Io sono niente.
Io vivo, mi muovo, mangio, parlo, mi lavo, mi vesto, invecchio, penso e faccio scelte, ma resto niente.
Io vivo nel mio mondo, in questo tempo, in questa realtà, con tutte le contraddizioni dell'epoca in cui sono arrivato, e sono comunque niente.
Io percepisco, intuisco e mi lascio fluire, allora sono tutto. Divento tutto. Non decido, agisco e vado dove devo, quindi sono giusto.
Bisogna crearsi tanto silenzio dentro per arrivare a sentire il necessario.
Io non sono niente e sono tutto ciò che devo.
Silenzio, ritmo, forza.
Non è vero che la vita è vuota, non è vero che manca un senso, non è vero che vincono solo il materialismo e la morte, però è vero che siamo attaccati da ogni sorta di distrazione, dentro e fuori. Ed è una tentazione quasi irresistibile lasciarsi condurre dal desiderio di protagonismo e arroganza, perché è meglio della droga sentirsi importanti. Crea più assuefazione.
Ma no.
Vivo e faccio il necessario. Lo dovrebbero fare tutti. Lo faccio e arrivo a essere ciò che devo, dove devo. Il sangue pulsa più denso, l'ansia scivola altrove, il senso delle cose migliora.
Si sviluppa una voce interiore, è limpida e pulita, sa dove devo mirare e nonostante il dolore eseguo. Mi sento triste solo quando non le permetto di parlare, nei momenti in cui mi perdo appresso a quell'io che crede di essere me stesso e invece è solo il riflesso di ciò che lui crede che gli altri pensino di lui. È l'io che fa comparazioni, sente invidia, pretende, distrugge, desidera il male di chi non sopporta, di chi è imbecille, di chi è narcisista (perché anche lui lo è), di chi ottiene successo grazie ai mediocri e alla mediocrità dell'ambito in cui l'ottiene, è un io a cui ho dato un nome, la maschera che indosso nel mondo quando il mondo mi delude: è Nelson Corallo, buon anno figli di putt*na.