogna vivere in quei territori se si vuole conoscere la vita attuale, per intero. I ragazzini non hanno smesso di essere curiosi, lo sono altrove. Tutto qui.
"So far schifo in modo geniale, non ne posso fare a meno. Stamattina Toradol scaduto, postumi di qualsiasi cosa accaduta ieri, essere ancora una volta zio, perché ieri è nata lei, nome di Dea, mentre mi audistruggevo ancora un goccio".
- Autocommiserazione e tracce di sentimentalismo, a cosa serve?
- Non sono padre ma avverto un senso di paternità, nonostante tutto.
"Ciao nuova bambina, di come vivo non ne vado fiero, è che mi oriento così in questa esistenza. Un giorno saprai e ne riderai. Ognuno vive come può e come sa, basta che a fine giornata senta di aver fatto il possibile per compiersi com'è".
- Dovrei dormire un po' e non lo farò.
- Ne morirai.
- Si dice che la giovinezza sia una voglia irrefrenabile di vita e di morte.
- Non sei più giovane.
- Forse.
- Credi che questo serva?
- C'è chi legge e lo capisce. È dedicato a chi capisce.
- Dovresti insistere e farne uno stile più maturo.
- L'importante è farne uno stile. Le avanguardie rompono gli schemi, per questo disturbano prima di piacere.
Quando scrivo il peggio di me stesso e del mondo, mi accorgo di essere davvero io.
Io per davvero.
E ho mentito centinaia di volte nel tempo, ho finto di essere cambiato o diverso, ma quello che veramente sono è ancora il peggio di me stesso e del mondo. Con tutta la paura, ansia, invidia, meschinità, rabbia, orgoglio, ignoranza, pregiudizio, violenza, gelosia e ancora ancora fino all'odio più turpe. Questo sono io. Questo sono io quando scrivo sinceramente.
Accorgermene, rendermene conto, ormai a più di quarant'anni, è desolante e liberatorio assieme.
Ho mentito allora? Sono stato disonesto con gli altri quando ho dichiarato che si potesse migliorare e trovare grazia nella vita? Sono nient'altro che un bugiardo? No.
Solo che quella grazia non spetta a me che ho scrutato così tanto nel mio abisso da esserci rimasto invischiato. E l'unica vittoria che ho ottenuto è stato rendermene conto.
- Questo significa dominare la bestia. Certo, avevo paura di mostrarmi realmente al mondo così come mi descrivo perché è necessario fingere in società, dai, è ovvio.
- In che senso?
- Tu assumeresti mai qualcuno che dice di essere un sociopatico? Un disadattato perennemente depresso...
- No.
- È vero che uno scrittore, una persona che vuole fare letteratura e arte in generale, non può non conoscersi così tanto da vedere in sé stesso l'orrore.
- E non può dirlo agli altri?
- Tramite le parole, le opere, sì. Ma mettendosi sempre dietro quello schermo, altrimenti la gente si spaventa. Paradossalmente la stessa gente che soffre e contiene l'orrore dello scrittore, di cui condivide gli stessi abissi inconfessabili. L'arte è un filtro.
- Tra l'autore e gli altri?
- Sì, un velo.
- Capisco.
Non ti credono quando dici di essere un assassino, devi dimostrarlo coi fatti. A quel punto diventi tu il fatto e sei l'assassino ma non esisti più come persona che chiedeva di essere creduta. Credo che qualcuno sfoci nell'omicidio solo perché è stanco di non essere ascoltato. Anzi, ne sono sicuro.
- Quando dici queste cose mi spaventi...
- Lo so ma ricordati che io sono lo scrittore cosciente. Descrivo l'abisso perché lo riconosco, però senza attuarlo. Il che mi rende innocente ma triste.
- Come triste, preferiresti commettere un omicidio?
- Ovviamente no. Ma ne avverto tutti gli impulsi. È l'ennesimo impedimento a compiere qualcosa che mi appartiene.
- Tu sei così, gli altri no.
- Non ne sono così sicuro. Credo che tutta l'umanità sia potenzialmente orribile. Sicuramente vigliacca. Qualcuno reprime, qualcuno no. Qualcuno è fortunato e non ha né bisogno né occasione di conoscersi così bene da scrutare in sé questa merda. Ma siamo tutti potenziali assassini. Lo so.
- È per questo che scrivi?
- Sì per confessare il mio istinto più meschino e feroce. E poi, come dicevo all'inizio, perché solo così sono sinceramente me stesso.
- Tu sei buono, tu sei buono.
- Sono buono? Sono buono, forse lo sono, sì. Ma non sono esente dal resto. Ecco perché non credo in nessuna ideologia, ecco perché non sopporto le avanguardie o gli estremismi, trovo in fondo tutto ridicolo. Senza per questo credere che non valga la pena tentare di migliorare il mondo.
- Non è una contraddizione?
- Sì, lo è. Ma il mio è solo un giro più lungo. Dopo aver appurato che il marcio si nasconde in ogni istanza, anche in quella apparentemente più nobile, io procedo.
- Allora perché ti definisci sempre così disperato e senza speranza?
- Perché nessuno ha voglia di fare la mia stessa fatica. Soprattutto in Italia. Sopratutto nell'editoria attuale. Vogliono o cose semplici oppure spendibili per una corrente politica...
- Mmm, quindi?
- Quindi confesso la mia inadeguatezza e la mia intolleranza. La mia unica premura è di non essere frainteso da nessuno. Credo che tutti quanti dovrebbero fare questo maledetto giro lungo, assumersi la responsabilità di essere orribili innanzitutto, e poi tentare di aggiustare le cose.
- Che cosa?
- Qualunque cosa. Dalla politica alla vita privata. L'esistenza è talmente complicata che c'è sempre qualcosa da dover aggiustare. Ma non ci si può credere sbirri e schierarsi solo da una parte, da qualsiasi parte, e da là giudicare gli altri.
- E dove bisognerebbe stare?
- Prima sul fondo, poi a metà tra luce e ombra. Sempre esattamente a metà. Dove stanno i principi etici irrinunciabili.
- Non ho ancora capito perché sei depresso?
- Perché non vedo nessuno condividere la mia stessa posizione. Soprattutto nell'ambito in cui vorrei esprimermi di più. Vedo solo fanatici. E li vedo sbranarsi per conquistare posizioni di vantaggio e potere ma sventolando bandiere con sopra scritto "giustizia", "pace", "tolleranza". Mi fanno ribrezzo. Anch'io mi faccio ribrezzo ma lo ammetto, e ammettendolo mi salvo dall'essere come loro. Ossia degli ipocriti figli di troia.
- Vuoi concludere adesso?
- Sì, per ora sono a posto, grazie.
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Una felicità disperata. Un modo di vivere momenti di straordinaria contentezza nonostante la tragedia sempre incombente. È questo lo sforzo che mi suggerisce l'anima o l'istinto, chiamatelo come volete, in questi giorni.
Perché ho attraversato la devastazione e ho provato tutta l'angoscia che il passato ha voluto propormi. Per colpa mia, per le circostanze, per casualità e per la cattiveria umana, che non manca mai anzi abbonda.
Ma si arriva a un punto di lucidità che è un bivio esistenziale e ci si dice: basta, basta così. E si riparte.
Allora la vita è viverla ma soprattutto subirla in determinati momenti che possono essere lunghi come intere epoche di nebbia e terremoti devastanti, durante i quali si muore oppure si sopravvive, dopodiché si è costretti a rivedere le immagini al rallentatore ed espiare o comprendere, o anche perdonare se è necessario, ma poi - se si è ancora vivi - bisogna tornare a creare.
Non importano i nemici, le cose perdute, le cicatrici, è necessario tornare a conquistare quegli istanti di felicità che io chiamo disperata, e se qualcosa è rimasto irrisolto, muoversi in fretta per sistemarlo o semplicemente chiuderlo, perché si apre un tempo nuovo, bisogna ripartire.
Ognuno per sé lo sa cosa sto dicendo, lo sa nell'intimo quindi non devo specificare troppo.
L'umanità non è mai coordinata, qualcuno sta iniziando e qualcuno terminando, i simili cercano i compagni necessari alla loro situazione e poi cambiano oppure restano con loro. È tutto un disfarsi e riconnettersi come procedimenti chimici, neuroni, stelle e galassie.
E nel caos universale ognuno cerca di orientarsi e ottenere, lo dico ancora, quegli istanti di felicità disperata.
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