martedì 29 maggio 2012

Down in Mexico, Back to Home*


"Per imparare certe cose bisogna saperne disimparare certe altre" 
Arturo Graf

“Le catene che più ci legano sono quelle che abbiamo spezzato” 
Antonio Porchia



Down in Mexico: Back to home

Eccomi qua: valigia da una parte, chiavi di casa in mano, sto fermo davanti alla porta del mio appartamento. Milano, Luglio 2007, dopo il Mexico.
Il cocktail di jet-lag, abbronzatura tropicale, ricordi sconnessi e paura di ritornare alla vita che avevo lasciato sospesa fuggendo al di sotto del Tropico del Cancro mi tiene sullo zerbino. Cosa troverò adesso? Chi mi aspetta? Se non entro a vedere non lo saprò mai. La verità sta dietro quella porta, la stessa che mi sono chiuso alle spalle e che adesso devo riaprire, ripiombando nella realtà di sempre. Sembra una cazzata, ma se ci pensi bene il momento in cui rimetti piede a casa dopo un lungo viaggio ne segna definitivamente la fine. L'evasione è terminata, si torna dentro. E dentro, tra le stanze, oltre alla polvere, ritrovi i fantasmi da cui eri scappato. Calarti fisicamente nella quotidianità raddoppia la sensazione d'angoscia perché riprendi contatto con un luogo che invece di prometterti "benvenuto" sta dicendo "dove cazzo sei stato?". Come un adolescente nel cuore della notte prega di non far troppo rumore per non svegliare mamma e papà, io inserisco la chiave nella serratura… trick track…

Ma prima è meglio chiudere la parentesi sudamericana (vedi "Down in Mexico, part.I°", post di Marzo).

Ottavo giorno di Mexico.
Non mi sono fatto nessuna ragazza argentina. Il mio unico obiettivo (e rifugio mentale) si è dissolto. Foxy Lady riappare prepotente assieme al terrore di non riuscire mai più - nella vita - ad avere un'altra ragazza. Giuro, ci credo: mai più. Ho l'autostima a brandelli tipica del maschio rifiutato, che lo si vede negli occhi che è disperato. Ho la febbre alta. Ingoio sciroppo e tachipirina in buste che fanno abbassare la temperatura ma la gola è chiusa. Resto in stanza fino a sera. Mino intanto esce con lo Smilzo e il Cagnaccio. Sogno qualcosa. Sogno la piramide di Chichen-Itza. E' alta, squadrata, con il sole che la illumina da dietro e le nuvole attorno. Niente di più. Riapro gli occhi, bevo dell'acqua lentamente perché la trachea fa male. Torno a dormire: sempre la piramide di Chichen-Itza davanti agli occhi. 'Affanculo.

Nono giorno di Mexico. L'ultimo prima della partenza.

Riesco a trascinarmi fuori dal letto e scendo a fare colazione sotto il portico colorato. Lo Smilzo mi chiede come sto usando un certo tono di compatimento nella voce, il Cagnaccio invece ghigna oltre le vetrate della reception. Anche la Ballerina viene a farmi una carezza sulla testa, come fossi un bambino handicappato. Non posso parlare perché il dolore alla gola m'ammazza. Sono debole e bevo succo d'arancia, mangio qualcosa solo per metterla in pancia assieme alle medicine. Uno dei ragazzi cicciotelli che stanno dietro al bancone del bar mi porta del miele di foresta. Mi guarda con quegli occhi da indio che non contemplano la pietà, solo la ferma gentilezza. Grazie, grazie...
Mino prova a scaricarmi in albergo - rassegnato - ma decido che oggi, ultimo giorno, devo tornare in spiaggia.
Sembriamo una scena del film "Un uomo da marciapiede". Mino è il cowboy Jon Voight e io sono Dustin Hoffman con la tubercolosi.
Prima d'arrivare in spiaggia incontriamo la Porca Siciliana. Mino la saluta, io faccio un cenno con la mano. Anche lei ha un fazzoletto a fiori nei capelli, indossa calzoncini short stile anni '50, sandali con zeppe, come la metà delle ragazze che ho visto fino ad ora a Playa. Ma perché sono vestite così? Boh… Mino intanto le si avvicina. La Siciliana non può più nascondersi dietro il make-up e le luci da discoteca. La Siciliana è sotto il sole, nella luce della verità. E' una ragazzotta volgare, con quella cicatrice lungo il collo, che ha perso la spavalderia di qualche sera prima. Mino è imbarazzato, taglia corto la discussione, quasi non le si avvicina neanche.
"Ma cazzo, è un cesso!" dice verso di me quando torna indietro "Non me n'ero accorto, cioè non così tanto…".
"Mmmh…" dico io.
Frega più niente a me. Te la sei scopata tu. E se andiamo a vedere bene, la prima sera, la mia Foxy Brown era più carina. Ma l'ho lasciata andare via perché mi ricordava troppo quell'altra che sta in Italia. Che testa di cazzo sono stato. E poi ho incontrato quelle due argentine coi bei culetti al vento. E tra le due mi sono fissato di più su quella con la faccia da porca, volgare… perché? Certo, perché volevo fare come te, Mino. Volevo fare come lo sportivo che arriva, punta la tipa, se la sbatte e poi non gliene frega più niente. Volevo sentirmi esattamente come te: freddo. Ma se il risultato finale è che ogni volta che rincontri una che ti sei scopato poi ti devi vergognare, allora fattele tutte tu.
Stendiamo i teli sulla sabbia. Fisso il mare.
E' finita 'sta vacanza. Adesso torno a Milano, torno al lavoro che mi hanno scelto i miei genitori e che mi sono fatto andare bene. Torno a casa e magari Foxy Lady mi aspetta, un po' incazzata. Le dirò che ero solo un po' confuso. Che adesso ho capito di amarla davvero. Potremmo trasferirci dalle sue parti, verso Modena. Lei ha quella bella casa in campagna. Ogni volta mi dice che vorrebbe abitare là, tra i campi, poco distante dalla famiglia. Fare una vita semplice. Suo padre potrebbe aiutarmi a trovare lavoro in qualche studio legale del cazzo. Certo Foxy. Come quella volta che avevamo fatto l'amore sul divano della casa dei tuoi e io t'ero venuto dentro. Mi avevi guardato fisso negli occhi e io ti avevo sorriso. Ti ricordi cosa t'avevo detto? Se rimani incinta teniamo il marmocchio, ti sposo e mi trasferisco qua. Davvero? Sì, teniamolo 'sto cacchio di bambino, e stiamo qua. Con i cani nel cortile, le biciclette appoggiate al muro del casale, un lavoro tranquillo. I miei genitori sarebbero contenti, i tuoi anche. Sarebbero tutti contenti. Poi un giorno, verso i 50 anni, potrei decidere di tornare a fare un giro Milano e vedere che il Mondo è andato avanti senza di me. Potrei accorgermi che finché rimango in esilio nella bassa modenese tutto è perfetto ma appena tiro fuori il muso da là tutte le aspirazioni che mi ero negato tornano raddoppiate e mi fanno impazzire. Allora potrei iniziare a scoparmi una ragazza più giovane di te, potrei iniziare anche a prendermela coi nostri figli e alla fine, finalmente, spararmi un colpo in testa. Che ne dici, Foxy? Lo teniamo il bambino?
No.
Mino scrive sms agli amici che lo aspettano in Italia per festeggiare, bere, farsi toccare dalla sua magnificenza. E io sarò tra loro, zitto, a prendere le briciole di ciò che avanza, perché in fondo mi conviene.
Ho già fatto le valigie.
Ancora una volta entro in acqua, mi immergo nel mar dei Caraibi. Cielo grigiastro sulle nostre teste. Basta così.

Verso sera giriamo per il corso di Playa alla ricerca di souvenir. Mino è stato categorico: si deve prendere delle cose da portare in Italia agli amici. Contento te. Me ne fotto adesso, prendi quel cazzo che ti pare, se vuoi ti do la mia parte di soldi, sennò anticipali tu tanto ce li hai, che problema c'è?

"Stasera si cena tutti assieme" dicono lo Smilzo e il Cagnaccio. Tutti, tutti, tutti. C'è la Ballerina, l'amica Messicana, il Matto, gli altri italiani che abbiamo conosciuto. Tutti seduti attorno a una bella tavolata nel locale di un altro italiano che vuole subito una foto con lo sportivo e l'autografo da appendere nel ristorante. Ma certo, cazzo! Va tutto bene, tanto domani ce ne andiamo da qui brutti-porci-figli-di-puttana-servi-bastardi-infami che se era per voi potevo anche morire in albergo l'importante era stare con Mino lo sportivo che vi ha portato tanti soldini e vi ha fatto sentire qualcuno per 10 giorni. Mangiamo! Cosa si mangia qui? Niente, testa di cazzo, perché la mia gola è chiusa e non posso mangiare un cazzo! Però chi è quello? Sì, quel tipo seduto vicino al Matto? E' un tizio messicano che gestisce un bar a Playa proprio con il Matto e un altro italiano. Ha lo sguardo da figlio di troia. E la sua ragazza, italiana, smascella come non mai.
Il tipo messicano che ho adocchiato ha una camicia bianca quasi tutta sbottonata, una collana d'oro e l'atteggiamento da spacciatore di cocaina. E guarda che sorpresa! E' uno spacciatore di cocaina! Che gioia!
Mentre ceniamo, o meglio gli altri cenano e io bevicchio acqua con ghiaccio, osservo la gente che ho attorno. Tutti perfettamente integrati, tutti che parlano la stessa lingua, tranne me. E non mi stupisce che Mino sia più simile a loro che al sottoscritto. Più che altro mi stupisce di non essermene mai accorto prima. O comunque, me n'ero accorto ma facevo finta di niente. Il mio giro d'amicizie milanesi in fondo è stato un compromesso tra quello che volevo e quello che potevo. E qui a Playa si è creata la stessa situazione di estraneità cordiale. D'altra parte la responsabilità è mia, che ho vissuto nascosto, occultato, senza mai dire apertamente quello che mi piaceva o volevo fare, per non creare disordini, per opportunismo e voglia di essere accettato. E in tutto questo avevo idealizzato un amico come si idealizza un amore. Avevo preso Mino, gli avevo attribuito caratteristiche che non aveva oppure che aveva solo in parte e mi ero imposto che questa confezione potesse andarmi bene. Come tutto il resto. Per debolezza e paura, 27 anni a fare le cose a metà, per accontentare tutti. Tranne me.

Finita la cena ci spostiamo al bar del Cocainomane e del Matto. Il terzo socio è un tale Tarchiatello che a Milano, nel periodo delle scuole superiori, abitava nella mia stessa zona. Lui era uno di quelli che avevano lo scooter e facevano brutto ai ragazzini sfigati. Io non sono mai stato nè tra gli zarri veri nè tra gli sfigati veri. Ero un po' l'esterno, in effetti. E mi stavano sul cazzo tutti, tranne Mino. Mentre parlo con il Tarchiatello lui mi offre della tequila fredda, spiegandomi che in Mexico esistono tantissime varietà di tequila, tra cui quelle che vanno servite - appunto - fredde. Gli dico che ho mal di gola, ma quello insiste. Allora butto giù d'un colpo. Il Tarchiatello parla ancora, indica col dito il Cocainomane. Mi racconta che è un buon socio, essendo messicano ha i suoi vantaggi coi contatti di zona, gli sgami, la "bianca".  Versa ancora tequila fredda. Butto giù.
Sapere di dover andare via da Playa mi conforta, adesso. E' stato tutto un casino, non è andato niente come volevo. Pensavo davvero che sarebbe stato un viaggio diverso, cioè come lo volevo nella testa. Ma i giorni erano passati in modo differente dall'immaginazione di poter trovare pace su Foxy, conoscere una ragazza splendida, vivere avventure… su questo viaggio ci avevo scommesso molto più di quanto potessi permettermi, e avevo perso. Perché in definitiva giocavo nel modo sbagliato il gioco sbagliato. Quindi non solo avevo perso ma mi pareva d'esserci andato proprio sotto. Meno male che stava per finire.

La Tipa del Cocainomane rotea gli occhi. E' strafatta, ma il meglio deve ancora venire.
Tutto sommato il Matto e il Tarchiatello mi tirano in mezzo con la tequila fredda. Continuo a bere. Stasera è l'ultima sera, ancora un'occasione per fare qualcosa di buono, checcazzo-ne-so i colori del bar messicano mi piacciono. Ci sono rossi scuri, arancioni psichedelici, tonalità di nero sfuocato. Mi sa che le medicine mescolate alla tequila mi stanno facendo uno strano effetto. Però puttana-eva-cazzo la gola si sta aprendo.
"Ma sì, zio! La tequila disinfetta! Buttane giù un'altra" dice il Matto.
"E dai…" dico io.
E' vero. La tequila disinfetta e io torno a parlare.
"Mino, bevi 'sta roba!" chiamo il mio socio verso il bancone.
"Cos'è?" fa lui.
"Tequila fria!".
E beviamo. Ci sono tipe attorno, gente che per niente ride, sganascia, smascella.
Finalmente ci spostiamo verso il Santanera. Nella piazzetta dove si affacciano tutti i locali è scoppiato il carnevale che avevo visto la prima sera in cui ero arrivato. E' un bordello colorato di razze e musiche. Gambe nude ovunque, felicità nell'aria. Ultimo giro della giostra, zio. Ma prima di entrare nel Club dove ritroverò la musica minimal-house che mi manda a male il cervello facciamo un salto in un altro posto, una discoteca turistica e commerciale dove tutto il gruppo di italiani mi trascina assieme a Mino. Dentro è pieno di ragazze scosciate e fighette. Si balla in pista e sui tavoli. Dalle casse esce la stessa merda che si sente nelle discoteche di Milano e in tutto il mondo: l'ambiente perfetto per lo sportivo Mino. Continuo a bere tequila fredda e mi lascio andare all'euforia generale.
La Ballerina muove i fianchi assieme alla Messicana. Il Cocainomane distribuisce sostanza in giro, la sua Tipa ha gli occhi che sembrano uscirle dalla faccia. Il Matto saltella, il Tarchiato ballonzola, Mino punta lo sguardo sulle ragazze che gli sorridono.
Anch'io muovo il culo e bevo, bevo e muovo il culo. Afferro la Ballerina e la stringo. Quella lascia fare ma il Cagnaccio ci guarda malissimo. Poi mi pare che lei sia in imbarazzo e la lascio andare. Giro la mia faccia altrove e vedo una bella birichina sudamericana che balla poco distante. Mi avvicino e le dico tre stronzate, quella ride. Controllo che non abbia un fidanzato attorno, niente. La tiro in mezzo, però arriva il Matto con una bottiglia e lo seguo per continuare a bere. Riempiamo i bicchierini, tutto d'un colpo. La musica cresce, noi siamo un branco di tamarri che si abbraccia e canta a squarciagola in mezzo alla pista. Orgoglio italico a go-go. La Birichina è sempre là, però la Ballerina torna ad avvicinarsi. Non ci capisco più un cazzo, non so dove devo andare, da chi farmi prendere. Basta questo istante d'esitazione per confondermi. Mino gesticola dal bancone, mi fa cenno di andare a bere ancora. Lo raggiungo, è felice, guarda verso altre ragazze che ballano. Sì, zio, ho visto, ho visto. Mi piace stare di fianco al mio socio adesso, insieme. Sono attimi di condivisione maschile che valgono anche più di un bacio ad una sconosciuta. Cose tipo "non sono gay ma capisco l'affetto che provano gli uomini tra loro". Tanto lo so che al ritorno a Milano le nostre strade si divideranno. Mino, tu in mezzo alla tua gente, amato e osannato, mentre io - a parte quei pochi robbosi che ancora frequento - sarò ogni tanto ricompreso nella lista di persone da salutare per gentilezza e poi ognuno per i cazzi suoi. Ma adesso facciamo finta d'essere amici veri, di quelli che si capiscono al volo, di quelli di cui ci si può fidare. Beviamo, balliamo, cantiamo. Non capisci Mino che per me eri una colonna portante? Un punto fermo? Non capisci che l'amicizia - quando è vera amicizia - è totale? Come è totale l'amore, come deve essere totale una passione, altrimenti è solo una mezza misura che rende la vita insignificante. No, non lo capisci. Ma per me eri un Amico.
Ho lasciato passare troppo tempo. La ragazza Birichina che avevo approcciato è calda, è pronta. Nella sua testa ora esiste solo una legge: divertimento senza pensieri. Se sarai tu quello a farla divertire oppure un altro non le importa, devi andare là e prenderla. Ti ha già detto di sì. Ma è questo il mio obiettivo? Essere uno qualsiasi capace di limonarsi una tipa in discoteca? Io o un altro, tanto è uguale? Vai, cazzo, vai, non ci pensare puttana-eva-cazzo! La Ballerina intanto m'è tornata accanto. Già che ci sono la prendo per la seconda volta, la faccio girare, le ballo attaccato addosso. Il Cagnaccio ne ha avuto abbastanza, è geloso, non sopporta che l'amico handicappato dello Sportivo - cioè io - si faccia la sua ex davanti ai suoi occhi. Ma non viene da me a spaccarmi il muso, non può farlo. Si gira, afferra la mia Birichina e la bacia. Quella lascia fare, tanto è uguale. Vaffanculo. Era roba mia, mi sono distratto, potevo farmela io, sentirmi un fico come gli altri. L'ho lasciata andare. E la Ballerina pare aver ottenuto un altro risultato: adesso che il Cagnaccio è distratto, lei molla me e balla con un bel ragazzetto muscoloso accanto al bancone del bar. Si strusciano pesantemente, anche lei è andata. Non ho concluso nulla, un'altra volta.
All'improvviso usciamo tutti dalla discoteca ed entriamo al Santanera, tranne il Cagnaccio che è rimasto con la Birichina, che avrà avuto sicuramente la sifilide. O almeno lo spero. 
Nel club le luci sono paradossalmente scure, la gente è diversa. Surferos californiani, tipe vestite da pin-up, gay, minimal-house-dj's. Tra il fumo delle sigarette e le luci strobo mi ritrovo a parlare con due ragazzette sudamericane che però hanno caratteristiche occidentali. Mino prende da bere. Non mi ricordo come ma sto già appiccicato a una delle due bamboline. Non ci baciamo, balliamo avvinghiati. Quella dopo un po' mi dice:
"Ay Nelson, tu eres un mujeriego!"
"Què?" dico io.
"Un mujeriego!".
La ragazzina - così, dal nulla - mi sta dicendo che sarei uno di quelli che si fa le tipe con facilità, insomma un provolone professionista. Io? Ma che cazzo stai dicendo? Arriva anche l'amica e nasce una discussione. Sono convinte che il sottoscritto sia una sorta di furbetto da discoteca. E me lo ripetono. Non capisco, è un complimento? Cioè, mi hanno letto nel cervello la convinzione contraria e adesso si divertono a smentirmi? Fatto sta che dopo un po', senza neanche un bacetto, quelle due si spostano in un'altra sala. Mino intanto si è messo a parlottare con una 19enne latina che lo guarda adorante e il Cocainomane mi si avvicina. Mi guarda mentre la sua Tipa smascella e rotea gli occhi in maniera mostruosa, ormai totalmente in preda alla coca e dice:
"Cosa fai qui?".
"Che?" domando io.
"Cosa fai qui, da solo? Perché non ti stai facendo una tipa? Tutti stanno con una ragazza adesso! Guarda!" e fa segno verso la pista da ballo.
In effetti pare che tutti abbiano trovato compagnia: il Matto è con una bionda californiana, Mino con la 19enne, lo Smilzo balla con una di quelle che il giorno dopo sicuramente è un cesso e il Tarchiato ride con una cicciottella. Il Cocainomane torna a guardarmi male.
"Allora, che fai?" dice brutto.
"E che devo fare?" rispondo io sinceramente rincoglionito.
"Trovati una ragazza, sennò sei frocio!" dice lui mentre recupera la sua puttana tossicodipendente.

Mi sono ridotto a farmi dare del "frocio" da uno spacciatore di cocaina messicano che mi ordina di trovarmi una ragazza. Scatta qualcosa dentro di me. Si è rotto un ingranaggio nel cervello. Riavvolgo il nastro degli ultimi momenti della serata: allora, quando ho avuto l'occasione di potermi fare una ragazzetta Birichina l'ho lasciata perdere perché preferivo godermi un momento d'euforia con un amico, lo Sportivo. Subito dopo ho tirato in mezzo la tipa sbagliata, la Ballerina, dalla quale non avrei ottenuto niente, scatenando la reazione dell'ex fidanzato, il Cagnaccio, che si è lanciato proprio sulla ragazza Birichina che avevo lasciato perdere, limonandola a sfregio. Vedendo la scena ho provato rabbia, poi la situazione è cambiata. Mi sono ritrovato avvinghiato a un'altra ragazza che mi ha dato dello "sciupafemmine" e poi se n'è andata. Per la seconda volta nella stessa serata ho perso un'occasione e non ho capito perché: troppo tonto o troppo stronzo? L'Amico Sportivo intanto si è trovato una giovane distrazione, mollando me assieme a un Cocainomane che mi ha appena dato del "frocio" perché non faccio quello che lui si aspetta che io debba fare. La gente mi ripete continuamente quello che devo fare… perché io, in fondo, glielo lascio fare. E glielo lascio fare perché sono il primo a non scegliere una volta per tutte su quale strada devo camminare. Riflessione finita. Vado verso il cesso attraversando la sala nella semi oscurità, scansando gente ubriaca. Amy Winehouse. Nel luglio 2007 mezzo mondo già cantava "Rehab" di Amy Winehouse. E le ragazze si vestivano come lei, stile anni '50.  They tried to make me go to rehab but I said no, no, no. Yes, I've been black but when I come back you'll know know know. Ecco perché sono tutte vestite così. Nel luglio 2007 Amy Winehouse era viva e cantava a ritmo di modern-soul gli stessi argomenti che nel 2011 l'hanno presumibilmente uccisa. Perché Amy Winehouse ha sempre cantato la stessa canzone finché non è morta. Quella ragazza strafatta d'alcool e droga ha enunciato a livello mondiale un'unica esigenza: non voglio smettere, preferisco morire. E così ha fatto. Ma io non sono Amy Winehouse e non voglio morire. E dare ascolto a un pezzo di merda spacciatore cocainomane messicano è l'ultima cosa che farò nella vita. Meglio frocio che testa di cazzo.
Piscio, resto a lungo nel cesso. Poi esco e cerco di concludere tutta questa storia così come è iniziata.
Torno in pista, vado al bancone del bar. Chiamo Mino e mi faccio versare le ultime due tequila. Brindo, lo guardo dritto negli occhi. Alla salute e addio, amigo. Dopodiché, facendo un cenno di saluto al Cocainomane, mi metto sotto la consolle del dj. La musica si mescola alle luci strobo, all'alcool, alle medicine. Il mio cervello si frammenta e rilascia endorfine. Ecco l'ultimo giro di giostra prima di tornare a casa. Non mi importa niente se non faccio quello che gli altri si aspettano da me. Adesso faccio solo quello che voglio io. E' una voce profonda che mi si muove dentro, anche se lì, in quel momento, non lo capisco. Ho dovuto viaggiare centinaia di migliaia di km per incontrare un personaggio talmente stronzo & messicano capace di farmi scattare la scintilla della ribellione più profonda proprio mentre credevo di essermi arreso. Se il Mexico mi aveva dato qualcosa di mistico era arrivato sottoforma di sciamano/spacciatore con la camicia aperta e una catena d'oro al collo. E nelle sue parole di provocazione, pronunciate al Santanera, avevo ritrovato un'importante elemento di me stesso (che avevo seppellito da qualche parte molto tempo prima): l'orgoglio.
La minimal-house del dj è una sostanza immateriale e bellissima che entra in circolo nel sangue. Mi accorgo che le persone che mi stanno accanto sotto la consolle hanno tutte la stessa gioia nello sguardo. Saranno state le droghe o l'alcool, poco importa, ma vibriamo tutti sulla stessa onda. Buena onda. Ancora una volta mi ripeto: "non mi importa niente se non faccio quello che gli altri si aspettano da me" e mi sento bene. Sorrido. Giro lo sguardo, accanto a me c'è la bella ragazza che avevo visto dietro il bancone del bar qualche sera prima. E' bellissima, muove il corpo a ritmo. No, non ci penso neanche a fare il coglione con lei solo perché devo dimostrare qualcosa a qualcuno. La guardo, la saluto. Le parlo, lei mi sorride. Mentre le sussurro una frase all'orecchio le sfioro semplicemente la guancia con la mia. E non riferirò qui cosa le abbia detto. Resterà una scena come quella in cui Bill Murray è assieme a Scarlett Johansson nel finale di "Lost in translation".

"Cammino lentamente verso l'albergo. Non ricordo che ore fossero, era tardi, quasi giorno. Come un randagio cerco le tracce della strada del ritorno, lungo il corso desolato di Playa del Carmen" auto-cit. Down in Mexico part.I°, NelsonR.F.Corallo*
Entro in stanza barcollando. L'alcool pretende che adesso io svenga sul letto, ma prima di accontentarlo faccio una cosa che forse avrei dovuto fare qualche giorno prima. Avete presente la scena di "Trainspotting" in cui Rent è talmente in astinenza che va da uno spacciatore che invece di dargli l'eroina gli fornisce una supposta di oppio? Ecco, io cerco nella borsetta dei medicinali di Mino e trovo una supposta di Tachipirina, una dose massiccia da elefante. Mi abbasso i pantaloni, mi accuccio sul pavimento e mi ficco il bussolotto oleato bello dentro. E' umiliante ma efficace. Butto i vestiti su una sedia e poi crollo. Dormo pesantemente, come non facevo da molto tempo.

Ultimo giorno di Mexico.

Mi sveglio come fossi un uomo nuovo. La gola è libera.
"Cazzo Mino, sto bene!" dico al socio.
"Bravo, proprio oggi che ce ne andiamo…" fa lui malmostoso.
Scendiamo a fare colazione. C'è un vento tranquillo che soffia su Playa. E nel cielo le nuvole sono scomparse. Il sole brilla serenamente. Sotto il portico colorato ci sono tutti i ragazzi e le ragazze con cui siamo stati ieri notte, tranne il Cocainomane e la Tipa strafatta: secondo me non esistevano neanche, erano due spiriti messicani quei due. Comunque, qualcuno beve caffè, qualcun altro fuma la prima sigaretta della giornata.
"Cosa fate oggi?" chiede la Ballerina.
"Andiamo in spiaggia a salutare il mare. Abbiamo ancora un po' di tempo prima di prendere il taxi per l'aeroporto" dico io, inaspettatamente.
"Ma ti è passato il mal di gola?" chiede lo Smilzo.
"Completamente, zio" rispondo io.
"Ah…".
"Allora veniamo anche noi" dice la Ballerina indicando l'amica Messicana che vuole conservare ogni istante che le rimane per stare vicino a Mino.
"Se volete" dico io allargando le braccia.
Il Cagnaccio rogna in disparte.

Lo stesso Dio dispettoso che ha tenuto il broncio per nove giorni di vacanza, oggi ha deciso che il Mexico debba sembrare il luogo più bello della Terra. In effetti Playa del Carmen - oggi - brilla di colori nuovi. Quando arrivo in spiaggia quasi penso sia uno scherzo. Il litorale è pieno di gente, surferos, ragazze in bikini che guardano maliziose. E guardano me. Mi viene da ridere, entro in acqua. E' trasparente, calda, si vede il fondo. Nuoto come un pesce tra mare e cielo, mi sembra di essere arrivato qui solamente adesso. Che ironia malata, Jesus!
Il tempo passa in fretta. Esco dall'acqua. La Ballerina mi guarda e mi riguarda, poi fa:
"Nelson, però… non avevo notato che avessi quelle belle spalle! Fai sport?".
"Sì, faccio boxe…".
"Ah!".
E te ne sei accorta solo adesso, bellamia?!? Forse però è vero. Fino a ieri ho piegato la testa, inarcato le spalle, stando sempre un passo dietro a Mino. Oggi no. Comunque funziona così, l'ultimo giorno di vacanza è quasi sempre il migliore, giusto per farti andare via a malincuore. L'apprezzamento della Ballerina si mescola al buonumore generale, ai colori, al suono delle onde. Però è tempo di tornare a casa, proprio adesso che mi pare di averci capito qualcosa, è già ora di andar via.

Davanti alla porta del mio appartamento. Primo giorno a Milano.

Vaffanculo, non posso restare per sempre sullo zerbino. Giro la chiave, spingo la maniglia. Eccola, è casa. Quanto tempo è passato? Dieci giorni o dieci anni?
Quando nella tua casa qualcosa è cambiato te ne accorgi immediatamente, ma solo a livello inconscio. Continui a vedere tutto come se fosse al suo posto, per forza d'abitudine. Ma dentro di te la sensazione si sta facendo spazio ed ecco che vedi davvero i vuoti. Nel mio appartamento c'erano un bel po' di vuoti. Nell'ingresso, in cucina, in bagno, in camera da letto, sul balcone, dappertutto Foxy aveva tolto qualcosa, portandosela via. Cose assurde come un porta-spazzolino da denti a forma di rana, cravatte, camice, un bastone col manico d'argento, dadi, libri e… cazzo, no! Un quadro: una riproduzione di Tamara De Lempicka che proprio lei mi aveva regalato per la laurea. Mi tremano le gambe. Ogni passo che faccio in casa è una coltellata. E' questo il divorzio? Credo di sì.
Urlo.
Puttana, troia, puttana, bastarda!
E poi faccio una cosa che volevo fare, senza averne trovato prima il coraggio. Prendo il cellulare, digito un numero.
"Ma che cazzo hai fatto? Sei impazzita?"
"Ma che cazzo vuoi! Stronzo! Era roba mia!".
"Non era roba tua, stronza! Era roba mia!".
"Ma stai zitto…"
"Come ti sei permessa? Ti rendi conto di quello che hai fatto? Mi hai svuotato casa!".
"IO? IO MI DEVO RENDERE CONTO DI QUELLO CHE HO FATTO?!?" urla Foxy.
"Sì!".
"STRONZO, VIGLIACCO, UOMO DI MERDA! POVERO TESTA DI CAZZO, CHE SEI SCAPPATO IN MESSICO DOPO CHE MI HAI LASCIATA CON UNA EMAIL! BASTARDO, FIGLIO DI PUTTANA! SAI COME CAZZO SONO STATA? SAI COSA HO PROVATO IN QUESTI DIECI GIORNI MENTRE ERI LA'? BASTARDO, MISERABILE, UOMO DI MERDA! COME CAZZO HO FATTO A STARE CON UNO COSI'? ME LO DEVI DIRE TU, VIGLIACCO, PERCHE' IO NON CI CREDO ANCORA! COME CAZZO HO FATTO???".

E' questo il divorzio? Ne avevo visti tanti in tribunale mentre facevo l'avvocato praticante, ma ora lo provavo sulla mia pelle. Sì, è questo il divorzio.

Cosa resta dopo la spallata che ha fatto crollare il castello di carte? Restano ferite profonde, dure a richiudersi, e cicatrici sparse. Restano amarezza, dubbi e giornate lunghe e solitarie. Restano tantissime ore vuote che ho riempito immergendomi nei film - vivendo le trame dei protagonisti - oppure nei libri. Ecco perché cito di continuo personaggi e situazioni viste su pellicola.
Senza più Foxy ero tornato a essere un ragazzo solo. Andavo a lavoro, la mia Boss - l'avvocata dagli occhi di ghiaccio - pareva contenta. Adesso mi aveva tutto per lei. Ero ancora imprigionato nello studio legale, dove passavo più tempo del solito solo per non tornare a casa. E poi i contatti con Mino, dopo la vacanza, si erano diradati come avevo pensato. Di conseguenza anche le uscite con la gente della sua compagnia erano diminuite. Ormai ero l'amico esterno, sempre più esterno. Così dovevo reinventarmi nuovi contatti e occasioni per non seppellirmi definitivamente dentro casa. Lentamente, giorno dopo giorno, scansando crisi d'astinenza da ritorno con Foxy (che dopo la telefonata non avevo più sentito) avevo recuperato certi vecchi rapporti coi robbosi che frequentavo un tempo. Amici del liceo, gente da pub inglese, un po' grigiastra, senza troppe aspettative. Ma non ero migliore di loro, sicuramente. E poi c'erano quelli che non sono mai mancati da quando li ho conosciuti: M. lo Svedese, Ivano, il burbero Frank, eppoi Dima il filosofo urbano, il ragazzaccio Ruben, il cugino Donatorum e il sartomusicale Peppe. Infine, a forza di eliminare gentaglia dalla mia vita e tornando lentamente a fidarMi degli altri, s'è aperto uno spazio per far entrare linfa nuova: il mio socio Ramòn e l'apprendista Cilamachele.

Comunque, quello che non ti dicono mai nei libri o nei film è questo: che dopo la rivoluzione la cosa più difficile è la ricostruzione. Solitamente nei film si vede una scena neutra, un paesaggio, una vista sulla città sotto cui compare una scritta tipo "six months later". Ecco, nei film è facile intuire che è trascorso del tempo, ma nella realtà quotidiana vivere sei mesi in una situazione di crollo totale che comprende: Amore, Amicizia, Lavoro, Famiglia, è un tempo lunghissimo. Sono giorni di merda. E solo se arrivi alla fine puoi dire: come cazzo ho fatto a resistere? Perché sono tutti bravi a dire che bisogna avere il coraggio di cambiare, di reagire, di eliminare le cose che ci fanno stare male. C'è un gran numero di libri che ti spiega come il protagonista si impegni a sovvertire il mondo, fuggire dalla prigione, tornare a casa etc. etc. dopodiché ti lascia là con la prospettiva che dopo il bordello tutto andrà bene. Invece no. Dovrebbero avere il coraggio di dirti che il peggio deve ancora venire. Perché è facile prendere un esercito, spostarlo in Medio-Oriente e fargli bombardare tutte le città che incontra lungo la marcia con la scusa che il Dittatore deve essere abbattuto per il bene della democrazia. Il difficile è poi ricostruire mettendo d'accordo la popolazione che s'è vista bombardare senza distinzione e che adesso non sa come campare, e quasi vorrebbe indietro il Dittatore. E se non lo fai, se non ricostruisci, il popolo insorge e si ribella, e cercherà di restaurare il Regime che c'era prima. Così è la mente umana. La prima cosa che fa dopo il crollo è inventarsi una strategia segreta di "resistenza" alla guarigione. Quando uno sta male, e soffre, non vuole una cura. No. Vuole un sedativo. Perché prendere coscienza di aver costruito buona parte di se stessi su basi estremamente sbagliate fa male. Aprire gli occhi e dire, oh cazzo, mi sa che avevo un amico immaginario, un amore appassionato ma troppo simile a quello dei miei genitori (che ho sempre visto come due sadici dipendenti l'uno dall'altra), un lavoro opposto a quello che sognavo da piccolo e, infine, un orgoglio da adolescente anziché un carattere da adulto… fa molto male. Bisogna dirle 'ste cose. Altrimenti sarebbero tutti capaci a ricominciare daccapo, senza crisi, senza presa di coscienza. E soprattutto, se fosse così facile capire i propri errori e cambiarli senza sforzo, perché allora un sacco di gente preferisce chiudere gli occhi e farsela andare bene piuttosto che correre il rischio di sovvertire una vita intera? Semplicemente perché fa male. Fa troppo male. Ammettere d'aver sbagliato tutto fa male nel profondo. E' meglio lasciare tutto così com'è e avvelenarsi lentamente. Ma io ormai ero andato troppo in là.

Dopo il "divorzio" con Foxy ero dimagrito parecchio. Facevo pugilato tre volte a settimana. Il resto del tempo lo passavo o in studio legale oppure a leggere libri e guardare film. Dopo il Mexico avevo passato l'estate come un rimbambito perennemente stravolto, ma avevo praticato il sesso. Eh già. Nonostante la difficoltà iniziale mi si erano presentate svariate occasioni nelle quali m'ero gettato a capofitto, senza pensarci troppo. Anzi, quando mi ricordavo del Mexico e delle esitazioni che avevo avuto là, non ripetevo gli stessi errori. Certo, mi sono capitate delle piccole avventure, e ho fatto ad altre donne quei danni che avevo subìto io, ossia le prendevo e poi scappavo. Le svuotavo come Foxy aveva fatto con la mia casa. L'idea della mia ex era uno scudo protettivo, un alibi per dire: no, non sono ancora pronto per impegnarmi. Ed era vero, all'inizio. Poi alla lunga è stato solo un anestetico per non rimettermi in gioco. E a parte avvicinarmi fisicamente, riprendere contatto con l'idea di provare affetto per una donna e quindi ammettere ancora una volta d'avere dei difetti caratteriali m'è sembrato impossibile.

Ripensandoci credo che la forza di volontà/disperazione che mi aveva portato a spezzare certi vincoli emotivi con un bel po' di persone/amici/famiglia/lavoro veniva anche da quell'orgoglio perduto che avevo ritrovato proprio in Mexico. Ormai ero nella fase del 'svuotiamo casa', quindi dovevo approfittare per fare piazza pulita e trovare un modo per cambiare vita. E poi, subito dopo l'esproprio proletario di Foxy, era nata in me una dose di cinismo e rabbia che non credevo d'avere. Ammetto che sono cose utili se vuoi andare avanti senza cadere nel panico. Iniziavo a percepire la realtà come cattiva, quindi dovevo darmi una sveglia, accettare di non poter viaggiare perennemente nei miei sogni d'adolescente e, quindi, fare qualcosa di concreto. Però quegli stessi elementi che sono utili inizialmente (cinismo e rabbia) e che ti servono per continuare sulla strada intrapresa senza ripiegare come un vigliacco, li devi tenere sotto controllo. Altrimenti crescono troppo e fanno danni. L'orgoglio che ti aiuta a mandare affanculo tutta quella compagnia di gentaglia con cui non ti riconosci più aumenta in maniera esponenziale. A tal punto che ti difende dal farti mettere i piedi in testa da chiunque, però ti rende ringhioso e sospettoso con tutti. E il cinismo è un veleno che corrode e con l'età avanza. Quindi, fino a poco tempo fa, anziché essere contento per la riuscita dell'impresa rivoluzionaria di me stesso ero più impegnato a vedere nemici ovunque. Senza accorgermi che le stesse persone che mi avevano messo sotto i piedi, tuttosommato, lo avevano fatto perché glielo avevo lasciato fare io. Erano tutti strumenti per un risveglio della mia puzzolente coscienza. La compagnia di Mino, il Cagnaccio, lo Smilzo, il Tarchiatello e il Cocainomane erano i personaggi che avevo scelto inconsciamente per darmi una smossa. E oggi, per quelle piccole teste di cazzo, in qualche modo provo affetto. Un affetto agrodolce. Anche se non tornerei indietro neanche per berci una birra assieme.

E così, mentre affrontavo terremoti emotivi a 360°, la mia famiglia lentamente entrava in crisi alla vista della mia crisi (di cui dovrò parlare in un altro post, perché è troppo complicato adesso) e nonostante la paura di non riuscire più a trovare una donna, ero risultato abbastanza canaglia da iniziare sia un'attività parallela a quella legale (scrivendo articoli per un quotidiano on-line e testi per un'emittente radio di provincia [assieme al buon pugile Luca Margiotta e alla Regia Sandro B.]) sia una sequenza di amplessi occasionali e storie malate. E per ogni ragazza presso cui ho sentito un po' di calore umano, nonostante le paranoie post-coito, ho provato affetto. Ho il ricordo d'ognuna, anche se non ne è nato un Amore. Ed è grazie a loro che ho sviluppato una nuova coscienza di me stesso.

Tornando all'Amore. Così come Foxy si era allontanata giorno dopo giorno, anche Mino aveva preso il largo. Nei momenti di ricaduta, quando non dormivo la notte pensando di non potercela mai fare a ricostruire qualcosa di me stesso, mi dedicavo al pensiero costante di odiarli tutti e due. Uno perché era uno sportivo ricco, con tanti stupidi servi attorno, e l'altra perché era stata tanto squallida da "rubarmi" in casa e non aveva appoggiato la mia idea di rivoluzione esistenziale. Dovevo vederli come nemici, assieme a tutti gli altri. Dovevo farlo per prenderne le distanze. Mi comportavo come quelli - e ne vedo tanti - che sono riusciti a crearsi un'identità rozza. E' un inizio, però non è sufficiente. Cioè ero nella fase dove è tutto o rosso o nero. Dovevo condannare una parte del mondo per salvare quella in cui ero io. Quindi non mi sentivo più sottomesso ma eroicamente "contro". Ero simile a chi deve condannare ad ogni costo, tutto, sempre. Ero come quelli che imbastiscono dibattiti sui social-networks senza sapere di cosa parlano ma avendone un'idea vaga, preconfezionata. Sono stato simile a chi dice: "No, al centro sociale non ci vado, troppo comunista…" ossia "No, in discoteca non ci vado, troppo forzaitalia…". Ero come il fratello di Edward Norton in American History X: pieno di rabbia, incazzato e tosto. Però, quando è finita quella fase testosteronica mi sono visto, in fondo, come un qualunquista: uno con la mente chiusa, uno che dopo aver messo in piedi due o tre cose a cui aggrapparsi s'è sentito forte. Merda, merda, merda. Perché una conoscenza parziale fa più danni  di una profonda ignoranza. E di 'sta cosa mi vergogno, e ci provo ogni giorno a vedere le cose secondo diverse prospettive, costruendomi un'opinione aperta, andando a osservare tutto coi miei occhi. Ascoltando gli altri, col beneficio del dubbio. E ancora non ci sono arrivato a quell'oggettività cui aspiro. A quel distacco sereno dalle cose, al buddismo zen. Errore dopo errore, però, conto di farcela al compimento dei 90 anni.
  
Intanto, visto che intanto sono passati 5 anni da quel cacchio di viaggio messicano, ho capito il significato della parola rispetto. Che innanzitutto è rispetto di se'. Ossia di me. Anche quando faccio figure di merda, anche quando mi accorgo di non averci capito niente oppure di avere paura di tutto. E il rispetto delle mie debolezze - senza autocommiserazione - coinvolge il rispetto degli altri. Più rispetti te stesso e meno odi la gente, figa, è vero. Ad esempio Mino. Dopo averlo rivisto nella giusta prospettiva, con pregi e difetti, non sono più riuscito a rimproverarlo per avere certi amici di merda attorno. Cioè, lo penso lo stesso, ma come potrei andare da lui e dirgli "oh, la gente che tu consideri di valore in realtà fa schifo!", urlandoglielo in faccia. Con quale diritto? Solo perché vorrei aprirgli gli occhi? Oppure perché sono convinto di quello che dico? Non lo so. Non mi riguarda, più che altro. Così come non permetterei più a nessuno di venire da me a dirmi cosa o come devo pensare. Rispetto è astenersi dal rompere i coglioni agli altri. Altrimenti sei solo un pretenzioso coglione, incazzato fondamentalmente con te stesso come uno "che critica un film, senza prima, prima vederlo" Mio fratello è figlio unico, Rino Gaetano. Ma nonostante l'idea illuminata di essere più tollerante, ancora oggi, devo sforzarmi ogni giorno per non cadere nella trappola di credere d'aver ragione. E pure questa è una cosa che si tende a non dire all'interno dei manuali della felicità best-seller new age, dove il/la protagonista dopo una serie di catastrofi trova la ricetta per l'equilibrio karmico e da quel momento in poi è un fico di Dio. No, cazzate. Ho imparato che l'equilibrio è frutto di lavoro quotidiano, in bilico tra le sfumature che cambiano ogni giorno. E un'altra cosa che ho appreso è che prima di arrivare a un minimo di saggezza ci sono circa un centinaio di false illuminazioni e crisi mistiche da affrontare. Ad esempio dopo aver raggiunto un traguardo, grazie alle nuove psico-tecniche sviluppate, ti convinci che stavolta è arrivata la svolta, si passa di livello. Invece no. E' come quando riesci a rompere con una ragazza opprimente, che ti ha mandato a male per mesi facendoti soffrire, togliendoti energia, e un giorno ti svegli e riesci a dirle "basta". Lei se ne va, tu ti senti rinato e pronto a cominciare un'altra storia, appagante e piena di prospettive. Invece dopo una settimana quella ti manda un sms oppure la incontri per strada (o magari sei tu che ti dici "ma sì, adesso siamo tranquilli, che male c'è se ci rivediamo?), credi di saper gestire la situazione e senza manco accorgertene sei di nuovo a letto con lei, dopo aver scopato furiosamente, mentre ti dice che è colpa tua se lei sta tanto male etc. etc. E questo vale in ogni ambito: lavoro, amicizia, famiglia. Credevi di aver trovato la soluzione invece sei il solito egoista e ti deprimi anche più di prima. Perché succede questo? Per la storia che ho detto più sopra, quella del sedativo. In verità non vuoi risolvere la questione, vuoi solo differire il problema, proprio perché risolverlo costerebbe molta più fatica e soprattutto sacrificio. E rinunciare a un'abitudine radicata fa più male che sopportarla.

Foxy Lady. Anche se ci eravamo separati di fatto eravamo ancora legati da fili invisibili.
Ci siamo rivisti nell'autunno del 2007. Ho preso un treno e sono andato nel modenese. Era là che mi aspettava con un regalo: una bilancia da cucina. Me l'ha data e mi ha detto "la prossima volta imparare a pesare le parole". Dopodiché mi ha insultato per il resto della giornata, e io mi son preso tutto, zitto. Alla fine però, prima di salire sul treno per Milano, ci siamo baciati. Un lungo bacio d'addio.
Ma la primavera dopo eravamo ancora una volta assieme. In lei qualcosa stava cambiando come accadeva a me. I suoi fianchi si erano arrotondati in mia assenza, nei suoi occhi una luce diversa. La sua femminilità amplificata. Ci siamo incontrati una sera. Passeggiavamo parlando di noi, e dopo poco Foxy ha vomitato in una siepe. Grottesco, siamo finiti in un bar a bere birra e giocare a biliardo. Lei mi odiava abbastanza e ci teneva a dirmelo per farmi sentire una merda. Poi però ha accettato di salire a casa mia. Le ho detto di non rubarmi nient'altro dall'appartamento, lei ha riso, carogna. Abbiamo fatto all'amore. Non sesso, proprio amore. Ci siamo concessi tutto quello che non avevamo avuto negli ultimi tempi, vittime della routine, dei dubbi. Ho preso Foxy come fosse l'unica cosa che volevo al mondo, e lei lo ha fatto con me. Il giorno dopo, al risveglio, anziché pensare di tornare insieme abbiamo vissuto entrambi la consapevolezza di voler esaurire quello che ancora ci teneva legati, segretamente. 
E' passato del tempo da quel giorno. Capelli rossi ancora sparsi tra le mie stanze. Fotografie da mettere via. C'è stata distanza con qualche eco di parole, messaggi, altri silenzi.
Avremmo potuto tornare insieme? Forse. Ma non l'abbiamo fatto.
Avevamo vissuto un Amore io e lei? Sì. Anche se poi si era trasformato in altro.
E oggi? Perché ne parlo ancora oggi?

Perché solo ultimamente ho capito qualcosa di fondamentale riguardo me stesso. Ho capito d'essere come un tossico che, nonostante la disintossicazione, nel profondo rimane un tossico. Un soggetto a costante rischio di dipendenza. Nonostante le migliaia di trabocchetti mentali che ho creato per rendermi 'immune' dalla sensazione che si avvicina al sentimento amoroso, finalmente mi sono arreso. Mi alzo in piedi e lo dico ad alta voce "Ciao, mi chiamo Nelson e ho un problema con l'affetto…". Ma sì, ho ammesso una verità intrinseca al mio essere: io sono un amore-dipendente. Non un furbo-figlio-di-puttana che in verità vuole cazzeggiare con le tipe, no. Sono uno di quelli che dall'Amore si allontana con tanta più forza proprio perché ne è attratto disumanamente. Chi - anche solo per un istante - ha provato l'appagante sensazione di vivere in armonia con un altro essere, amandolo, rispecchiandosi nei suoi occhi, sentendosi compreso nel profondo, può capirlo. E' la più sublime delle estasi. E io che l'ho assaggiata, la rivoglio. Ma ne ho paura, perché non credo d'essere capace di sopportare l'eventualità che questa cosa possa - un giorno - spezzarsi un'altra volta. Sono debole. In "Sonatine" Takeshi Kitano dice alla ragazza che ha appena salvato, uccidendo un uomo, che chi spara per primo non è il gangster più coraggioso ma quello che ha più paura. Così vivo costantemente con una pistola carica verso l'evenienza di caderci ancora in quel sentimento, allontanandomene. Il fatto è che ad un certo punto, dopo una serie di amplessi e rapporti interpersonali che si ripetono con le stesse dinamiche, e che hanno come conclusione sempre la stessa scena di me che dico "non sono pronto, non è colpa tua, però…" mi sono reso conto di essere incastrato in un meccanismo che non porta da nessuna parte. Tranne che a idealizzare l'ultimo amore vissuto e tenerlo come un feticcio accanto al comodino, nascosto nell'armadio, seppellito sotto il letto. Perciò, dovendo essere coerente con quello che ho fatto finora, è venuto il tempo di guardarmi allo specchio, darmi del coglione e gettare le armi. Altrimenti che potrei fare? Accontentarmi e lamentarmi. No. Non dopo aver spazzato via ciò che credevo essere fondamentale: Foxy, Mino, rapporti familiari, carriera come avvocato. A parte i momenti in cui la vita ti impone di volare basso, senza chiedere nulla di più, ho stabilito di aspirare alla completezza di ciò che credo essenziale, quindi meglio tornare a sud, "fuga dell'anima tornare a sud, di me, come si torna sempre all'Amore", Camera a sud, Vinicio Capossela.

Se sono riuscito a far saltare le gabbie in cui ero chiuso, rinunciando alle abitudini che mi tenevano assuefatto, allora posso fare ancora un altro passo avanti, mi sono detto. E giocarmi il tutto per tutto. Ma è arrivata la mia piccola stalker letteraria, voce della coscienza femminile, a cazziarmi con largo anticipo sulle mie intenzioni pseudoromantiche. Mela, così si chiama la stalker, un giorno mi ha avvertito:

    • "Ma adesso che hai capito di essere uno alla ricerca di una relazione adulta non puoi solamente stare lì ad aspettare un'ipotetica Lei. Primo: perché devi trovare il modo di star bene da solo. Secondo: perché se imposti una relazione su una base del genere è mooolto pericoloso.

    • Mooolto pericoloso, con tre "o". Ma cazzo, è dal 2007 che sono solo. Cioè, periodicamente solo. E l'unico pericolo che vedo è quello di abituarmi così tanto a questa vita cinica da non riuscire più a fidarmi di nessuna donna, con l'unica prospettiva di scrivere puttanate rosa-noir su un Blog. Giudaporcobastardo, io sono un pasticcino ripieno d'amore in attesa della Sexy Principessa!

    • "Sono strasicuro d'essere geneticamente programmato per vivere tutte le mie qualità, esprimendole al massimo, solo quando sono in coppia, nonostante la negazione che ne ho sempre fatto. Anche se fino a ieri ho vissuto il paradosso per cui: se sto con una donna mi pare di non capire chi io sia, ma se sto senza una donna non so esattamente chi sono..." le ho scritto in risposta.
Mela ha continuato a cazziarmi. Probabilmente ha ragione lei, ma ci sono giorni in cui ammetto di sentire davvero un vuoto interiore che potrei colmare solo con la presenza di una compagna al mio fianco, capace di completarmi, di cui fidarmi. Mi domando perché debba essere tanto sbagliato ammettere di non essere capaci di riuscire a fare tutto da soli. Ma è appunto questa la stronzata: sentirsi vuoti o non-completi non è un buon motivo per doversi innamorare: è solo profonda nostalgia. 'Fanculo, ha ragione Mela. Però mi rimane il dubbio che non possa invece avere valore la teoria per cui un uomo - che abbia fatto un percorso evolutivo - possa trovare il compimento di se stesso accanto a una donna, e non per forza come rifugio, ma come atto di abbandono di se' per fondersi nell'altro. Mi viene in aiuto un aforisma che ho letto in spagnolo: "No vengo para que cure mis heridas de nino, ya las he curado yo. Vengo para que beses mis cicatrices".

Nella notte tra il 19 e il 20 Maggio 2012 il mio letto s'è messo a tremare. Ho sbarrato gli occhi nel buio e ho pensato "checcazzo, 'sti terremoti stanno rompendo i coglioni…". Ho acceso il computer per vedere le prime notizie on-line, erano le 4.20 del mattino. Intanto il mio vicino di casa stava rientrando da una serata piuttosto movimentata. L'ho beccato sul pianerottolo mentre saliva le scale.
"Oh zio, paura eh?" dico io.
"Paura di cosa?" fa lui.
"Il terremoto, non l'hai sentito?".
Quello mi guarda con la faccia stravolta.
"Non ho sentito un cazzo…" dice lui.
"Eccerto, tu il terremoto adesso ce l'hai in testa!".
Il vicino aveva assunto parecchie sostanze quella sera, così l'ho fatto entrare da me, ho messo l'acqua sul fuoco per fare la tisana e ci siamo fumati un cannone. Intanto dal web arrivavano le prime notizie sull'epicentro sismico. Ho letto il nome di un paese, nel modenese. Ho rivisto immagini belle chiare nella mia testa, di me che giro in bicicletta sotto portici stuccati, su stradine di pietra rossa, attorno ad una rocca medievale tra i campi della bassa padana. Puttana-eva. Il terremoto è successo nel paese di Foxy Lady.
Una parte di me si è staccata immediatamente ed è volata là. L'altra, quella razionale, cinica, ha pensato: "Cazzo, che ironia malata un terremoto con epicentro a casa di Foxy proprio mentre scrivo l'ultimo capitolo della nostra relazione su un blog…".
Il giorno dopo mi sono convinto a scriverle un sms dove le chiedevo se stessero tutti bene. La risposta non mi ha rassicurato parecchio quando ho saputo che tutta la sua famiglia era altrove quella notte, purtroppo per assistere all'ennesima operazione della madre che da tempo lotta contro una malattia bastarda. Insomma, neanche Foxy sapeva esattamente cosa fosse successo alla propria casa: "Mi sembra di sognare" mi ha scritto alla fine. Un brutto sogno, molto reale.
Lo ripeto, una parte di me è andata là, vicino a lei. Però, a parte sentirmi partecipe di un dolore, e vedendo le immagini di quel paesino di provincia, che per circa tre anni avevo vissuto come un abitante amoroso, mentre mostravano i danni del terremoto, ho sentito uno strano, egoistico, sollievo. In me è avvenuto il crollo materiale delle ultime responsabilità nei riguardi di Foxy. Perché adesso non posso fare niente per lei. Perché sento che lei non vuole più nulla da me. E' triste ammetterlo, ma se non la lascio andare non riuscirò a vivere altro.

E quindi?
Scrivere la cronaca di un Amore. Far rivivere i personaggi, ammettere dubbi e nevrosi. Pubblicare tutto su un Blog perché questa storia non appartenga più solo a me, nell'epoca delle comunicazioni via web, dello scambio di notizie, della condivisione a velocità istantanea. The Age of Aquarius. Gettare l'intera faccenda nel calderone dell'inconscio collettivo, dove si muovono i sogni e le paure della totalità degli esseri di questo Mondo. Non essere io il protagonista, ma lo spettatore. Come in un film, buio in sala, relax. Anche se è normale che poi mi aspetto altro dalla vita. Sentimenti a parte. Nutro speranze su me stesso, ché tanto se non lo faccio io non lo fa nessuno, allora tanto vale, tra una crisi e l'altra… scrivere, scrivere come una cura. Egocentrico? 'Fanculo no. Ho un'idea precisa sulla scelta di raccontare le mie storie anziché produrre un'indagine sulla società, politica, camorra, mondo dell'arte etc. etc. Perché sono convinto che, fino a quando non mi sarò ripulito dalla ruggine che mi corrode, il mio sguardo sulle cose sarà solo parziale, con il pericolo di inquinare argomenti che invece dovrebbero essere trattati oggettivamente. Quindi è meglio scrivere cazzate su me stesso piuttosto che spargere merda sugli altri. Anche se oggi mi pare di andare avanti camminando all'indietro, con lo sguardo su un passato chiarificato ma senza vedere cosa mi aspetta in futuro. E Amy Winehouse. Sì. Tra le tante - per concludere - scelgo lei nel video "Back to black". Me la riguardo adesso e invito a fare lo stesso, ora, dopo aver letto il finale di questo mio racconto nero/rosa. Seguire insieme a lei quel corteo funebre in bianco e nero mentre canta "We only said goodbye with words I died a hundred times / Ci siamo detti addio solo a parole Io sono morta un centinaio di volte" a me personalmente serve. Vedere quelle immagini, come in un sogno lucido, è un sano atto di rinuncia a qualcosa che non mi appartiene più, e che deve essere seppellito. Ma ogni volta che nell'inquadratura appare lei, mentre getta terra sulla buca, non dimentico di chiedermi cosa io abbia seppellito esattamente. Mi domando quanto di me ho nascosto sotto terra. Forse troppo, che invece dovrei riesumare, riportare alla luce. E penso, alla fine, una cosa fondamentale. Penso che la stessa bella, triste, sensuale ragazza che vedo nelle immagini, di cui sento la voce, è morta. Io invece sono vivo. E posso ancora provare a cambiare molte cose.

Fine


Nelson*Rocco*Francesco*Corallo




"Back to black": http://youtu.be/TJAfLE39ZZ8

Post Scriptum:
La piramide di Chichen Itza è stata eletta nuova meraviglia del Mondo moderno. La scelta ufficiale delle Sette Meraviglie del Mondo è avvenuta a Lisbona il 7 Luglio 2007: specificamente per la presenza del numero 7 (07/07/07). A livello temporale la premiazione è stata fatta subito dopo il mio ritorno a Milano, quindi mentre ero là in Mexico non sapevo ancora che Chichen-Itza fosse tanto meravigliosa. Ma anche se ho preferito ambientare il racconto Mexicano interamente nel mese di Luglio, volevo dire che a me quella cazzo di piramide è piaciuta anche prima della premiazione mondiale.

sabato 12 maggio 2012

Down in Mexico, part. III°



 "L’amore, nelle diverse forme di attaccamento e nelle manifestazioni più positive e più sane, rappresenta un'importante capacità e un naturale bisogno di ogni essere umano. Tuttavia la frustrazione o l’assenza di esperienze serene [...] possono generare un disconoscimento o una negazione di questo bisogno che rappresenta invece un sano sviluppo psicofisico ed è sintomo di buona salute mentale. Quando un rapporto affettivo diventa “dolorosa ossessione” l’amore può trasformarsi in un’abitudine a soffrire fino a divenire una vera e propria “dipendenza affettiva”, un disagio psicologico che è in grado di vivere nascosto nell’ombra anche per l’intera vita di una persona ponendosi tuttavia come la radice di un costante dolore e alimentando spesso altre gravi problematiche psicologiche, fisiche e relazionali". 

cit. "Love Addiction"



Quando sento il mio tormento, Di vendetta il cor favella, Ma se guardo il suo cimento, Palpitando il cor mi va. 

("Don Giovanni" Mozart, Donna Elvira: atto II, scena XIV)




  

La mattina dopo la cena con la Ballerina e l'amica Messicana, lo Smilzo ci blinda fin dalla colazione. Vuole venderci un'altra gita organizzata per turisti occidentali. Stavolta blocco Mino, mi impunto e gli dico che è meglio se ne riparliamo più tardi: non voglio far guadagnare $ a quei pezzenti, a mie spese. Lo Smilzo però non demorde, come se non ci volesse perdere d'occhio, e ci convince ad andare con lui e il Cagnaccio su un'altra spiaggia dove altri amici, italiani, hanno una posada. Ci caricano sulla loro jeep. Ancora una volta qualcuno mi porta via dalla possibilità di incontrare le ragazze argentine: il mio miraggio sessuale. Quando arriviamo alla posada però sento che - stavolta - valeva la pena dare retta allo Smilzo. Dalla piazzola sterrata del parcheggio attraversiamo un boschetto di palme e vegetazione, poi ci troviamo davanti a un grande gazebo, con all'interno una lunga tavolata e amache di tela attorno. La struttura di legno incornicia il mar dei Caraibi sullo sfondo. Resto a bocca aperta per la seconda volta da quando sono in Messico. E' come avere davanti un'immagine da rivista fotografica, solo che stavolta è la realtà. Anche il cielo è più azzurro oggi, qualche nuvola ha deciso di spostarsi verso sud. Ci presentano vari personaggi che sono andati via dall'Italia per aprire attività là in Messico. Hanno tutti quello sguardo da ex tossici, tuttora tossici, che adesso almeno pippano in un ambiente più salubre. Hanno tutti una moglie che è rimasta una zarra nell'animo e sono interessati solo a quello che dice il mio amico sportivo. Nelle loro facce ritrovo i caratteri somatici della gente di Comasina, persone che stanno attaccate fisse alla materia. Di me se ne fottono senza riguardi. E io, a un certo punto, non ci faccio più caso.
Una scodella piena di gamberetti e pomodorini tagliati a cubetti viene appoggiata davanti a me mentre un tizio, anche lui di Milano ma che vive a Playa da qualche anno, parla di quando stava in Italia e rischiava di impazzire. Mentre lo dice mi accorgo che non è che adesso sia poi tanto sano ma almeno è divertente, mi tira in mezzo, dice cazzate una in fila all'altra. Anche lui era un bravo sportivo, poi si era infortunato sputtanandosi la carriera. Adesso gestisce un bar a Playa assieme ad altri ragazzi, due italiani e uno messicano. Mentre mangiamo mi racconta dell'ultimo uragano che è passato di là.
"Tutti si erano chiusi in casa. Io e il mio socio abbiamo preso il motorino… un motorino del cazzo e siamo andati a farci un giro!" dice lui.
"E come avete fatto?" chiedo io.
"Devi capire che l'uragano ha dei momenti assurdi in cui tu ci sei talmente dentro che tutto sembra normale, capito?"
"No".
"Ti spiego… noi siamo arrivati alla spiaggia. Se tu vedevi il mare, cioè l'acqua era ferma. Cioè, non c'erano le onde, sembrava che l'acqua faceva le bolle - e mima le bolle con le mani - E' assurdo ma è così. Quando l'uragano è proprio sopra di te, tutto sta fermo. Il cielo è giallo, l'aria è bloccata...".
Non so se stesse inventando tutto o se fosse vero, però mi divertivo. Quel ragazzo Matto, magro, coi nervi tesi e la barbetta simpatica, parla e mi distrae dai pensieri. Guardo oltre il profilo delle sue spalle abbronzate e vedo il mare, oggi finalmente chiaro, mentre mangio gamberetti freschi sotto un gazebo di palme e legno. Magari anch'io, in quell'istante, ero al centro del mio personalissimo uragano e per un attimo tutto mi pareva essersi cristallizzato. Anche la gola distrutta dopo la nottata a casa della Porca siciliana ( vedi Down in Mexico part.II ) faceva meno male. A un certo punto lo Smilzo, dopo un'occhiata col Cagnaccio, riparla della gita organizzata, della caparra etc. etc. e Mino sta per dire di sì, come al solito senza chiedermelo, quando il Matto si intromette e mischia le carte in tavola. Benedetto Matto! Interviene al momento giusto, tira in mezzo tutti, distrae dall'argomento e ci porta in acqua. Mentre nuotiamo mi dice sottovoce di non stare dietro al Cagnaccio e allo Smilzo, sa lui dove portarci quel pomeriggio. 

E alla fine, non ho ancora capito come, quello stesso pomeriggio ci ritroviamo io, Mino e il Matto su un battello, direzione Isla de Las Mujeres.
"Lo Smilzo e il Cagnaccio sono due infami! E' per questo che vi porto io invece che farvi andare con il loro tour operator. Quelli vi fottono e basta, vi fanno pagare come agli americani!" fa il Matto.
"E me n'ero accorto…" dico io.
"Ma sì! Adesso che scendiamo da 'sto battello vi porto in un posto spettacolare!".
Lo seguiamo e ci ritroviamo in mezzo a tante piccole baracche di legno colorato, dove i messicani contrattano con i turisti affittando quelle macchinette che si usano sui campi da golf. Con qualche soldo ne prendiamo una anche noi e viaggiamo sull'unica strada asfaltata dell'isola. Prima guida Mino, tutto fico, con gli occhiali da sole a goccia, mentre ridiamo come tre ragazzini. Arriviamo a un porticciolo, parcheggiamo la nostra macchinetta e saltiamo a bordo di una barca dove il capitano si fa chiamare El Diablecito. Quando siamo poco distanti dalla costa quello ci mette in mano pinne e maschere da sub e ci dice di seguire la corrente, poi ci rivediamo dall'altra parte dice El Diablecito. Il Matto si tuffa, fa cenno di seguirlo.
Mi ritrovo immerso nell'acqua cristallina. Sono sorpreso per la terza e ultima volta da quando sono in Mexico.
Un universo di pesci, scogli di corallo e anemoni fluttuanti là sotto.
Nuoto con la corrente in mezzo a quello spettacolo psichedelico.
Vedo la luce e tutti quei colori che mi mancano.
Là sotto trovo pace, nel silenzio alternato alle bolle d'aria che escono dal boccaglio.
E' in quella profondità che mi accorgo dei barracuda. Lunghi e sottili come lame di coltelli luccicanti. Stanno fermi, immobili, puntano gli scogli in attesa che un pesce si distragga. Fissano tutto, fissano anche me. Uno, grande, bastardo, coi denti che gli spuntano dalle mandibole, che potrebbe sgozzarmi in un istante, mi fissa con un occhio rotondo, freddo, assassino. Muove solo la coda, lentamente. So che non verrà da me, ne sono certo, ma lo temo. E lo rispetto quel figlio di puttana.
Do un colpo di pinne, la corrente mi trascina in un corridoio subacqueo invisibile.
Un branco di pesci minuscoli e gialli mi circonda. Ci sono immerso dentro, come fossero scaglie di luce accecante.
E ancora una volta ripenso a Foxy.

E' il 12 Maggio 2012. Fuori il tempo è grigiastro, mucchietti di polline volano in sciami. Scrivo la terza parte della cronaca messicana intitolata "Down in Mexico". Per chi non avesse letto i post precedenti faccio un piccolo riassunto così se li può anche saltare. Allora, c'è un tale che si chiama Nelson Corallo che nel 2007 decide di lasciare la sua fidanzata, Foxy Lady, e partire con un amico per il Mexico. Mentre è in Sud America si accorge che i ricordi lo perseguitano nonostante le centinaia di km che lo separano dall'Italia. La sua psiche sta cadendo a pezzi e il Messico è diverso da come se lo aspettava. Nel frattempo ha un breve incontro con una ragazza messicana, che gli ricorda fin troppo quella che ha lasciato a casa, e intuisce che la sua amicizia con Mino, l'amico d'infanzia e suo compagno di viaggio, si sta sgretolando per la differenza di mentalità tra i due. Mino è uno sportivo bello e ricco, Nelson è un praticante avvocato pentito e, nonostante tanti anni di conoscenza, i due amici non riescono più ad avere un dialogo. Nelson allora cerca distrazioni dai suoi pensieri malsani, conosce due argentine sexy e prova in tutti i modi a portarsele a letto per dimostrare a se stesso (e all'amico) di essere un fico. Intanto si intromettono altri personaggi, Mino fa sesso con una Porca siciliana mentre Nelson si ammala di mal di gola e non riesce quasi più a parlare, osserva le vicende che gli capitano attorno ripensando a Foxy che è in Italia e non si sa se lo aspetta per accoltellarlo o per amarlo ancora. Adesso Nelson, Mino e un altro personaggio - il Matto - sono sott'acqua, nei pressi dell'Isla de Las Mujeres, nuotando tra pesci colorati e barracuda.

Il barracuda mi fissa. Non mi avrai bastardo di un barracuda! Lo tengo d'occhio mentre pinneggio sfiorando gli scogli. Pesci "pappagallo" mangiano sul fondo sabbioso. Mi distraggo e mi taglio un braccio strisciando su un corallo. Corallo. Cos'è un corallo? E' una pietra? No, non proprio, perché vive, cresce, muore. E' una pianta? No, perché sembra una pietra. E' velenoso? No, però se ti ci tagli fa un male porco. E' una pietra preziosa? No, però se lo lavori può diventare bello. Corallo è il cognome di mia nonna Ines, adesso è il mio. Seguo la corrente che ci sta portando verso la barca del Diablecito. Il Matto ci fa segno di salire a bordo e ride tutto contento.
"Uno spettacolo, eh?" dice lui.
"Bellissimo…" fa Mino.
"Mmmh…" mugolo io mentre il dolore alla gola è tornato dopo l'immersione.
La mia trachea è a pezzi. Secondo me non riesco più a parlare perché non voglio più dire niente, mi sono rotto i cojoni dei discorsi che ho fatto fino a ora. Meglio stare zitto. La barca del Diablecito ci porta a riva, dove abbiamo lasciato la golf-kart. Stavolta guido io mentre torniamo al molo per riprendere il battello e tornare a Playa. Osservo l'azzurro di cielo e mare cercando solo di non pensare. Il Matto intanto parla con Mino. 
"Come si sta a Milano?" domanda il Matto.
"Mah, io ormai vivo in Sicilia per lavoro, però quando torno ci sto bene, ho la mia famiglia, gli amici…" dice Mino.
"No, zio, io adesso non potrei più tornarci - dice il Matto - sono troppo abituato a stare con gli infradito tutto l'anno!".
"Mmmh…" annuisco io.
"Oh, comunque quando stavo a Milano non è che ci stessi male… Cioè, riuscivo comunque a farmi le storie in giro. C'è ancora la Pergola?".
La Pergola era un centro sociale del quartiere Isola di Milano, un posto di quelli dove ballavi reggae, elettro, trip-hop, dub, acquistavi ganja dai tipi di colore, oppure mangiavi, ascoltavi jazz, leggevi libri. L'hanno chiuso nel 2009.
"Boh…" dice Mino che non ha mai frequentato certi posti.
"Sì" riesco a dire io.
"Una volta, troppo bello, io e un mio amico avevamo gli skate. Sai che in quel periodo tutti avevano lo skateboard, e provavamo a fare i salti sulle rampe, vabbè…" ride il Matto "Avevo 'sto skateboard e con il mio amico decidiamo che dobbiamo farci un simbolo ognuno sotto la sua tavola dello skate, così per riconoscerci. Comunque, il mio mio amico si fa una falce&martello tipo comunista, allora io c'ho pensato e ho detto che dovevo farmi anch'io un simbolo fico…"
"E cosa ti sei fatto?" domanda Mino. 
"Eh, ero un ragazzino, forse ho un po' esagerato e me ne sono accorto quando sono andato in Pergola. Un pomeriggio che passavamo di là per comprare un po' di ganja dagli africani che stanno là…" racconta il Matto "…arriviamo con gli skate e iniziamo a vedere in giro se ci vendono qualche grammo. Intanto tenevamo gli skate, sai, per le ruote e sotto si vede la tavola con il simbolo. A un certo punto uno si mette a urlare e chiama gli altri! Un bordello! Mi spingono, ci stavano ammazzando…".
"Ma che cazzo avevi sotto lo skate?" domanda Mino
"Eh… una svastica…".
"Cosa?"
"Sì m'ero fatto una svastica, tipo nazista, cioè io non lo sapevo. A me sembrava fico, nel senso… cioè il mio amico falce&martello e io la svastica, boh, era fico, zio…".
Certo, è fico entrare in un centro sociale con una svastica… penso io.
"E poi?".
"E poi siamo dovuti scappare di brutto che ci volevano ammazzare a tutti e due! Fascisti, nazisti, skinhead… urlavano di brutto tutti i punkabbestia e ci tiravano dietro le bottiglie di vetro, troppo divertente…".

Al ritorno in hotel lo Smilzo e il Cagnaccio fanno finta di niente però si vede che sono incazzati di brutto perché invece di spendere i nostri soldi (arricchendo loro e il tour-operator) io e Mino abbiamo seguito il Matto risparmiando parecchio. Godo. Verso sera beviamo una birra sotto il portico dell'hotel. La gente passeggia. Sono stanco, davvero stanco e devo prendere altre medicine perché la gola inizia a farmi preoccupare. Però oggi no, rimando a domani. Mino si vede che mi considera un handicappato per questa faccenda della gola, tipo che se uno si ammala in vacanza è un povero rincoglionito. Mi piacerebbe spiegargli le mie ragioni ma non servirebbe a nulla. Sto zitto a bere la mia birra e decido che stasera andassero tutti a fare in culo, io mi fumo una canna e vado a dormire. Ed è proprio quello che faccio.

Il giorno dopo la gola non è migliorata. A gesti spiego a Mino che devo cercare una farmacia e che lui vada pure al mare, io me la caverò.
Esco dall'albergo con la macchina fotografica che mi sono portato dall'Italia, un Yashica reflex, di quelle col rullino, che adesso non esistono quasi più perché pare che se non hai una digitale non sai fare le foto. Hey testine di cazzo! La novità è che se hai una fotocamera digitale non è che per forza sai fare le foto! Eccheccazzo… Giro per la cittadina e guardo i colori attorno mentre sto attento a riconoscere qualche simbolo che ricordi una farmacia. Alla fine la trovo: c'è il simbolo della Farmacia. Il tizio mi da un altro sciroppo ma nulla di veramente efficace per me. Scatto foto attorno, fa caldo, ritrovo l'albergo, dormo…
Ormai ho perso quasi tutte le speranze riguardo le ragazze argentine. In alcuni momenti dico a me stesso che gli ultimi giorni in Mexico mi serviranno a fare due cose: cercare di parlare con Mino per restaurare il nostro rapporto d'amicizia e schiarirmi le idee riguardo Foxy. E' vero l'ho lasciata con una e-mail, è vero sono scappato come un infame però adesso torno, ci guardiamo in faccia, parliamo. E poi lei ha ancora le chiavi di casa mia.

Mino torna in camera verso il tramonto. Mi guarda mentre leggo un libro disteso sul letto. Mino mi guarda nello stesso modo in cui aveva fatto il barracuda sott'acqua e ho la netta sensazione che mi stia giudicando male. Tutti i buoni propositi su un dialogo adulto col mio amico scompaiono e il mio mal di gola diventa un'arma. Mi dispiace, socio, sto male! Se vuoi andarti a divertire esci con lo Smilzo e il Cagnaccio, no? A Milano fai sempre così! Chiami Nelson per un caffè e poi te ne vai all'Hollywood coi tuoi amici, no? E se capita che vengo anch'io, minchia, sembra una concessione dall'alto dei cielo! MAVVAFFANCULO.

Così il mio sesto giorno di Mexico lo trascorro a succhiare sciroppi, fumare ganja e dormire. Alla sera mi sposto in una zona dell'hotel con dei divanetti di vimini e mi guardo un film americano in tv. Mino proprio non lo accetta e va a farsi un giro. Però dopo un'ora torna. Mi gira attorno…
"Ma come cazzo stai? Oh! - mi tocca con un piede - Come fai ad ammalarti in vacanza?".
"Eh…" mugolo io.
"Minchia, ma sei un'ameba!"
"Eh…".
"Ma non ti vergogni?".
"No…".
"Cosa stai guardando?".
"Mmm…".
"Vabbè".
E si siede anche lui sul divano di vimini, a guardare "Dare Davil" in lingua originale. Dopo un po' ci addormentiamo tutti e due. Passa il custode incazzoso e spegne la televisione. Mentre andiamo verso la nostra stanza Mino dice esattamente queste parole:
"Però, anche una sera tranquilla, ogni tanto, ci sta…". Sembra una cosa da niente ma è la seconda volta che il mio amico ammette sotto-pelle di soffrire di una nevrosi per cui rilassarsi è sinonimo di debolezza. Ossia, se sei in vacanza senza la fidanzata devi - obbligatoriamente - spaccarti il fegato ogni sera, provare a chiavare ogni istante, essere felice ad ogni costo e mai, MAI, essere stanco… La mia gola fa male, Foxy è un ricordo che mi tortura, le tipe argentine non ci sono, il mio lavoro da avvocato mi fa schifo, la maggior parte della gente che ho attorno sia qui che a Milano la sento estranea, però: in quanto a stanchezza, psicosi e capacità d'ammetterlo, cazzo, sono un drago.

Settimo giorno di Mexico. Mentre provo a riprendermi la salute, Mino ha affittato una macchina per un'altra gita. Stavolta si va a Tulum. Però stavolta il socio non si è fatto fregare nè dal Cagnaccio e neanche dallo Smilzo. Si va senza tour-operator: io e lui e basta. La cosa mi fa piacere, torna un po' quella voglia di parlare con un amico. Mino guida, io cerco le indicazioni stradali. Osservo il Mexico che scorre dietro i finestrini. E' davvero grande. Le strade, gli alberi, tutto ha dimensioni sproporzionate in questa terra. Intanto arriviamo al sito archeologico di Tulum, nello stato del Quintana Roo. A picco sul mare c'è una costruzione che si chiama "El Castillo", con una grande terrazza e un piccolo tempio sulla cima di una scalinata. Non è Chichen-itza ma anche qui non è male.

"Guarda i Maya…" dice Mino indicando la costruzione di pietra.
"Eh già".
"Si erano fatti il palazzo con vista mare, mica scemi".
"No, per niente".
"C'era il re dei Maya che si svegliava la mattina, faceva un paio di sacrifici umani e poi un tuffetto direttamente nel Mar dei Caraibi, o no?".
"Sì, me lo vedo il re dei Maya. Bello rilassato, dopo che si era fumato la ganja maya, sgozzava uno e poi tuuufff…".
"Ganja maya…".
"Chesstoria…".
"Oh…".
"Eh…".
"Ma come cazzo si fa ad andare in un centro sociale con una svastica sullo skateboard?".
"Ah, ah, ah…".
"Ma come cazzo stava messo?! Davvero, una svastica in un centro sociale!".
"Ah, ah, ah!".
Io e Mino ridiamo. Senza pensieri, preconcetti, amori finiti o soldi di troppo o troppo pochi. Per un attimo si torna in V° elementare, compagni di banco. Diciamo cazzate e ridiamo. Intorno a noi le iguane passano lente sulle stradine che attraversano i ruderi. Tulum è abitata dai quei rettili che ti guardano con riservatezza, come se fossi il loro ospite, e poi vanno via.
"Ma secondo te 'ste iguane se la mangiano la ganja maya?" domando io.
"Sicuro. Guarda che occhi da fattone...".
Decidiamo di andare a stenderci un po' in spiaggia. La gola mi fa ancora male, ogni tanto succhio un po' di sciroppo. Mentre camminiamo verso un sentiero che scende al mare Mino indica un punto.
"Non sono le tue amiche quelle?".
"Che?".
"Quelle due, là, non sono le due argentine?".
"Oh cazzo, sì!".

La mia gola guarisce istantaneamente. Vado incontro alle ragazze salutandole. Dopo un paio di chiacchiere ci ritroviamo tutti e quattro nella nostra macchina. Le ragazze ci hanno invitato a vedere una spiaggia ancora più bella, poco distante. Gesù-Maria, grazie, grazie, grazie…
Stendiamo le asciugamani sulla sabbia bianchissima. Il mare respira forte oggi, le onde spumano. Alle nostre spalle palme verdi e vegetazione orgogliosa mi rinfrescano i pensieri. Sono felice, sorrido verso Mino mentre le ragazze argentine si spogliano facendo comparire quei culetti tondi di cui non mi ero dimenticato. E' la svolta. Un grande Dio benevolo ha voluto farmi prima soffrire e poi, sul limite della speranza, mi ha concesso la grazia. Nonostante le probabilità fossero di 1 su 1.000.000 ora, adesso, in questo istante, accanto a me ci sono le due ragazze che ho visto, approcciato, desiderato, voluto e che pensavo di aver perso. Un miracolo. Una di quelle cose per cui dici che vale la pena stare al mondo - grazie-grazie-grazie-Dio-grazie! avrò l'occasione per concludere il percorso mentale e fisico che IO ho scelto, in una sequenza di causa/effetto, da quando IO ho deciso di rischiare e provarci, track!, per dimostrare a me stesso che sono capace, che sono padrone, che per la prima volta nella mia vita avrei scopato con una ragazza conosciuta al mare! (Sì, non avevo mai fatto sesso con una tipa conosciuta al mare e mi sembrava davvero brutto). Però le due argentine mettono i loro teli da mare non proprio attaccati ai nostri, cioè, a dire la verità, un po' distanti. E anche loro sembrano distanti. E poco amichevoli. Dalla boscaglia alle nostre spalle arrivano risate di ragazzi e ragazze che anticipano la vista di un gruppetto di post adolescenti che si stanno avvicinando a noi. Pericolosamente a noi. Due ragazzi 21enni coi costumi da surferos, in particolare, si avvicinano fin troppo per i miei gusti, e dopo pochi istanti limonano con le due ragazze argentine. Ricordo che la mia gola è tornata a serrarsi altrettanto velocemente di quando si era liberata.

"Andiamo a fare un bagnetto?" chiede Mino.
"Sì".
Scavalchiamo le onde che tentano di buttarci per terra. L'acqua è calda. Ci tuffiamo e continuiamo a fare i deficienti tra i cavalloni. Nuotiamo, sputiamo a occhi chiusi verso il cielo sbuffando come trichechi. Restiamo là, tra i flutti.
"Si sono fatte accompagnare dai fidanzati…" dice Mino.
"Me ne sono accorto, zio… Speravo di… boh…".
"Te le volevi fare?".
"Sì, sinceramente sì".
"Chi delle due?".
"Boh, forse quella con la faccia da porca, Alexandra…" ammetto io.
"E Maria?".
"Maria è carina, eh?".
"Molto carina, e secondo me è anche birichina".
"Tanto ormai…" mugugno io.

Stesi sui teli ci asciughiamo al sole. Il gruppetto accanto a noi schiamazza, ride. Poi tutti si alzano e si disperdono, tranne Maria e Alexandra che perdono un po' di tempo. Mentre i loro amici si allontanano nella boscaglia le due ragazze si avvicinano a noi. Alexandra mi dice qualcosa all'orecchio, non capisco cosa, resto sdraiato, occhi socchiusi, gola pulsante, poi lei mi da un bacio sulla guancia e così fa Maria con Mino, dopodiché sculettano via, per sempre.
"Porco cazzo…" dico io.
"Sì, lo so…" fa Mino.
E la gola mi fa più male di prima mentre la febbre, lentamente, sale.

Prima di lasciare la spiaggia io e Mino beviamo una birra seduti ad un chiringuito che sta sotto le palme. Continuo a fissare il mare, poi mi decido a parlare.
"Mino, non ti manca G.?".
"Boh…".
"Cioè - dico io - nonostante tutto il bordello che ti è successo, non ti manca comunque?".
"Sì, alla fine sì. E' strano perché in effetti dopo la storia dei soldi vorrei ammazzarla, però comunque ho provato tanto per lei… quindi, sì, mi manca".
"Ma perché vi siete lasciati?".
"Beh, intanto perché sentivo di non amarla più. E forse il motivo più vero… non so come spiegartelo…".
"Provaci".
"Fai conto che io con lei non riuscivo più… toh, a guardare il mare, come adesso… Nel senso che se stai con una persona e ci stai bene, alla fine, non hai bisogno di dire troppe cose, puoi stare anche così a guardare il mare. Oppure fare domande stupide, tipo "oh, ma perché il cielo è azzurro?" e poi dire stronzate, essere curiosi… non saprei dirlo meglio, capito?".
"Mi sa di sì… io con Foxy più che altro mi sono reso conto che avevo voglia di cambiare. Io volevo cambiare modo di vivere, di lavorare, di superare certe cose del passato, della mia famiglia, e lei no. Se provavo a spiegarle che stavo male a vivere così, senza sapere perché, lei andava sulla difensiva, non voleva ascoltarmi… ecco, lei certe cose non voleva sentirle, mi smontava, mi diceva di non pensarci…".
"E ti manca?" domanda Mino.
"Hai presente quando eravamo sott'acqua, coi pesci, i coralli, i barracuda?".
"Sì".
"Fai conto che io pensavo quasi solo a lei".
"Ho capito".

In effetti il motivo a base della rottura con la modenese, Foxy Lady, era paragonabile a una cura contro le dipendenze da droghe pesanti. Nel 2007 avevo la ferma convinzione che se avessi voluto davvero cambiare certi modi d'essere che mi procuravano falso piacere e molto dolore dovevo per forza disintossicarmi. Avevo già provato la stessa cosa con la "bianca" ed ero riuscito a togliermela di dosso. Non vuol dire che poi non ho provato sudori freddi a rivederla in giro, la bianca intendo, però sono stato più forte. Ma staccarsi da una sostanza che agisce sul sistema nervoso e mettere da parte gran parte di un'esistenza familiare/amorosa sono due cose diverse. L'una comporta una battaglia contro qualcosa di esterno mentre l'altra coinvolge il nemico più subdolo: te stesso. Però l'idea di rivoluzionarmi m'è sempre piaciuta, così mi ero messo sotto e avevo iniziato a tagliare rami secchi. Con costanza e aiuto esterno (senza ammettere d'avere bisogno d'aiuto non serve a un cazzo altrimenti) ero partito dalla rivalutazione della mia famiglia: sensi di colpa ereditati, modi di fare da nazista di mio padre, accondiscendenza subdola di mia madre, questioni irrisolte coi parenti, invidie tra fratelli, rabbia personale, inconscio etc. etc. Avevo fatto tutto il buon percorso psicoanalitico vecchia scuola, "old school", da Freud a Jung passando per Gurdjieff, Anne Schutzenberger, Robin Norwood, Jodorowsky, la Scuola di Palo Alto, l'analisi dei sogni, sciamanesimo, letture: Seneca, Pirandello, Herman Hesse, Dostojewski, Buzzati, Svevo, Pavese, Brancati, Hemingway, Coelho, Richard Bach, i fumetti di Manara, Hugo Pratt, Paz, Dylan Dog, manga erotici japponesi, musica classica, dub-step, jazz, hiphop, house, cinema: Fellini, Monicelli, Risi, Woody Allen, Scorsese, Tarantino… e sport: correre, sollevamento pesi, mangiare sano, fare boxe… Avevo guardato in faccia tutti, senza maschere, prima di tutto me stesso, e con un bel po' di sforzo avevo detto che m'ero rotto i coglioni. Avevo stabilito che avrei finito quel cazzo di praticantato legale e poi avrei cambiato strada. Già vivevo in un'altra casa e se proprio non mi volevano aiutare mi sarei messo a fare il cameriere. E il bello è che per un certo periodo l'ho pure fatto il cameriere, subito dopo aver dato l'esame d'avvocato. Ma prima di tutto volevo che Foxy facesse la stessa cosa. Nel senso: io e lei avevamo dinamiche familiari simili, situazioni quotidiane davvero somiglianti, solo che io mi ci opponevo. Provavo a staccarmi e lei invece ci sguazzava dentro. Ad un certo punto il mio lavoro di "ripulitura" era diventato come volersi disintossicare mentre la persona che ti sta accanto continua a farsi. Non è facile. Allora chiedevo a Foxy di farla insieme 'sta cura, di combattere vicini. Ma lei niente, diceva ch'ero matto, che quello che avevo in testa erano solo paranoie, che l'analisi psicologica era una puttanata. Diceva che dovevo pensare a stare bene con lei, lavorare nello studio legale e pensare a una vita insieme. Io, che ero convinto di stare sulla strada giusta, ci rimanevo male quando lei mi diceva così, e poi si creavano incomprensioni sempre maggiori, ricatti, vendette, le strade iniziavano a dividersi. Però Foxy era una parte di me, carnalmente radicata in me. Quando la osservavo pensavo fosse magica, pensavo che lei fosse la parte migliore di me. Senza di lei non sarei riuscito a fare niente, non sarei mai stato niente. Ma, in uno di quei giorni in cui - stranamente - l'orgoglio torna a bussare da qualche parte nel cervello, ho sentito me stesso dirmi due cose: "Se è vero che lei è la tua donna, allora perché soffri tanto accanto a lei?" e "Se pensare di stare senza di lei ti crea tanto terrore non è forse perché sei troppo debole? Questo è amore o dipendenza?". La seconda: dipendenza. 

Con la drastica caduta delle prospettive di riuscita con le due argentine, la gola infiammata, il senso di impotenza e la vecchia vita che mi aspettava a Milano ( visto che, a parte enunciare ideali di rivoluzione personale, a livello materiale non avevo ancora cambiato nulla tranne fuggire da Foxy) la febbre aveva totalmente vinto. Avrei trascorso gli ultimi giorni in Mexico come un cadavere, sarei tornato a casa sconfitto, avrei pianto come un moccioso e poi avrei pregato Foxy di tornare da me chiedendo scusa, scusa, scusa a tutti, ai miei genitori, sorelle, amici di Mino. Avrei strisciato nella melma, fatto l'avvocato, finto di essere un altro, avrei ringraziato per le elemosine del mio amico super-fico, avrei rinnegato la psicoanalisi e i miei desideri di indipendenza, avrei accontentato tutti tranne me, basta che la Vita non mi deludesse più, ti prego, ti prego, Vita, non farmi male… 

Ma lo stesso Dio prepotente, che m'aveva sottratto le due ragazze argentine solo un attimo fa, aveva qualcos'altro da darmi prima di lasciare la grande terra Mexicana. E lo scriverò sul prossimo capitolo di questo strabiliante&psicotico Blog NeroCorallino*, nel post intitolato: "Down in Mexico, Back to Home".

fine terza parte