"L’amore, nelle diverse forme di attaccamento e nelle manifestazioni più positive e più sane, rappresenta un'importante capacità e un naturale bisogno di ogni essere umano. Tuttavia la frustrazione o l’assenza di esperienze serene [...] possono generare un disconoscimento o una negazione di questo bisogno che rappresenta invece un sano sviluppo psicofisico ed è sintomo di buona salute mentale. Quando un rapporto affettivo diventa “dolorosa ossessione” l’amore può trasformarsi in un’abitudine a soffrire fino a divenire una vera e propria “dipendenza affettiva”, un disagio psicologico che è in grado di vivere nascosto nell’ombra anche per l’intera vita di una persona ponendosi tuttavia come la radice di un costante dolore e alimentando spesso altre gravi problematiche psicologiche, fisiche e relazionali".
cit. "Love Addiction"
Quando sento il mio tormento, Di vendetta il cor favella, Ma se guardo il suo cimento, Palpitando il cor mi va.
("Don Giovanni" Mozart, Donna Elvira: atto II, scena XIV)
La mattina dopo la cena con la Ballerina e l'amica Messicana, lo Smilzo ci blinda fin dalla colazione. Vuole venderci un'altra gita organizzata per turisti occidentali. Stavolta blocco Mino, mi impunto e gli dico che è meglio se ne riparliamo più tardi: non voglio far guadagnare $ a quei pezzenti, a mie spese. Lo Smilzo però non demorde, come se non ci volesse perdere d'occhio, e ci convince ad andare con lui e il Cagnaccio su un'altra spiaggia dove altri amici, italiani, hanno una posada. Ci caricano sulla loro jeep. Ancora una volta qualcuno mi porta via dalla possibilità di incontrare le ragazze argentine: il mio miraggio sessuale. Quando arriviamo alla posada però sento che - stavolta - valeva la pena dare retta allo Smilzo. Dalla piazzola sterrata del parcheggio attraversiamo un boschetto di palme e vegetazione, poi ci troviamo davanti a un grande gazebo, con all'interno una lunga tavolata e amache di tela attorno. La struttura di legno incornicia il mar dei Caraibi sullo sfondo. Resto a bocca aperta per la seconda volta da quando sono in Messico. E' come avere davanti un'immagine da rivista fotografica, solo che stavolta è la realtà. Anche il cielo è più azzurro oggi, qualche nuvola ha deciso di spostarsi verso sud. Ci presentano vari personaggi che sono andati via dall'Italia per aprire attività là in Messico. Hanno tutti quello sguardo da ex tossici, tuttora tossici, che adesso almeno pippano in un ambiente più salubre. Hanno tutti una moglie che è rimasta una zarra nell'animo e sono interessati solo a quello che dice il mio amico sportivo. Nelle loro facce ritrovo i caratteri somatici della gente di Comasina, persone che stanno attaccate fisse alla materia. Di me se ne fottono senza riguardi. E io, a un certo punto, non ci faccio più caso.
Una scodella piena di gamberetti e pomodorini tagliati a cubetti viene appoggiata davanti a me mentre un tizio, anche lui di Milano ma che vive a Playa da qualche anno, parla di quando stava in Italia e rischiava di impazzire. Mentre lo dice mi accorgo che non è che adesso sia poi tanto sano ma almeno è divertente, mi tira in mezzo, dice cazzate una in fila all'altra. Anche lui era un bravo sportivo, poi si era infortunato sputtanandosi la carriera. Adesso gestisce un bar a Playa assieme ad altri ragazzi, due italiani e uno messicano. Mentre mangiamo mi racconta dell'ultimo uragano che è passato di là.
"Tutti si erano chiusi in casa. Io e il mio socio abbiamo preso il motorino… un motorino del cazzo e siamo andati a farci un giro!" dice lui.
"E come avete fatto?" chiedo io.
"Devi capire che l'uragano ha dei momenti assurdi in cui tu ci sei talmente dentro che tutto sembra normale, capito?"
"No".
"Ti spiego… noi siamo arrivati alla spiaggia. Se tu vedevi il mare, cioè l'acqua era ferma. Cioè, non c'erano le onde, sembrava che l'acqua faceva le bolle - e mima le bolle con le mani - E' assurdo ma è così. Quando l'uragano è proprio sopra di te, tutto sta fermo. Il cielo è giallo, l'aria è bloccata...".
Non so se stesse inventando tutto o se fosse vero, però mi divertivo. Quel ragazzo Matto, magro, coi nervi tesi e la barbetta simpatica, parla e mi distrae dai pensieri. Guardo oltre il profilo delle sue spalle abbronzate e vedo il mare, oggi finalmente chiaro, mentre mangio gamberetti freschi sotto un gazebo di palme e legno. Magari anch'io, in quell'istante, ero al centro del mio personalissimo uragano e per un attimo tutto mi pareva essersi cristallizzato. Anche la gola distrutta dopo la nottata a casa della Porca siciliana ( vedi Down in Mexico part.II ) faceva meno male. A un certo punto lo Smilzo, dopo un'occhiata col Cagnaccio, riparla della gita organizzata, della caparra etc. etc. e Mino sta per dire di sì, come al solito senza chiedermelo, quando il Matto si intromette e mischia le carte in tavola. Benedetto Matto! Interviene al momento giusto, tira in mezzo tutti, distrae dall'argomento e ci porta in acqua. Mentre nuotiamo mi dice sottovoce di non stare dietro al Cagnaccio e allo Smilzo, sa lui dove portarci quel pomeriggio.
E alla fine, non ho ancora capito come, quello stesso pomeriggio ci ritroviamo io, Mino e il Matto su un battello, direzione Isla de Las Mujeres.
"Lo Smilzo e il Cagnaccio sono due infami! E' per questo che vi porto io invece che farvi andare con il loro tour operator. Quelli vi fottono e basta, vi fanno pagare come agli americani!" fa il Matto.
"E me n'ero accorto…" dico io.
"Ma sì! Adesso che scendiamo da 'sto battello vi porto in un posto spettacolare!".
Lo seguiamo e ci ritroviamo in mezzo a tante piccole baracche di legno colorato, dove i messicani contrattano con i turisti affittando quelle macchinette che si usano sui campi da golf. Con qualche soldo ne prendiamo una anche noi e viaggiamo sull'unica strada asfaltata dell'isola. Prima guida Mino, tutto fico, con gli occhiali da sole a goccia, mentre ridiamo come tre ragazzini. Arriviamo a un porticciolo, parcheggiamo la nostra macchinetta e saltiamo a bordo di una barca dove il capitano si fa chiamare El Diablecito. Quando siamo poco distanti dalla costa quello ci mette in mano pinne e maschere da sub e ci dice di seguire la corrente, poi ci rivediamo dall'altra parte dice El Diablecito. Il Matto si tuffa, fa cenno di seguirlo.
Mi ritrovo immerso nell'acqua cristallina. Sono sorpreso per la terza e ultima volta da quando sono in Mexico.
Un universo di pesci, scogli di corallo e anemoni fluttuanti là sotto.
Nuoto con la corrente in mezzo a quello spettacolo psichedelico.
Vedo la luce e tutti quei colori che mi mancano.
Là sotto trovo pace, nel silenzio alternato alle bolle d'aria che escono dal boccaglio.
E' in quella profondità che mi accorgo dei barracuda. Lunghi e sottili come lame di coltelli luccicanti. Stanno fermi, immobili, puntano gli scogli in attesa che un pesce si distragga. Fissano tutto, fissano anche me. Uno, grande, bastardo, coi denti che gli spuntano dalle mandibole, che potrebbe sgozzarmi in un istante, mi fissa con un occhio rotondo, freddo, assassino. Muove solo la coda, lentamente. So che non verrà da me, ne sono certo, ma lo temo. E lo rispetto quel figlio di puttana.
Do un colpo di pinne, la corrente mi trascina in un corridoio subacqueo invisibile.
Un branco di pesci minuscoli e gialli mi circonda. Ci sono immerso dentro, come fossero scaglie di luce accecante.
E ancora una volta ripenso a Foxy.
E' il 12 Maggio 2012. Fuori il tempo è grigiastro, mucchietti di polline volano in sciami. Scrivo la terza parte della cronaca messicana intitolata "Down in Mexico". Per chi non avesse letto i post precedenti faccio un piccolo riassunto così se li può anche saltare. Allora, c'è un tale che si chiama Nelson Corallo che nel 2007 decide di lasciare la sua fidanzata, Foxy Lady, e partire con un amico per il Mexico. Mentre è in Sud America si accorge che i ricordi lo perseguitano nonostante le centinaia di km che lo separano dall'Italia. La sua psiche sta cadendo a pezzi e il Messico è diverso da come se lo aspettava. Nel frattempo ha un breve incontro con una ragazza messicana, che gli ricorda fin troppo quella che ha lasciato a casa, e intuisce che la sua amicizia con Mino, l'amico d'infanzia e suo compagno di viaggio, si sta sgretolando per la differenza di mentalità tra i due. Mino è uno sportivo bello e ricco, Nelson è un praticante avvocato pentito e, nonostante tanti anni di conoscenza, i due amici non riescono più ad avere un dialogo. Nelson allora cerca distrazioni dai suoi pensieri malsani, conosce due argentine sexy e prova in tutti i modi a portarsele a letto per dimostrare a se stesso (e all'amico) di essere un fico. Intanto si intromettono altri personaggi, Mino fa sesso con una Porca siciliana mentre Nelson si ammala di mal di gola e non riesce quasi più a parlare, osserva le vicende che gli capitano attorno ripensando a Foxy che è in Italia e non si sa se lo aspetta per accoltellarlo o per amarlo ancora. Adesso Nelson, Mino e un altro personaggio - il Matto - sono sott'acqua, nei pressi dell'Isla de Las Mujeres, nuotando tra pesci colorati e barracuda.
Il barracuda mi fissa. Non mi avrai bastardo di un barracuda! Lo tengo d'occhio mentre pinneggio sfiorando gli scogli. Pesci "pappagallo" mangiano sul fondo sabbioso. Mi distraggo e mi taglio un braccio strisciando su un corallo. Corallo. Cos'è un corallo? E' una pietra? No, non proprio, perché vive, cresce, muore. E' una pianta? No, perché sembra una pietra. E' velenoso? No, però se ti ci tagli fa un male porco. E' una pietra preziosa? No, però se lo lavori può diventare bello. Corallo è il cognome di mia nonna Ines, adesso è il mio. Seguo la corrente che ci sta portando verso la barca del Diablecito. Il Matto ci fa segno di salire a bordo e ride tutto contento.
"Uno spettacolo, eh?" dice lui.
"Bellissimo…" fa Mino.
"Mmmh…" mugolo io mentre il dolore alla gola è tornato dopo l'immersione.
La mia trachea è a pezzi. Secondo me non riesco più a parlare perché non voglio più dire niente, mi sono rotto i cojoni dei discorsi che ho fatto fino a ora. Meglio stare zitto. La barca del Diablecito ci porta a riva, dove abbiamo lasciato la golf-kart. Stavolta guido io mentre torniamo al molo per riprendere il battello e tornare a Playa. Osservo l'azzurro di cielo e mare cercando solo di non pensare. Il Matto intanto parla con Mino.
"Come si sta a Milano?" domanda il Matto.
"Mah, io ormai vivo in Sicilia per lavoro, però quando torno ci sto bene, ho la mia famiglia, gli amici…" dice Mino.
"No, zio, io adesso non potrei più tornarci - dice il Matto - sono troppo abituato a stare con gli infradito tutto l'anno!".
"Mmmh…" annuisco io.
"Oh, comunque quando stavo a Milano non è che ci stessi male… Cioè, riuscivo comunque a farmi le storie in giro. C'è ancora la Pergola?".
La Pergola era un centro sociale del quartiere Isola di Milano, un posto di quelli dove ballavi reggae, elettro, trip-hop, dub, acquistavi ganja dai tipi di colore, oppure mangiavi, ascoltavi jazz, leggevi libri. L'hanno chiuso nel 2009.
"Boh…" dice Mino che non ha mai frequentato certi posti.
"Sì" riesco a dire io.
"Una volta, troppo bello, io e un mio amico avevamo gli skate. Sai che in quel periodo tutti avevano lo skateboard, e provavamo a fare i salti sulle rampe, vabbè…" ride il Matto "Avevo 'sto skateboard e con il mio amico decidiamo che dobbiamo farci un simbolo ognuno sotto la sua tavola dello skate, così per riconoscerci. Comunque, il mio mio amico si fa una falce&martello tipo comunista, allora io c'ho pensato e ho detto che dovevo farmi anch'io un simbolo fico…"
"E cosa ti sei fatto?" domanda Mino.
"Eh, ero un ragazzino, forse ho un po' esagerato e me ne sono accorto quando sono andato in Pergola. Un pomeriggio che passavamo di là per comprare un po' di ganja dagli africani che stanno là…" racconta il Matto "…arriviamo con gli skate e iniziamo a vedere in giro se ci vendono qualche grammo. Intanto tenevamo gli skate, sai, per le ruote e sotto si vede la tavola con il simbolo. A un certo punto uno si mette a urlare e chiama gli altri! Un bordello! Mi spingono, ci stavano ammazzando…".
"Ma che cazzo avevi sotto lo skate?" domanda Mino
"Eh… una svastica…".
"Cosa?"
"Sì m'ero fatto una svastica, tipo nazista, cioè io non lo sapevo. A me sembrava fico, nel senso… cioè il mio amico falce&martello e io la svastica, boh, era fico, zio…".
Certo, è fico entrare in un centro sociale con una svastica… penso io.
"E poi?".
"E poi siamo dovuti scappare di brutto che ci volevano ammazzare a tutti e due! Fascisti, nazisti, skinhead… urlavano di brutto tutti i punkabbestia e ci tiravano dietro le bottiglie di vetro, troppo divertente…".
Al ritorno in hotel lo Smilzo e il Cagnaccio fanno finta di niente però si vede che sono incazzati di brutto perché invece di spendere i nostri soldi (arricchendo loro e il tour-operator) io e Mino abbiamo seguito il Matto risparmiando parecchio. Godo. Verso sera beviamo una birra sotto il portico dell'hotel. La gente passeggia. Sono stanco, davvero stanco e devo prendere altre medicine perché la gola inizia a farmi preoccupare. Però oggi no, rimando a domani. Mino si vede che mi considera un handicappato per questa faccenda della gola, tipo che se uno si ammala in vacanza è un povero rincoglionito. Mi piacerebbe spiegargli le mie ragioni ma non servirebbe a nulla. Sto zitto a bere la mia birra e decido che stasera andassero tutti a fare in culo, io mi fumo una canna e vado a dormire. Ed è proprio quello che faccio.
Il giorno dopo la gola non è migliorata. A gesti spiego a Mino che devo cercare una farmacia e che lui vada pure al mare, io me la caverò.
Esco dall'albergo con la macchina fotografica che mi sono portato dall'Italia, un Yashica reflex, di quelle col rullino, che adesso non esistono quasi più perché pare che se non hai una digitale non sai fare le foto. Hey testine di cazzo! La novità è che se hai una fotocamera digitale non è che per forza sai fare le foto! Eccheccazzo… Giro per la cittadina e guardo i colori attorno mentre sto attento a riconoscere qualche simbolo che ricordi una farmacia. Alla fine la trovo: c'è il simbolo della Farmacia. Il tizio mi da un altro sciroppo ma nulla di veramente efficace per me. Scatto foto attorno, fa caldo, ritrovo l'albergo, dormo…
Ormai ho perso quasi tutte le speranze riguardo le ragazze argentine. In alcuni momenti dico a me stesso che gli ultimi giorni in Mexico mi serviranno a fare due cose: cercare di parlare con Mino per restaurare il nostro rapporto d'amicizia e schiarirmi le idee riguardo Foxy. E' vero l'ho lasciata con una e-mail, è vero sono scappato come un infame però adesso torno, ci guardiamo in faccia, parliamo. E poi lei ha ancora le chiavi di casa mia.
Mino torna in camera verso il tramonto. Mi guarda mentre leggo un libro disteso sul letto. Mino mi guarda nello stesso modo in cui aveva fatto il barracuda sott'acqua e ho la netta sensazione che mi stia giudicando male. Tutti i buoni propositi su un dialogo adulto col mio amico scompaiono e il mio mal di gola diventa un'arma. Mi dispiace, socio, sto male! Se vuoi andarti a divertire esci con lo Smilzo e il Cagnaccio, no? A Milano fai sempre così! Chiami Nelson per un caffè e poi te ne vai all'Hollywood coi tuoi amici, no? E se capita che vengo anch'io, minchia, sembra una concessione dall'alto dei cielo! MAVVAFFANCULO.
Così il mio sesto giorno di Mexico lo trascorro a succhiare sciroppi, fumare ganja e dormire. Alla sera mi sposto in una zona dell'hotel con dei divanetti di vimini e mi guardo un film americano in tv. Mino proprio non lo accetta e va a farsi un giro. Però dopo un'ora torna. Mi gira attorno…
"Ma come cazzo stai? Oh! - mi tocca con un piede - Come fai ad ammalarti in vacanza?".
"Eh…" mugolo io.
"Minchia, ma sei un'ameba!"
"Eh…".
"Ma non ti vergogni?".
"No…".
"Cosa stai guardando?".
"Mmm…".
"Vabbè".
E si siede anche lui sul divano di vimini, a guardare "Dare Davil" in lingua originale. Dopo un po' ci addormentiamo tutti e due. Passa il custode incazzoso e spegne la televisione. Mentre andiamo verso la nostra stanza Mino dice esattamente queste parole:
"Però, anche una sera tranquilla, ogni tanto, ci sta…". Sembra una cosa da niente ma è la seconda volta che il mio amico ammette sotto-pelle di soffrire di una nevrosi per cui rilassarsi è sinonimo di debolezza. Ossia, se sei in vacanza senza la fidanzata devi - obbligatoriamente - spaccarti il fegato ogni sera, provare a chiavare ogni istante, essere felice ad ogni costo e mai, MAI, essere stanco… La mia gola fa male, Foxy è un ricordo che mi tortura, le tipe argentine non ci sono, il mio lavoro da avvocato mi fa schifo, la maggior parte della gente che ho attorno sia qui che a Milano la sento estranea, però: in quanto a stanchezza, psicosi e capacità d'ammetterlo, cazzo, sono un drago.
Settimo giorno di Mexico. Mentre provo a riprendermi la salute, Mino ha affittato una macchina per un'altra gita. Stavolta si va a Tulum. Però stavolta il socio non si è fatto fregare nè dal Cagnaccio e neanche dallo Smilzo. Si va senza tour-operator: io e lui e basta. La cosa mi fa piacere, torna un po' quella voglia di parlare con un amico. Mino guida, io cerco le indicazioni stradali. Osservo il Mexico che scorre dietro i finestrini. E' davvero grande. Le strade, gli alberi, tutto ha dimensioni sproporzionate in questa terra. Intanto arriviamo al sito archeologico di Tulum, nello stato del Quintana Roo. A picco sul mare c'è una costruzione che si chiama "El Castillo", con una grande terrazza e un piccolo tempio sulla cima di una scalinata. Non è Chichen-itza ma anche qui non è male.
"Guarda i Maya…" dice Mino indicando la costruzione di pietra.
"Eh già".
"Si erano fatti il palazzo con vista mare, mica scemi".
"No, per niente".
"C'era il re dei Maya che si svegliava la mattina, faceva un paio di sacrifici umani e poi un tuffetto direttamente nel Mar dei Caraibi, o no?".
"Sì, me lo vedo il re dei Maya. Bello rilassato, dopo che si era fumato la ganja maya, sgozzava uno e poi tuuufff…".
"Ganja maya…".
"Chesstoria…".
"Oh…".
"Eh…".
"Ma come cazzo si fa ad andare in un centro sociale con una svastica sullo skateboard?".
"Ah, ah, ah…".
"Ma come cazzo stava messo?! Davvero, una svastica in un centro sociale!".
"Ah, ah, ah!".
Io e Mino ridiamo. Senza pensieri, preconcetti, amori finiti o soldi di troppo o troppo pochi. Per un attimo si torna in V° elementare, compagni di banco. Diciamo cazzate e ridiamo. Intorno a noi le iguane passano lente sulle stradine che attraversano i ruderi. Tulum è abitata dai quei rettili che ti guardano con riservatezza, come se fossi il loro ospite, e poi vanno via.
"Ma secondo te 'ste iguane se la mangiano la ganja maya?" domando io.
"Sicuro. Guarda che occhi da fattone...".
Decidiamo di andare a stenderci un po' in spiaggia. La gola mi fa ancora male, ogni tanto succhio un po' di sciroppo. Mentre camminiamo verso un sentiero che scende al mare Mino indica un punto.
"Non sono le tue amiche quelle?".
"Che?".
"Quelle due, là, non sono le due argentine?".
"Oh cazzo, sì!".
La mia gola guarisce istantaneamente. Vado incontro alle ragazze salutandole. Dopo un paio di chiacchiere ci ritroviamo tutti e quattro nella nostra macchina. Le ragazze ci hanno invitato a vedere una spiaggia ancora più bella, poco distante. Gesù-Maria, grazie, grazie, grazie…
Stendiamo le asciugamani sulla sabbia bianchissima. Il mare respira forte oggi, le onde spumano. Alle nostre spalle palme verdi e vegetazione orgogliosa mi rinfrescano i pensieri. Sono felice, sorrido verso Mino mentre le ragazze argentine si spogliano facendo comparire quei culetti tondi di cui non mi ero dimenticato. E' la svolta. Un grande Dio benevolo ha voluto farmi prima soffrire e poi, sul limite della speranza, mi ha concesso la grazia. Nonostante le probabilità fossero di 1 su 1.000.000 ora, adesso, in questo istante, accanto a me ci sono le due ragazze che ho visto, approcciato, desiderato, voluto e che pensavo di aver perso. Un miracolo. Una di quelle cose per cui dici che vale la pena stare al mondo - grazie-grazie-grazie-Dio-grazie! avrò l'occasione per concludere il percorso mentale e fisico che IO ho scelto, in una sequenza di causa/effetto, da quando IO ho deciso di rischiare e provarci, track!, per dimostrare a me stesso che sono capace, che sono padrone, che per la prima volta nella mia vita avrei scopato con una ragazza conosciuta al mare! (Sì, non avevo mai fatto sesso con una tipa conosciuta al mare e mi sembrava davvero brutto). Però le due argentine mettono i loro teli da mare non proprio attaccati ai nostri, cioè, a dire la verità, un po' distanti. E anche loro sembrano distanti. E poco amichevoli. Dalla boscaglia alle nostre spalle arrivano risate di ragazzi e ragazze che anticipano la vista di un gruppetto di post adolescenti che si stanno avvicinando a noi. Pericolosamente a noi. Due ragazzi 21enni coi costumi da surferos, in particolare, si avvicinano fin troppo per i miei gusti, e dopo pochi istanti limonano con le due ragazze argentine. Ricordo che la mia gola è tornata a serrarsi altrettanto velocemente di quando si era liberata.
"Andiamo a fare un bagnetto?" chiede Mino.
"Sì".
Scavalchiamo le onde che tentano di buttarci per terra. L'acqua è calda. Ci tuffiamo e continuiamo a fare i deficienti tra i cavalloni. Nuotiamo, sputiamo a occhi chiusi verso il cielo sbuffando come trichechi. Restiamo là, tra i flutti.
"Si sono fatte accompagnare dai fidanzati…" dice Mino.
"Me ne sono accorto, zio… Speravo di… boh…".
"Te le volevi fare?".
"Sì, sinceramente sì".
"Chi delle due?".
"Boh, forse quella con la faccia da porca, Alexandra…" ammetto io.
"E Maria?".
"Maria è carina, eh?".
"Molto carina, e secondo me è anche birichina".
"Tanto ormai…" mugugno io.
Stesi sui teli ci asciughiamo al sole. Il gruppetto accanto a noi schiamazza, ride. Poi tutti si alzano e si disperdono, tranne Maria e Alexandra che perdono un po' di tempo. Mentre i loro amici si allontanano nella boscaglia le due ragazze si avvicinano a noi. Alexandra mi dice qualcosa all'orecchio, non capisco cosa, resto sdraiato, occhi socchiusi, gola pulsante, poi lei mi da un bacio sulla guancia e così fa Maria con Mino, dopodiché sculettano via, per sempre.
"Porco cazzo…" dico io.
"Sì, lo so…" fa Mino.
E la gola mi fa più male di prima mentre la febbre, lentamente, sale.
Prima di lasciare la spiaggia io e Mino beviamo una birra seduti ad un chiringuito che sta sotto le palme. Continuo a fissare il mare, poi mi decido a parlare.
"Mino, non ti manca G.?".
"Boh…".
"Cioè - dico io - nonostante tutto il bordello che ti è successo, non ti manca comunque?".
"Sì, alla fine sì. E' strano perché in effetti dopo la storia dei soldi vorrei ammazzarla, però comunque ho provato tanto per lei… quindi, sì, mi manca".
"Ma perché vi siete lasciati?".
"Beh, intanto perché sentivo di non amarla più. E forse il motivo più vero… non so come spiegartelo…".
"Provaci".
"Fai conto che io con lei non riuscivo più… toh, a guardare il mare, come adesso… Nel senso che se stai con una persona e ci stai bene, alla fine, non hai bisogno di dire troppe cose, puoi stare anche così a guardare il mare. Oppure fare domande stupide, tipo "oh, ma perché il cielo è azzurro?" e poi dire stronzate, essere curiosi… non saprei dirlo meglio, capito?".
"Mi sa di sì… io con Foxy più che altro mi sono reso conto che avevo voglia di cambiare. Io volevo cambiare modo di vivere, di lavorare, di superare certe cose del passato, della mia famiglia, e lei no. Se provavo a spiegarle che stavo male a vivere così, senza sapere perché, lei andava sulla difensiva, non voleva ascoltarmi… ecco, lei certe cose non voleva sentirle, mi smontava, mi diceva di non pensarci…".
"E ti manca?" domanda Mino.
"Hai presente quando eravamo sott'acqua, coi pesci, i coralli, i barracuda?".
"Sì".
"Fai conto che io pensavo quasi solo a lei".
"Ho capito".
In effetti il motivo a base della rottura con la modenese, Foxy Lady, era paragonabile a una cura contro le dipendenze da droghe pesanti. Nel 2007 avevo la ferma convinzione che se avessi voluto davvero cambiare certi modi d'essere che mi procuravano falso piacere e molto dolore dovevo per forza disintossicarmi. Avevo già provato la stessa cosa con la "bianca" ed ero riuscito a togliermela di dosso. Non vuol dire che poi non ho provato sudori freddi a rivederla in giro, la bianca intendo, però sono stato più forte. Ma staccarsi da una sostanza che agisce sul sistema nervoso e mettere da parte gran parte di un'esistenza familiare/amorosa sono due cose diverse. L'una comporta una battaglia contro qualcosa di esterno mentre l'altra coinvolge il nemico più subdolo: te stesso. Però l'idea di rivoluzionarmi m'è sempre piaciuta, così mi ero messo sotto e avevo iniziato a tagliare rami secchi. Con costanza e aiuto esterno (senza ammettere d'avere bisogno d'aiuto non serve a un cazzo altrimenti) ero partito dalla rivalutazione della mia famiglia: sensi di colpa ereditati, modi di fare da nazista di mio padre, accondiscendenza subdola di mia madre, questioni irrisolte coi parenti, invidie tra fratelli, rabbia personale, inconscio etc. etc. Avevo fatto tutto il buon percorso psicoanalitico vecchia scuola, "old school", da Freud a Jung passando per Gurdjieff, Anne Schutzenberger, Robin Norwood, Jodorowsky, la Scuola di Palo Alto, l'analisi dei sogni, sciamanesimo, letture: Seneca, Pirandello, Herman Hesse, Dostojewski, Buzzati, Svevo, Pavese, Brancati, Hemingway, Coelho, Richard Bach, i fumetti di Manara, Hugo Pratt, Paz, Dylan Dog, manga erotici japponesi, musica classica, dub-step, jazz, hiphop, house, cinema: Fellini, Monicelli, Risi, Woody Allen, Scorsese, Tarantino… e sport: correre, sollevamento pesi, mangiare sano, fare boxe… Avevo guardato in faccia tutti, senza maschere, prima di tutto me stesso, e con un bel po' di sforzo avevo detto che m'ero rotto i coglioni. Avevo stabilito che avrei finito quel cazzo di praticantato legale e poi avrei cambiato strada. Già vivevo in un'altra casa e se proprio non mi volevano aiutare mi sarei messo a fare il cameriere. E il bello è che per un certo periodo l'ho pure fatto il cameriere, subito dopo aver dato l'esame d'avvocato. Ma prima di tutto volevo che Foxy facesse la stessa cosa. Nel senso: io e lei avevamo dinamiche familiari simili, situazioni quotidiane davvero somiglianti, solo che io mi ci opponevo. Provavo a staccarmi e lei invece ci sguazzava dentro. Ad un certo punto il mio lavoro di "ripulitura" era diventato come volersi disintossicare mentre la persona che ti sta accanto continua a farsi. Non è facile. Allora chiedevo a Foxy di farla insieme 'sta cura, di combattere vicini. Ma lei niente, diceva ch'ero matto, che quello che avevo in testa erano solo paranoie, che l'analisi psicologica era una puttanata. Diceva che dovevo pensare a stare bene con lei, lavorare nello studio legale e pensare a una vita insieme. Io, che ero convinto di stare sulla strada giusta, ci rimanevo male quando lei mi diceva così, e poi si creavano incomprensioni sempre maggiori, ricatti, vendette, le strade iniziavano a dividersi. Però Foxy era una parte di me, carnalmente radicata in me. Quando la osservavo pensavo fosse magica, pensavo che lei fosse la parte migliore di me. Senza di lei non sarei riuscito a fare niente, non sarei mai stato niente. Ma, in uno di quei giorni in cui - stranamente - l'orgoglio torna a bussare da qualche parte nel cervello, ho sentito me stesso dirmi due cose: "Se è vero che lei è la tua donna, allora perché soffri tanto accanto a lei?" e "Se pensare di stare senza di lei ti crea tanto terrore non è forse perché sei troppo debole? Questo è amore o dipendenza?". La seconda: dipendenza.
Con la drastica caduta delle prospettive di riuscita con le due argentine, la gola infiammata, il senso di impotenza e la vecchia vita che mi aspettava a Milano ( visto che, a parte enunciare ideali di rivoluzione personale, a livello materiale non avevo ancora cambiato nulla tranne fuggire da Foxy) la febbre aveva totalmente vinto. Avrei trascorso gli ultimi giorni in Mexico come un cadavere, sarei tornato a casa sconfitto, avrei pianto come un moccioso e poi avrei pregato Foxy di tornare da me chiedendo scusa, scusa, scusa a tutti, ai miei genitori, sorelle, amici di Mino. Avrei strisciato nella melma, fatto l'avvocato, finto di essere un altro, avrei ringraziato per le elemosine del mio amico super-fico, avrei rinnegato la psicoanalisi e i miei desideri di indipendenza, avrei accontentato tutti tranne me, basta che la Vita non mi deludesse più, ti prego, ti prego, Vita, non farmi male…
Ma lo stesso Dio prepotente, che m'aveva sottratto le due ragazze argentine solo un attimo fa, aveva qualcos'altro da darmi prima di lasciare la grande terra Mexicana. E lo scriverò sul prossimo capitolo di questo strabiliante&psicotico Blog NeroCorallino*, nel post intitolato: "Down in Mexico, Back to Home".
fine terza parte
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