In un diario ci deve finire tutto, e per farci finire di tutto si deve guardare di tutto, leggere di tutto, amare di tutto...
Antonio Castronuovo, Se mi guardo fuori, 2008
Ottobre 2012. Passato prossimo.
Vivo giorni sfilacciati come gomitoli sgrovigliati da un gatto dispettoso.
Ci siamo accorti che l'estate è finita quando l'ultima suoneria per cellulare ha smesso di pigolare. Già sapete a cosa mi riferisco, è inutile specificare. E l'autunno quest'anno è iniziato quando, dopo che ha piovuto sul bagnato e sul latte versato, al posto di cadere le foglie, mi son cadute le palle.
Ultimamente faccio il caffè, lo faccio da Dio, poi porto la tazzina fumante sul balcone per bermelo guardando l'orizzonte oltre i palazzi. Ma rientro subito in cucina perché non c'è più quel sole di un paio di settimane fa. Allora mi metto una felpa addosso ed esco lo stesso. Fumo una sigaretta mentre le piante che coltivo con amore spandono resina profumata attorno. Voli di insetti. Sorrido, un altro giorno è cominciato, potrei essere felice oggi. Ma poi faccio partire i pensieri killer.
- Interlocutore anonimo: "Lei, Corallo, che lavoro fa?"
- Nelson RF Corallo: "Beh, ultimamente faccio la Puttana"
- Interlocutore anonimo: "Come scusi?"
- Nelson RF Corallo: "Sì, la Puttana. Con la "P" maiuscola"
- Interlocutore anonimo: "E sarebbe?"
Passo molto tempo nel mio appartamento, leggendo, guardando film, scrivendo appunti inconcludenti. Solita prassi da 32 anni a questa parte. Poi suona il telefono, mi passano un incarico, chiedo i $$$ - e se mi vanno bene - esco di casa, mi carico una telecamera in spalla e faccio quello che devo fare. Torno a casa, smonto e rimonto le immagini, consegno il pezzo e mi arrivano i $$$. Ultimamente va così, ma il lavoro scarseggia e la papera non galleggia. Se mi muovo, quindi, è perché c'è qualcosa da vedere e filmare, altrimenti sto sul divano. Leone pigro, felino casalingo. Mi viene difficile stare in mezzo alle persone se proprio non ci sono costretto. Comunque è una forma di difesa preventiva quella di evitare i contatti umani. Naturalmente lo stesso vale sul fronte femminile. Suona il telefono, una giovane donna mi invita ad uscire, non chiedo $$$, sorrido (pensando a quanto devo essere fico per avere ogni volta un appuntamento con una bella ragazza nonostante la mia condizione di idiota cronico), mi vesto, esco di casa e faccio quello che devo fare. A volte va bene, a volte male, a volte così così. Ultimamente è stato un disastro. Perché a me pare di fare cose buone & giuste, ma in realtà sto solo esasperando quello che non c'è. Mi sorprende doverlo ammettere ma ho capito che da certe esperienze non ho imparato proprio niente, niente. C'è qualcosa che non vuole proprio evolvere nella mia coscienza. A meno che poi non accada un evento imprevisto a rimetterne in gioco il funzionamento. E così è stato. Maktub.
Inserto auto-analitico.
Quando ero piccolo - avevo circa 5 anni quando me lo domandarono - dissi che da grande avrei fatto il vagabondo. Hanno tentato di impedirmelo in tutti i modi, non ci sono riusciti. Sono un vagabondo part-time però. Devo ancora scrollarmi di dosso tutti quegli anni passati a far finta di essere un avvocato e poi uno sbirro corrotto. Attualmente sono una sorta di detective audio/video prezzolato da una Grande Azienda. Però basta - mi dico a volte - sono un creativo fichissimo, c'ho le intuizioni giuste, cioè le idee… Anche se chi mi sta di fronte ancora non se n'è accorto. La colpa è loro, mica mia. Mi giustifico da solo. E così son costretto a fare la Puttana, "P" maiuscola, come sopra. Ma questi di Ottobre 2012, dicevo, sono giorni che non si lasciano mettere in fila, non vogliono proprio trovare una logica. Ed è un compito mica facile. Quando abbandono il divano e vado fuori, nel mondo, ovunque giri lo sguardo vedo gente confusa, smarrita, incazzata. Anch'io, eh, non dico di no, ho le mie perplessità. Solo che le scrivo. Da sempre le scrivo e ogni tot di tempo me le vado a rileggere per vedere come avevo affrontato i blocchi, come avevo fatto a venirne fuori. Funzionava. Mi complimentavo con me stesso e tornavo a scrivere cose nuove. Ora però non ci riesco più. S'è formato un blocco tra esperienze e comprensione. Mi sono accorto che non evolvo, semmai mi ripeto, con la differenza che non ho più 22 anni, ma dieci di più. E i danni sono sempre più ingenti, le perdite sempre più grosse, le riserve di fiducia quasi esaurite.
Mettete una bestemmi a scelta prima di questa frase, perché la situazione è davvero nera: "[bestemmia!] Oggi nelle mani mi ritrovo solo pugni di mosche morte".
Flash back.
19 Giugno 2002 - Titolo: "Che caldo del cazzo"
Ieri Italia - Korea. Altro goal annullato. Altri Mondiali persi. Ho visto la partita a casa mia, coi ragazzi, poi siamo andati a Villa Litta a giocare a pallone per sfogare il rancore. Mi son divertito. Così come mi sono divertito a Reggio Emilia la settimana scorsa. Ho visto il concerto dell'Heineken Jammin' Festival. C'erano Guido, Ciro e Gaetano in missione da Napoli. Una bottiglia di whisky e 90% d'umidità nell'aria. Cipolla ci ha ospitati a casa del padre, una villetta costruita su un magazzino. Hanno sfamato mia cugina Maria e me come fossimo ospiti sacri. Terroni siamo. Poi siamo stati insieme a Bologna, con quei malandrini del Dams: Peppe, Tabacco e Manuel. Abbiamo passato una serata in una piazza veramente bella di cui non ricordo il nome. In mezzo ai portici, ho fumato sempre. Non ho pensato alle solite stronzate, solo alle vacanze, ho respirato aria di mare. Ho anche rivisto Rossella, mentre eravamo sotto al palco dei Red Hot Chili Peppers --> che mi sono piaciuti ma mi è piaciuta di più la situazione in generale, i miei amici. Mi ha morso una coccinella. Pensavo fosse un segno di approssimarsi d'amore. Non so. Sono stato felice. Ha fatto caldo e continua a farne. Che cazzo. Quando piove si è scazzati, poi arriva il sole, si sta bene ma poi fa troppo caldo, c'è troppa afa e si è di nuovo scazzati. L'importante è che io abbia goduto.
La mamma di Francesca S. è morta ieri. Mi dispiace.
20 Giugno, ore 9:15. Sto aspettando Claus. E' arrivato. Vado al funerale. Morte Puttana.
23 Giugno. Io, Claus e il Patata siamo arrivati alla chiesa di S. Barbara alle 10:00. Siamo stati fuori a parlare di genitori e di quando eravamo piccoli. Alla fine della messa sono entrato e mi sono avvicinato a zio Nicola. Mi è sembrato tanto piccolo anche lui, che di solito per me è una montagna, 100 kg di ingegnere chimico. Hanno portato via la bara e ci siamo avvicinati a Francesca. Per ogni passo che ho fatto ho sentito stringersi sempre più la gola e il cuore. Mi sembrava di dover svenire. Sentivo i singhiozzi e il pianto di tutti rimbombare nella chiesa. Maria e Simona strette a Francesca. Mio zio al mio fianco. Sono stato capace solo di abbracciare per un attimo Frà e baciarle le guance bagnate di lacrime. Sono scappato via. Non ho detto niente o forse ho farfugliato qualcosa, non lo so. Sono uscito fuori e stavo male. Senza parole. Claus era commosso e triste. Ho provato a non piangere. Mi sembrava inutile, ma ho pianto per Francesca. E' stato brutto vederla in quella situazione. E' stato brutto vederci tutti in quel momento così fisso, immobile nel dolore. Avrei voluto poter fare qualcosa in più… volevo fare qualcosa… volevo fare.
Ieri sono uscito con mia sorella Giacinzia e Claus. C'era V., amica di mia sorella, credo amica. Sono stato bene e ho detto una marea di stupide cazzate. Ma ero libero. In un primo momento mi sono atteggiato per farmi apprezzare da V., ma niente. Non credo di piacerle e forse è meglio così. Libero e disinteressato dall'essere giudicato da chi tutto sommato non mi piace e non mi interessa. Sto esercitando troppo il mio snobismo per certa gente. Ma non per tutta. Leggo tanto Dylan Dog. Non mi faccio più pippe mentali su cosa farò o sarò. Ormai trasmetto i miei pensieri su un piano distaccato. Filmico. Anche se qualche volta è difficile uscirne. Ci rimango invischiato visivamente, non emotivamente. Concludo dicendo che ho trovato un'altra coccinella su di me. Sulla mia cintura, mentre studiavo. Ma era morta. Come dovrei interpretarlo questo segno? Un amore che muore, una ragazza che avrei amato non c'è più? Non lo so. Spero di no. E poi non dovrei più credere a queste coincidenze.
1 Luglio 2002.
"In galera non si è liberi di fare ciò che si vuole!"
"E perché?!? Fuori si può?!?"
Dialogo estratto da un film di Franco & Ciccio.
Teoria dell'irreale: l'irreale, come frutto della mente razionale, è stretto in gabbie precostituite. La realtà è anch'essa prevedibile ma lascia spazio a fughe di totale irrealtà, che poi costituiscono la realtà stessa - suono di un panciuto fagotto o di un clarinetto. Per finire con una melanconica tromba. Ho scritto una lettera di pseudo-amore irreale all'attrice M.S. Sono uno stupido illuso che scrive lettere alle attrici. Surreale ed iperrealista. Cerco di sconvolgere la vita. Non mi rassegno a vivere. Sono spinto da una forma di paura della certezza-incertezza a studiare un metodo per gestire la vita. La vita è ironica, non perché noi lo siamo, ma perché si prende gioco di noi…
Per la cronaca, ho rivisto Mino lo sportivo e sono stato bene con lui. Mi fa piacere non averlo perso, nonostante ormai viva fuori Milano, impegnato in serie "A". Il passato non ritorna ma l'amicizia tra maschi è diversa. Mi accorgo ogni giorno che ci sono sempre differenti visioni della realtà da parte della gente. Un esempio è dato dai commenti che gli amici hanno fatto al mio aver mandato a farsi fottere S., ma che importa? Riguarda solo me e ciò che provo. Credo di aver rotto un equilibrio negativo, per me. Non mi stupisco più. Certo, era una bella figliola. Siamo usciti un paio di volte. Poi l'ho invitata a casa mia. Lei si era seduta sul tavolo del soggiorno. Gambe lunghe, capelli lisci e castani, occhi scuri. Mi sono avvicinato, le ho preso il viso tra le mani e l'ho baciata. Diceva che le piacevo, ma allora perché poi mi ha allontanato dopo solo tre volte che siamo usciti? Senza una spiegazione, senza niente. S. ha iniziato a non rispondere agli sms. Vaffanculo allora, niente da aggiungere, stop. Mi hanno detto che ho fatto lo stronzo - il solito stronzo - come con Veronica. Ma io non ho fatto niente, porco cazzo! Riesco ancora a ridere, apprezzare le cose, ciò che vedo. I colori. Quindi è tutto a posto, no? Dovrei scrivere, mi son detto che ci sarà una logica, un disegno per tutto ciò. Non lo so ancora, ma sembra tutto così fisso e senza senso. Sarò depresso? No, sono troppo cosciente della mia condizione. E qual è poi questa condizione? Indifferenza.
Illusioni Illusioni Illusioni relatà Illusioni Illusioni Illusioni in negativo.
Ma dove va a finire il nostro tempo? Dov'è la felicità che non esiste? Perché sto sublimando i miei sentimenti e resto freddo? Ho sete di scienza, cultura, arte, lettere, filosofia e amore, e se non è amore almeno voglio emozioni reali, vere, che possano scatenare un cuore intorpidito. Io che ho professato l'impossibilità del poter andare in depressione per mancanza di una donna, che l'ho gridato in faccia a tutti, li ho sfottuti senza pietà: "deboli bambocci, pensate a scopare", adesso mi sa che ho sbagliato. Dire sbagliato è sbagliato, come quando Fonzie si sforza di dirlo e non ci riesce. Ho sb… Ma ciò che cerco è mentale in preponderanza, e fisico al fine. Che cosa mi succede? Dov'è il gusto cinico per la vita fatta di momenti fugaci persi nel niente? Dov'è la mia vecchia superficialità? Perché scrivo con una prosa da pazzo schizoide? Dov'è la novità? Solo nelle letture del passato? Nelle pagine dei diari dove ho scritto prima i problemi e poi le soluzioni (che mi sono dimenticato)? Non voglio perdere neanche un attimo di bellezza di questa vita stronza e puttana.
Flash forward.
Settembre 2012. Imperfetto.
Puttana è una parola dolcissima. A cui peraltro non do un'accezione negativa, anzi. Semmai uso troia come termine dispregiativo.
M'è stato rinfacciato di usare troppe volte la parola "puttana". M'è stato rinfacciato da una ragazza che bestemmiava la Madonna con lo stesso termine che rinfacciava a me. Ma la Madonna non esiste, ha detto lei ribestemmiando e gettando un cactus morto - simbolo fallico in negativo - nella spazzatura, prima di eliminare anche me dalla sua vita. E che c'entra, ho detto io, pensando al povero cactus, il concetto stesso di "Madonna" è quello di una femminilità per la prima volta posta allo stesso livello di Jesus, all'interno di un mondo religioso fino a quel momento solo maschilista. Perciò, seppure per te la Madonna non abbia alcun valore, rappresenta in ogni caso l'elevazione stessa della condizione femminile da mero oggetto riproduttivo a essere senziente nonché sacro. Quindi vietare a me di dire "puttana" e poi usarlo tu rivolgendolo a un'idea astratta di femmina mi pare un paradosso. Da ultimo, io sono un terrone e con la Madonna ci son cresciuto come fosse una seconda mamma. Le mie nonne me la indicavano con dolcezza nelle nicchie agli angoli delle strade assolate di Salerno o dei paesini, nei dipinti, sulla testa della gente in processione, come fosse più importante di Iddio stesso. Le donne della mia famiglia m'hanno fatto crescere nel culto della Madre. E poi, che cacchio, se tu sei laica e io invece ho una sottocultura religioso/sciamanica dovresti rispettarmi comunque. Come io rispetto te, ad esempio, perché credi nei super eroi. Sempre per esempio, tu potresti credere in Bat Man. Ecco, potresti circondarti di statuette dell'uomo pipistrello, immedesimarti in lui, farne un idolo, e lo stesso io non mi metterei a dire "Ma Bat Man non esiste!" bestemmiandolo.
Ma a nulla è servito questo mio tentativo di buttarla sulla parità dei sessi, dogmi religiosi e valenza dei super eroi. La discussione è andata avanti, ed è peggiorata parecchio.
Lei, Dì, aveva una frangetta scura.
La prima volta che l'ho vista nuda ho capito perché sentivo quell'attrazione viscerale nascermi dentro ogni volta che la incontravo per caso, in giro per Milano.
L'ultima volta che ci ho fatto l'amore è stato come trasformarmi in un Leone ruggente avvinghiato in un amplesso con una femmina di un'altra specie. Cristo Santo.
Ero talmente immedesimato nella bestia feroce che dopo esserci saziati carnalmente, entrambi, siamo rimasti zitti, ansimanti. Zitto io, zitta lei, annusandola a fondo. Incavo del collo, seno turgido, odore di sesso, narici pulsanti, aspiravo tutto, su di lei, ancora dentro di lei. Zitto. Zitto, perché un leone non parla. Sentivo una voce istintuale che mi gridava da dentro "Stai zitto!". Non parlare. Sfamati di quell'odore perché potrebbe essere l'ultima volta che lo sentirai. Sensazione confermata qualche giorno dopo.
Dialogo tra Dì e me:
- Dì - Se qualche volta mi devo svegliare molto presto, potrei lasciarti le chiavi di casa mia, così tu resti a letto… insomma chiudi tu -
- Me - Mmmh… -
- Dì - Hai capito cosa ti ho appena detto? -
- Me - Sì… -
E' stato un corteggiamento durato anni. Non scherzo. Ne avevo 14 quando l'ho incontrata la prima volta, e di lei mi aveva colpito l'atteggiamento sgarzullino da maschietta. Poi ognuno è cresciuto a parte, seguendo i propri percorsi. Ma come fosse un appuntamento karmico - così almeno la penso io - gli stessi percorsi si sono intrecciati riportandoci l'uno di fronte all'altra. Stavolta ognuno carico delle proprie esperienze di trentenni mezzo fiduciosi e mezzo incazzati col mondo. Eppure, prima di finire per prenderci fisicamente, abbiamo tentennato ancora. Ancora un anno di dialoghi interrotti, un caffè al bar, incontri casuali durante manifestazioni, eventi mondani, parole tramite social network. Inizialmente ero io a smorzare gli entusiasmi, a fare ogni volta un paio di passi indietro. Perché? Intanto non avevo ancora risolto certi delitti amorosi pregressi, e poi dovevo finire di scrivere quattro capitoletti intitolati "Down in Mexico, part. I°-II°-III°&BacktoHome (http://nerocorallino.blogspot.it/2012/03/down-in-mexico.html) che narravano la mia lunga storia d'amore con Foxy Lady e relativo divorzio. Dopodiché - spinto da un sesto senso che mi suggeriva la fuga - sapevo che Dì non aveva, a sua volta, superato il cospicuo conflitto emozionale che ancora la legava al pischello che l'aveva più o meno abbandonata all'altare. Dramma. Rancore, probabili stati d'ansia, depressione, di nuovo rancore. Insicurezza, estraniamento, cuore infranto, un milione e mezzo di "perché". Ci siamo passati più o meno tutti. Quindi tenevo le distanze in attesa che Dì recuperasse uno stato d'animo più sereno e disponibile a un dialogo. E a dirla tutta, non sembrava che lei dimostrasse di soffrire troppo questa mia riservatezza, perciò abbiamo continuato a guardarci da lontano.
Trascorrono i giorni.
Corallo torna nel raggio attrattivo di Dì sul principio dell'estate 2012. Lei è lucida, gonnellina mimetica, tutta femmina, occhi contornati di matita nera. Io invece sono sotto l'effetto di THC, indosso un jeans e una vecchia t-shirt, nera come la matita attorno ai suoi occhi scuri. Scambiamo parole che ne sottendono altre. Il giorno dopo mi sveglio con addosso una sensazione strana, che mi fa formicolare le ginocchia. Però i miei entusiasmi si spengono in fretta: dopo qualche tempo mia sorella Giacinzia riferisce di aver avvistato Dì mentre limonava con un tale simile a uno di quei vecchi direttori di circo, pelato, baffetti a punta, anziano addirittura. Accuso il colpo e ribattezzo il tale con un nomignolo: "il Domatore di Limoni". A Luglio prendo un aereo e col mio socio Ramon vado al festival internazionale di Benicassim, poi in viaggio verso Sud. Il mio Agosto si consuma così.
Milano è là che aspetta però.
Ancora una volta, senza esserci dati appuntamento, mi ritrovo Dì davanti agli occhi. E finalmente ci scambiamo un'unica occhiata che svela quell'attrazione reciproca che è premessa d'altro. Sbang, tutto attorno diventa sfuocato. Per quanto riguarda me, da quel momento ogni remora è caduta. Nonostante una vocina continui a suggerirmi "stai attento, Corallo!".
Stavolta l'azione è repentina. Dopo un paio di "mi piace" su facebook - moderno corteggiamento tecnologico - Corallo invita Dì a uscire per bere qualcosa. La risposta di lei è: "Appena mi è passato questo malditesta". Nel giro di un paio di giorni e senza preavviso il malditesta passa. Dì - scavalcando la prassi sterile di facebook - invia un sms a Corallo in cui si dice disponibile a bere qualcosa, la sera stessa. Niente scuse o tatticismi. Corallo, colpito da tanta schiettezza, esce di casa. La vede avvicinarsi da lontano, zona Farini. Asfalto bagnato, pioggerellina nell'aria. Lei compare tra i taxi fermi in sosta e una volante della Polizia che ha appena acceso i lampeggianti blu delle sirene. Un paio di nordafricani sul marciapiede sembrano nervosi. Dì ha un vestitino corto, assai corto. Cammina verso la mia macchina, sorridendo. Era il 3 Settembre 2012.
Analisi comportamentale.
Forse ci vedevamo da una decina di giorni, non di più, quando Dì ha iniziato a parlare di chiavi di casa [sua] da lasciarmi in custodia, oppure a farmi notare di aver aggiunto un cuscino in più nel [suo] letto o di aver comprato i biscotti [suoi] che piacevano a me per fare colazione, assieme, al mattino. Preciso subito che io al mattino non faccio colazione: bevo caffè e fumo. Stop. Con lei facevo colazione, perché a lei piaceva farlo. E a me piaceva che le piacesse. Comunque, ogni tanto la ragazza buttava frasi che io tentavo accuratamente di farmi scivolare addosso, di non sentire. Non perché sono un cinico bastardo, semmai è il contrario, ma perché con Dì ogni parola era un passo falso, dovevo stare attento, attentissimo. Assieme eravamo la miccia e la polvere da sparo, un congegno dinamitardo sempre sul punto di esplodere. Lei da me non voleva reale empatia, ma desiderava brevi forme d'attenzione. Con Dì avevamo un contratto d'amore a tempo determinato, senza alcuna possibilità di proroga, ma abbiamo fatto finta che così non fosse. Almeno io, che me ne sono accorto solamente dopo. Ed è durato poco.
- Dì - Ma tu vorresti vedermi anche fuori casa? Andare al cinema, a cena assieme, uscire insomma? -
- Io - Certo, se anche a te facesse piacere -
Durante i nostri appuntamenti notturni e solitamente dopo aver fatto l'amore, Dì porgeva domande, ascoltava le mie risposte e poi non aggiungeva altro. Si rigirava nel cuscino, nascosta dalla frangetta, proiettando i pensieri altrove.
Una volta di quelle volte, a letto assieme, mi ha riferito un dialogo con una sua amica d'un episodio che riguardava me.
- Amica: "Ma alla fine perché ti piace 'sto tipo?"
- Dì : "Perché una notte, mentre facevamo l'amore, io gli ho chiesto: 'Ma io ti piaccio' e lui mi ha risposto 'A volte'. Capisci? Mi ha risposto 'A volte!'"
Insomma per Dì sentirsi apprezzata "a metà" era entusiasmante. Perlomeno per quanto riguardava il mio apprezzamento. Infatti a me spettava il compito di tenere la giusta distanza, senza cadere negli eccessi. A me. Che da quando ho iniziato a capire qualcosa su me stesso ho avuto un'unica certezza: non so gestire l'istinto, sono la preda preferita dagli stati emotivi contrastanti, attualmente sono un disastro composto al 70% d'IRA e al 30% di LUSSURIA: il soggetto meno indicato a sostenere lo stress sentimentale. Una bomba a orologeria.
- Interlocutore anonimo: "Corallo, scusi, ma quanto è durata la sua storia con Dì?"
- Nelson RF Corallo: "Intende dalla sera in cui siamo usciti, nel Settembre 2012?"
- Interlocutore anonimo: "Esattamente"
- Nelson RF Corallo: "Venti giorni"
- Interlocutore anonimo: "Solo venti giorni?"
- Nelson RF Corallo: "Beh, sì"
- Interlocutore anonimo:"Neanche un ciclo lunare completo, quindi?"
- Nelson RF Corallo: "Già"
- Interlocutore anonimo: "E perché sente così forte la necessità di parlarne?"
- Nelson RF Corallo: "Perché quei venti giorni hanno avuto effetti considerevoli su ciò che è avvenuto dopo"
- Interlocutore anonimo: "Cioè?"
- Nelson RF Corallo: "Se ha un attimo di pazienza glielo spiego, vede, è un bordello…"
- Interlocutore anonimo: "Dica, sono curioso…"
- Nelson RF Corallo: "Le dispiace se però prima ci butto dentro un altro flash back estratto dal mio diario del 2002? Poi capirà"
- Interlocutore anonimo: "Prego"
Flash back. 2002.
COMUNISMO COMUNISMO COMUNISMO. Non credo più nella logica della struttura familiare. Potessi ritornare indietro rifarei il tema della maturità scrivendo che la famiglia è la cellula base di una società borghese ed egoista. La famiglia non aiuta, opprime. La famiglia non insegna finché è famiglia. La famiglia è un crogiolo di meschinità celate. Comunismo comunismo comunismo una società non può dirsi comunista se non sottrae i mezzi di produzione al proprietario privato e li collettivizza. "Dov'è il comunismo? Cosa c'è di sbagliato col comunismo? Puoi toccarlo? Puoi sentirlo? Puoi fotterlo?". Non sono parole mie, sono quelle di un tizio di colore che urlava da sopra uno sgabello allo Speaker Corner, quando stavo a Londra, febbraio/marzo 2002.
Venerdì 12 luglio 2002 - scrivo perché scrivere mi aiuta a capire e affrontare le mie paure.
I miei genitori sono tornati dalla Francia per ripartire per Salerno. Il 16 Luglio fanno 25 anni di matrimonio. Mi sveglio con i Cypress Hill, passo il pomeriggio coi Sublime e il masterizzatore. Ho fatto l'esame di diritto privato comparato esercitando ai massimi livelli la mia capacità dialettica con l'assistente. Ha funzionato. I miei amici tacciono. Non ho secondi amici. La compagnia di scorta non ce l'ho. Non vale più la mia teoria: per ogni esame una donna. Di donne vedo solo quelle dei film anni '70 o dei film porno. Non è che non va bene, però mi sembra di stare vivendo come osservatore, guardone. Sto contemplando la vita degli altri. Niki (il mio cane, n.d.a.) è l'unico essere vivente che frequento realmente. Lei non è indipendente da me. Le ho fatto il bagno, messo l'antipulci, fatta giocare, protetta dalle zanzare che hanno ammazzato me… non ho la tipa, ho il cane, ma rimango abbastanza indifferente a tutto ciò. Mi chiedo cosa succeda. Sono un ingranaggio di un sistema che per quanto io mi muova mi tiene incastrato in una sezione ristretta, occludendomi la via ad altro. Non si è liberi. Ecco, adesso inizio a fare il filosofo del cazzo. Si avvicina il giorno della mia dipartita. Ah ah ah, risata macabra. Cioè della mia partenza verso Salerno. In macchina. Da solo, tutti quei km, da solo. Sto registrando quantità di cassette da poter ascoltare mentre sarò in viaggio. E se dovessi morire? Sarebbe una tristezza… cazzo… No via di scampo. Morire in modo atroce. morire morire morire morire morire morire morire. Dov'è il mio romanticismo e la mia faccia di cazzo? Perché non ci so più fare con le ragazze? Dico solo stronzate, solo stronzate, mi atteggio a pagliaccio. Sono un buffone anche con me stesso e me ne compiaccio. Sempre con uno stupido sorriso sulla bocca in questi giorni. Rido per facezie perché la vita fa ridere. Buffi personaggi abitano questo mondo. E' finito il lato della cassetta anche per me e non posso mandare indietro il nastro per ricominciare da capo. Ma va bene così. Non sono felice perché la felicità non esiste ma sono stato felice perché ho vissuto bei momenti con tutti. Tanto per la cronaca ho continuato a vedere coccinelle ma niente sentimentalismi annessi. Sarà che ho visto anche troppe zanzare troie.
CAFFE' MAKES ME NERVOUS, but I'M ADDICTED TO CAFFè - fucking good caffè
Se devo morire allora voglio dire ancora qualcosa: VAFFANCULO VAFFANCULO VAFFANCULO alla pseudodepressione, allo stalinismo, alla politica delle parole, alle libertà solo a parole, al nazifascismo, al confucianesimo, al colonialismo, all'imperialismo, alla privatizzazione ad ogni costo, allo spreco di idee, forze, energie, vaffanculo a chi parla e a chi sta zitto quando non deve, al cancro, alla sclerosi multipla, al tumore, al militarismo, al fondamentalismo, alle cose che costano troppo e non valgono un cazzo, alla chiesa, a chi crede di sapere tutto, alla musica di merda, a chi passa avanti e non guarda, all'America del nord, alle tipe che vogliono fare le veline, alle ragazze che studiano giurisprudenza ma vogliono fare le veline, agli sfruttati che continuano a farsi schiacciare, a chi non vuole proprio capire l'arte moderna che fa schifo, agli amici che non parlano se non sotto inquisizione, ai viaggi che costano troppo, ai monarchi e ai monarchici, a chi non fa sesso orale, a chi si lamenta perché c'è sciopero, alla televisione, allo sporco che non va via, al tempo buttato, alle occasioni che non ritornano, alle zanzare, alla bella gente, agli insegnanti che hanno tanto da imparare, ai servili, a chi vuole stare meglio affogando nel peggio, all'amore da due soldi, alle idee che non cambiano, alle chiavi che si spezzano, alla siccità, all'inedia, alla società che ti soffoca, ai pubblicitari, ai pomeriggi caldi passati da soli, a tante parole che non portano a niente, VAFFANCULO…
Ed ancora ce ne sarebbero da dire. Sono ancora vivo, e finché potrò, scriverò queste inutilità. Se muoio non per forza bisogna considerare il fatto in maniera negativa. Forse ho lasciato qualcosa in sospeso, magari non dovevo concludere tutto. Ma quando hai fatto tutto allora sei morto. Sono già morto. E vaffanculo a chi si abbatte, a chi non lotta, a chi non ama, a chi non richiama quando ha detto che lo avrebbe fatto, a chi si crede sconfitto ancor prima di cominciare a combattere, a chi non vive… cose che non mi riguardano più ora che sono morto. Che ridere… che ridere… muoio e rido. Ma ci sono proprio tante cose che sono belle in questa vita, quelle cose che uno vorrebbe poter godere tralasciando le altre. Ma sembra proprio che non si possa vivere mai per bene. O tutto o niente. Almeno così è per noi ragazzi medio borghesi, di origini meridionali, che volevano fare gli artisti e invece studiano la giurisprudenza. Parole inutili le mie, stronzate da vivo e da morto.
Caffè. sono veramente rincoglionito. non va bene. rassegnato, no. cosciente è la parola giusta. senza più maiuscole. bisogna lasciare che il cervello lavori senza stress come i progetti per il futuro, bisogna vivere il presente, ma che cazzo, il mio presente mi fa pensare al futuro ed il cervello è stressato, il mio cervello si surriscalda… e dico, penso, scrivo solo cazzate. non ho neanche la fantasia per trovare sinonimi alle mie parolacce. eppure sono simpatico, a volte. quindi se muoio è tutto a posto, se non muoio sono cazzi. e comunque mi ritengo insoddisfatto. oggi era il 13 luglio 2002 e durante la mattina ha piovuto.
Coito interrotto --> ricordo a chi dovesse leggere quanto ho scritto che non sono pazzo. E' importante. Non mi diverto a scrivere follia e a riempire pagine bianche così alla cazzo. Mi piacerebbe molto di più scrivere storie, racconti, parlare di filosofia o comporre musica ma al momento riesco a fare solo questo. Anzi, bisogna stimare la volontà che ho nel provarci almeno ad uscirne, o no? Ma che importa, you suck.
Salto temporale. MILANO - SALERNO. Non sono ancora morto e continuo a pensare. Ma il fatto di non aver scritto sul diario vuol dire di per sé che ho avuto da fare. Niente di assai importante ma pur sempre qualcosa da fare. Ora sono nel soggiorno della casa di Nonna Ines, ascolto i Clash e sento ancora l'odore dei due polli che abbiamo ucciso poco fa. Sento la puzza della loro stessa merda, la sento su di me, sotto le mie unghie. Soggetti colpevoli di omicidio: Nelson, Nonna Ines, il Maestro (ossia mio padre). Io tenevo le zampe al pollo, Nonna stringeva le ali e il Maestro affondava la lama nel collo del pennuto per niente rassegnato alla sua morte imminente. Le gambe o meglio le zampe gialle e dotate di grosse unghie arcuate si sono contratte più volte in una forma di stretching mortale. Ho pensato alla vita di quel pollo che gli scorreva via dal collo. E a me stesso, che non riuscivo a trattenere quella stessa vita dalle sue zampe, perché per quanto potessi stringere quei piedi aguzzi la vita continuava a contrarsi come un conato di vomito per poi essere schizzata fuori, a getti purpurei, nel lavandino.
Il viaggio che mi ha portato fin nel Sud non è stato male. Traffico regolare. Camion educati. Pochi lavori autostradali, solo qualche problema in zona Caserta. Niki è stata una buona compagna di viaggio, siamo arrivati e abbiamo incontrato Giacinzia, rivisto amici e persone conosciute un tempo per 5 secondi, ma pur sempre familiari allo sguardo che scruta il contesto salernitano. Sono stato anche al Paesello, con Guido, e anche lì ho rivisto cose e ambienti vecchi eppure cambiati. Forse perché il mio modo di guardare è cambiato. Mi sono sentito bene. Sono attratto dai colori, dagli scorci del cielo, mi sento ancora osservatore. Continuo a leggere Dylan Dog: in ogni episodio c'è un amplesso con una donna diversa, e ogni volta il detective dell'incubo ritorna a stare solo, perché sono loro - le donne - a lasciarlo là, dopo che lui ha risolto il caso. Dylan - mio eroe nero - dopo aver dissolto l'intoppo emotivo altrui continua a cercare di ricomporre il suo modellino di galeone, in cerca del proprio padre.
Intanto contemplo la vita irreale e il falso susseguirsi di coincidenze che ogni giorno mi si propongono.
Settembre 2012. Imperfetto.
- Sul Corriere della Sera di oggi c'era scritto che se una donna vuole tenersi un uomo non ci deve andare a letto la prima sera. Ma io non credo sia così. Se a me piace qualcuno ci vado anche subito a letto. Sono un po' maschio in questo senso, come dice mio padre…- disse Dì.
Seduti in una specie di teca di vetro, tra divani e cuscini, bevevamo i nostri drink. Le guardavo le cosce, provavo a non pensare troppo alle sue provocazioni sessuali, ancora disorientato dalla velocità con cui ci eravamo incontrati quella sera, senza poter studiare nessun tipo di strategia. E quando se n'era uscita coll'articolo del Corriere della Sera mi ero detto "beh, interessante. Parla di sesso facile e cita il padre. Che bel complesso di Edipo irrisolto! Ah, scusate, quando è la donna che si vuole inconsciamente accoppiare col padre si chiama complesso d'Elettra". Insomma, quel 3 Settembre piovigginoso si stava scaldando. E non ero io a fare allusioni erotiche, ma lei, appunto.
- Dì - …non so, io con la musica mi lascio andare, è per questo che per me è più facile fare approcci dove si balla e finire a limonare. Tu?
- Corallo - Sì.
- Dì - Mi stai ascoltando o stai dicendo sì a qualsiasi cosa io dica?
- Corallo - Sì.
- Dì - Vaffanculo allora!
- Corallo - Scherzavo, però non capisco tutta 'sta necessità di parlare dei contesti in cui tu sei più predisposta all'approccio. Tutto qui.
- Dì - In effetti noi due potremmo continuare a vederci da lontano senza che accada mai nulla, oppure potremmo andare a letto assieme e stop!
- Corallo - Non potresti dirmi semplicemente che un po' ti piaccio, Dì?
- Dì - No, così andrebbe a rimescolare le carte…
- Corallo - Quindi, o non succede niente oppure andiamo a letto, una botta e via?
- Dì - Beh…
- Corallo - Posso dirti una cosa Dì?
- Dì - Certo.
- Corallo - Ma tu perché parli di continuo? Nel senso, perché parli e basta? Perché dici le cose invece di farle? Siamo qua a bere un drink [vodka tonic per me, birra per lei] e ti metti a fare discorsi sessuali con le cosce al vento. Non che mi dispiaccia, ma cosa devo pensare adesso? Che se non andiamo a casa tua stasera è perché non ti sono piaciuto, oppure se andiamo a scopare è solo una botta e poi arrivederci? E' questo?
Dopo qualche altra frase scomposta le ho chiesto se potessi annusarle il collo e i polsi. Volevo capire esattamente quale fosse il suo odore. Lei, sorridendo innocente, me lo aveva lasciato fare. Cosa avevo percepito? Non è semplice da spiegare: è un'emozione olfattiva. Potrei dirla così: era un misto di giusto e sbagliato, era un odore che doveva essere studiato. Poi l'ho baciata.
Dì mi guarda negli occhi. Sono sopra di lei, dentro di lei. E' sempre la stessa sera in cui ci siamo incontrati per bere semplicemente qualcosa, ma adesso siamo nudi, nel suo letto.
- Dì - Ma questo è solo sesso o stiamo facendo l'amore?
- Corallo - Non lo so…
Che cazzo di domanda, dopo tutti i discorsi fatti prima: sesso facile, una botta e via, io sono più simile a un maschio etc. etc., adesso fa la romantica e mi spiazza. Ho aspettato una quindicina d'anni questo momento e ora sono felice, ma anche drammaticamente inibito. Non ho messo il profilattico, non me l'ero portato, non mi aspettavo saremmo finiti così. Dì, tutta nuda, mi ha dato dell'ingenuo e dell'irresponsabile. Giustamente lei usa sempre le precauzioni, tant'è vero che dopo qualche ricerca nel suo armadio è riuscita a trovarne uno, avanzato da chissà quale vecchio rapporto precedente [il che mi ha fatto pure un po' incazzare]. Anche se - pure senza il cappuccetto di lattice - mi ha accolto dentro di sé.
Ma dopo qualche giorno ho fatto le analisi del sangue, tutto a posto.
In ogni caso Dì mi aveva fatto sentire in colpa e pure un po' infantile.
2 Novembre 2012. Presente.
Sto scrivendo, adesso. Proprio ora. Metto in fila gli eventi ed è dolce e amaro assieme. E' trascorso troppo poco tempo da quando sono accaduti gli episodi che racconto. Solitamente non parlo di ciò che mi è appena successo, perché sono convinto che tutto debba sedimentare, trovare una forma scevra da troppa emotività. Ma 'stavolta le conseguenze hanno prodotto ulteriori conseguenze che forse mi sono sfuggite di mano. Anzi, dico la verità, da Dì in poi tutto il mio mondo emotivo s'è trasformato in uno tzunami che mi ha travolto. E ora ho bisogno d'aiuto. Perciò scrivo, anche a costo di fare ulteriori danni. Ma poi, peggio di così, non credo di poter fare davvero. Sono già in scacco matto, tanto vale fare l'elenco delle mosse che mi hanno portato fino a qui. Ché poi magari riesco a venirne fuori, in quanto anche Karl Popper ha sostenuto che "L'intelligenza è utile per la sopravvivenza se ci permette di estinguere una cattiva idea prima che la cattiva idea estingua noi".
Quindi, i giorni sfilacciati di cui parlavo all'inizio di Ottobre - quelli che sono venuti subito dopo essermi schiantato cadendo metaforicamente da un palazzo - hanno iniziato a serrarsi.
Mio malgrado ho dovuto abbandonare il divano di casa in favore dell'attività esterna. Sono tornato tra le persone, negli uffici, in mezzo alla strada, nelle metropolitane. E nel letto di chi mi aveva eliminato. Naturalmente non sto parlando di Dì. Quella è una questione che adesso mi vede drasticamente esule. Ma ne scriverò la cronaca, lo farò, lo devo fare per consegnarla a chi vorrà leggere. Posso solamente dire che se non lo faccio, in fretta, ne verrò divorato. Ho preso coscienza del fatto che soffro. E 'stavolta non voglio coccolarmi il dolore a lungo, come mi è successo in passato. Quel dolore che ho sentito dopo che lei, Dì, ha spento l'interruttore dei nostri discorsi (anche a causa mia, non lo nego), proprio mentre avevo iniziato a percepire un calore diabolico nascermi dentro. Mi metterò seduto alla scrivania del soggiorno, rivolto verso le finestre, e comporrò i pezzi di questo puzzle amoroso prima di caderci io a pezzi. Anche se le dinamiche esatte dell'incidente sono tuttora in fase di studio. Jesus! Venti giorni sono bastati! Eppure la domanda fondamentale che continuo a pormi è: sono morto per omicidio, [ossia Dì mi ha spietatamente ucciso], oppure è stato un suicidio premeditato, [ossia Corallo ha simulato il suo stesso omicidio]?
Ora - prima di proseguire - ho questo ricordo imperante di me stesso che mi perseguita. E' notte, ci sono io che indosso la mia giacca di pelle da sbirro, esco barcollando da casa di Dì e nel petto ho un foro di proiettile di grosso calibro, in testa vetri rotti. Non prendo l'ascensore, scendo per le scale. Via, via! Devo andare via da lì, subito! Non ha senso restare neanche un minuto di più. Fa male, fa male tutto. "Debole" è una parola che mi fa eco mentre fuggo. Cosa è successo?
Ma soprattutto, perché dopo qualche giorno da quella disastrosa fuga sto leccando i capezzoli di una laureanda in Arte Moderna? Sono nel suo letto, nella sua stanza in penombra, foto sparse attaccate ai muri. Niente sesso 'stavolta, solo preliminari estenuanti. E mi ritrovo ancora una volta catapultato in strada, sui navigli alle 5 del mattino, a chiedermi cosa mi stia succedendo. Perché sono sempre così solo e rabbioso? Oltretutto la giovane ragazza di cui sopra non ha affatto insistito perché io restassi da lei. Ho come l'impressione d'essere davvero diventato una Puttana. Io, una Puttana. Dì è un silenzio pieno di rancore e tristezza abissale. Ma non faccio in tempo a pensare troppo, giusto 48 ore, perché - stavolta nel mio letto - c'è un'altra ragazza. E questa ha gli occhi da cerbiatta e sa esattamente come tenermi le briglie. Chi è? Valentinuzza. Ossia colei che dopo essermi stata amica fin dai tempi del liceo [il passato irrisolto ritorna, Cristosanto], dopo anni, esattamente nel Dicembre 2009, s'è presentata a casa mia con una bottiglia di birra e mi ha detto che era giunto il tempo di "scopare, via il dente via il dolore…". Proprio così aveva detto, seduta a gambe incrociate sul mio tappeto. Dopodiché, tempo tre giorni di sesso, lei mi aveva letteralmente abbandonato a me stesso, il 1° Gennaio 2010, tornando col suo ex fidanzatino di sempre. Valentinuzza m'aveva tirato una di quelle coltellate che non si dimenticano. Ma perché adesso è nel mio letto? Ve lo dico subito: ancora sconvolto dalla perdita di quella frangetta scura, avevo preso il cellulare, scritto un sms disperato e formulato una nuova teoria emotivo/creativa per provare a venirne fuori: se non hai ancora capito come hai fatto a farti esplodere il cuore mentre frequentavi una ragazza [Dì, nel mio caso] tu NON devi correre da chi prima di lei ti ha dato affetto, amore e protezione - ossia Laila, che Dio la preservi femmina meridionale, dolce, folle, materna e amante appassionata - ma bussa più volte alla porta della più crudele tra le donne che hai conosciuto finora. Solo lei potrà aiutarti. E così è stato.
Diario di Corallo 2002 VS 2012, Prove generali per un Cuore*
L'espressione letteraria più autentica è il diario. Scrivere come si vive.
Alessandro Morandotti, Minime, 1979/80
Segue da sopra.
Quante volte hai detto "Sono io" rispondendo alla voce che al citofono ti ha chiesto "Chi è?".
"Io chi?" potrebbe dire la voce al citofono, fosse anche tua madre che ti conosce fin da quando t'ha partorito, ma proprio in quel momento c'ha un dubbio.
"Io" potresti semplicemente rispondere tu, convinto di essere proprio tu.
Allora il cancello d'entrata farebbe uno scatto e potresti finalmente passare.
Tutto potrebbe concludersi così.
Così non ci sarebbe neanche bisogno del "Mito della caverna di Platone".
Ma non funziona così.
"Io chi?" dice la voce al citofono.
"Oh cazzo…" pensi tu, ripassando mentalmente Platone.
Incatenati fin dall'infanzia nelle profondità di una caverna, abbiamo testa e collo bloccati, i nostri occhi possono solo fissare il muro davanti a noi. E mica è finita. Alle nostre spalle hanno acceso un fuoco enorme e tra questo fuoco e noi prigionieri c'è una strada rialzata. Lungo questa strada hanno costruito pure un muretto, lungo il quale altri uomini portano forme di vari oggetti, animali, piante e persone. Le forme proiettano ombre sul muro e noi le stiamo a fissare. Una sorta di teatrino cinese. In più, se qualcuno degli uomini che trasportano queste forme dovesse parlare, si formerebbe nella caverna un'eco che spingerebbe noi prigionieri a pensare che la voce appartenga alle ombre che vediamo passare sul muro. Così chi sta all'esterno ha un'idea completa della situazione, invece chi sta dentro, non sapendo cosa succede alle proprie spalle e non avendo esperienza del mondo esterno, prova a interpretare le ombre "parlanti" come oggetti, animali, piante e persone reali.
Bene. Il problema è un altro. Se un giorno un prigioniero venisse liberato dalle catene e fosse costretto a rimanere in piedi, con la faccia rivolta verso l'uscita della caverna, ecco, avrebbe guai seri. I suoi occhi sarebbero abbagliati dalla luce del Sole e proverebbe dolore. Non solo, le forme portate dagli uomini lungo il muretto gli sembrerebbero meno reali delle ombre alle quali è abituato; persino se gli fossero mostrati quegli oggetti e gli fosse indicata la fonte di luce, il prigioniero rimarrebbe comunque dubbioso e, soffrendo nel fissare il fuoco, preferirebbe tornare a guardare le ombre. E se il prigioniero fosse comunque costretto a uscire dalla caverna e venisse esposto alla luce diretta del Sole rimarrebbe accecato. Non riuscirebbe a vedere nulla. Quindi si sentirebbe inadeguato e proverebbe rabbia per essere stato costretto a vedere. Comunque, pure volendo abituarsi alla nuova situazione, il prigioniero riuscirebbe a distinguere soltanto le ombre delle persone e le loro immagini riflesse nell'acqua; solo con il passare del tempo potrebbe sostenere la luce e guardare gli oggetti per come realmente sono. Solo alla fine potrebbe, di notte, rivolgere lo sguardo al cielo, osservando i corpi celesti. E solo da ultimo, il prigioniero sarebbe capace di vedere il Sole stesso, invece che il suo riflesso nell'acqua, e capirebbe che:
« è esso a produrre le stagioni e gli anni e a governare tutte le cose del mondo visibile e ad essere causa, in certo modo, di tutto quello che egli e suoi compagni vedevano. »
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(Platone, La Repubblica, libro VII, 516 c - d, trad.: Franco Sartori)
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Capendo la situazione per quella che è l'ex prigioniero vorrebbe tornare nella caverna e liberare i suoi compagni, provando per loro un senso di pietà: il problema, però, sarebbe proprio quello di convincere gli altri a essere liberati. Infatti l'ex prigioniero, dovendo tornare nell'ombra, dovrebbe riabituarsi a vedere nel buio della caverna; e in questo periodo verrebbe preso per folle dagli altri prigionieri, perché secondo loro lui sarebbe tornato dall'ascesa con "gli occhi rovinati". E questa sua inabilità a vedere nell'oscuro influirebbe negativamente sulla sua opera di convincimento. Anzi, le sue parole potrebbero spingere gli altri prigionieri a ucciderlo, se tentasse di liberarli e portarli verso la luce, perché per loro non varrebbe la pena di subire il dolore dell'accecamento e la fatica della salita per andare ad ammirare le cose da lui descritte.
"Chi è?".
"Sono Corallo, almeno credo".
Interlocutore anonimo: "Corallo."
Nelson RF Corallo: "Salve."
Interlocutore anonimo: "Immagino voglia finire di raccontare la storia. Quella storia."
Nelson RF Corallo: "Già."
Interlocutore anonimo: "Abbiamo ricevuto alcuni feedback a proposito."
Nelson RF Corallo: "Che dicono?"
Interlocutore anonimo: "Beh, qualcuno pensa che lei sia un mitomane alla costante ricerca di auto-approvazione..."
Nelson RF Corallo: "Come dargli torto?"
Interlocutore anonimo: "Lo ammette, quindi?"
Nelson RF Corallo: "Non ho mai negato d'essere autoreferenziale. Gli altri feedback?"
Interlocutore anonimo: "Allora, vediamo… ecco, a qualcuno piacciono molto gli inserti erotici…"
Nelson RF Corallo: "Beh, il sesso vende sempre. E se a 'sto giro facessi ancora più riferimenti sessuali?"
Interlocutore anonimo: "Cioè?"
Nelson RF Corallo: "Per ogni paragrafo potrei inserire un amplesso."
Interlocutore anonimo: "Diventerebbe un racconto erotico, quindi."
Nelson RF Corallo: "Ma sì, giochiamocela così… In fondo sto parlando di una storia di passione, no?"
Interlocutore anonimo: "Mmh..."
Nelson RF Corallo: "Ha qualche dubbio?
Interlocutore anonimo: "No, però…"
Nelson RF Corallo: "Però cosa?"
Interlocutore anonimo: "Lei, Corallo, che rapporto ha col sesso?"
Nelson RF Corallo: "Beh, mi piacerebbe farne di più."
Interlocutore anonimo: "E intanto ne vuole scrivere?"
Nelson RF Corallo: "Sì, perché così lo sublimo in attesa che ne venga ancora. E poi il sesso che ho fatto in passato vale la pena d'essere raccontato."
Interlocutore anonimo: "Va bene. Però, prima, un'altra cosa."
Nelson RF Corallo: "Dica."
Interlocutore anonimo: "Nel racconto intitolato 'Diario di Corallo 2002 vs 2012', oltre a parlare della sua breve storia con Dì, lei fa continui salti temporali, flash back…"
Nelson RF Corallo: "Lo so, mi scusi. Al confronto la trama di "Pulp Fiction" sembra lineare. Ho rimescolato tutto, ma adesso risolvo. "
Interlocutore anonimo: "Ecco appunto, Corallo, magari stavolta potrebbe essere un po' più lineare?"
Nelson RF Corallo: "Giuro."
Interlocutore anonimo: "Bene, dove eravamo rimasti?"
Flash back
Scherzavo. Nessun salto temporale all'indietro, né in avanti. Per chi già conosce la vicenda siamo arrivati al punto in cui mi ritrovo a letto con Valentinuzza, subito dopo essere fuggito dall'appartamento di Dì, la ragazza con la frangetta che mi aveva prima scaldato il cuore - facendomi credere d'aver risolto il proprio passato amoroso - e poi sparato al petto, Settembre 2012.
Comunque anche Valentinuzza s'era rivelata una carognetta. Proprio lei mi aveva sedotto e abbandonato tra il 2009 e il 2010. Esattamente il pomeriggio del 30 Dicembre 2009 era venuta a casa mia, avevamo bevuto il thé, fumato sigarette e fatto sesso. Siccome era la terza volta che ci vedevamo - in veste di amanti, intendo - iniziavo solo in quel momento ad approfondire i suoi meccanismi erotici, i punti sensibili, la nostra reciproca compatibilità a letto. Insomma era un gioco entusiasmante, visto che è un gioco dove - se tutto viene fatto per bene - si vince entrambi. Ammetto d'essere un po' lento in queste cose, nel senso che con l'avanzare dell'età il mio modo di concepire il sesso si è basato sempre più sull'affinità mentale che non sul semplice contatto fisico. Il corpo comanda e le prime sensazioni sono istintive: l'impulso è carnale. Però dopo uno o due amplessi con la stessa partner mi accorgo che il piacere nasce principalmente dall'idea di stare facendo sesso con una donna che a sua volta mi desidera e con la quale posso parlare. Già, parlare. Se le lecco l'interno delle cosce oppure la bacio mentre lei mi scivola addosso devo comunque sentire un collegamento mentale tra noi. Deve esserci un luogo nella testa dove noi stiamo scopando anche lì. A meno che non si tratti di un unico episodio, con una persona che non conosci e sai già che non rivedrai mai più. Quindi, in quel caso, l'erotismo nasce proprio dall'unicità dell'evento. Ma per me Valentinuzza non voleva essere un caso isolato. Lei, invece, quella sera del 30 Dicembre '09 - come se niente fosse - aveva fatto l'amore con me, mi aveva baciato sulle labbra e m'aveva lasciato con la promessa di rivederci il 1° Gennaio 2010. Promessa non mantenuta, visto che poi è scomparsa senza alcuna motivazione plausibile. Stop.
Non l'ho più rivista per giorni, almeno fino a quando non sono riuscito a stanarla per chiederle spiegazioni. E durante quel tempo sospeso, fatto di sms inevasi, cellulare che suonava a vuoto e (suo) silenzio vigliacco, nel mio appartamento m'ero allevato una piccola Pantera Nera fatta di rabbia. La nutrivo col mio sangue. Lei cresceva, affilava gli artigli su di me. Ho ancora una bella cicatrice sull'avambraccio sinistro, in perenne ricordo del mio autolesionismo tardo-adolescenziale.
Come mi ero sentito quando Valentinuzza si era dissolta nella nebbia? Abbandonato, inspiegabilmente colpevole per qualcosa che non riuscivo a spiegarmi.
"Perché?" La domanda è sempre la stessa: perché fino a ieri abbiamo fatto l'amore e adesso il mio letto è vuoto? Cosa ho fatto?
Eppure godevi tra le mie braccia, baby.
Ottobre 2012. Nel mio appartamento.
Valentinuzza - Allora? Dimmi la verità. Perché mi hai fatto venire qui? Per vendetta o perché sono una che scopa facilmente?
Corallo - Abbracciami… -
Sono passati due anni di rancore profondo, ma adesso Valentinuzza è tornata. Carina, capelli mossi raccolti con forcine, occhi da Cerbiatta tutt'altro che innocenti. Mi abbraccia mentre mi tuffo nella sua sciarpa che sa di femmina e già sto meglio. Aspiro il suo odore, fermo in piedi nel corridoio di casa mia.
Valentinuzza - E' uno dei tuoi metodi del cazzo per rimproverarmi oppure stai male per davvero?
Corallo - Ma non si vede che sto male?
Valentinuzza - Forse, ma non ti credo.
Corallo - Beviamo...
Valentinuzza - Quante birre hai?
Corallo - Tre rosse e una doppio malto.
Valentinuzza - Poche…
Valentinuzza funziona ad alcool. Deve bere, ma poi mi ascolta. La Cerbiatta affonda le radici in quella fetta della mia vita che si chiama "adolescenza". Siamo cresciuti entrambi tra le grigie stagioni alternate della periferia di Milano. Anno dopo anno ci siamo visti evolvere tra i palazzi in costruzione e le Ferrovie Nord sempre in ritardo. A dire la verità Valentinuzza m'aveva sempre corteggiato fin dai tempi del liceo [lo ammette lei stessa n.d.a.] ma io l'avevo tenuta a parte, considerandola un'amica. Ossia una pupattola con cui giocare. Ad essere del tutto sinceri l'avevo trattata come una bamboccia per tutto il periodo delle scuole. Più piccola di me di quattro anni, ne approfittavo per fare il maschietto dispettoso mentre lei mi masterizzava cd e scriveva poesie sulle pagine dei diari. Proprio per questo, dopo esserci stato a letto assieme e averla sentita ansimare come fa una donna, mi pareva d'aver scoperto in lei qualcosa di diverso dall'idea che m'ero fatto, e volevo comprenderla più profondamente. E invece no. Come ho detto sopra, dopo solo tre appuntamenti di sesso, m'aveva dato una bella coltellata. Lei, una persona da cui mai me lo sarei aspettato. Così l'adolescente Cerbiatta s'era vendicata del crudele Corallo.
Seduti al tavolo della cucina, bottiglie di birra quasi finite, le sto parlando del dolore che ho provato l'ultima volta che sono stato a casa di Dì.
Valentinuzza - Da come me la racconti tu, lei non era pronta per una relazione...
Corallo - Ma lo so...
Valentinuzza - Aspetta, Scimmiotto! Dì non era pronta per una relazione in generale, e soprattutto non era pronta per una relazione con uno come te, bestia!
Corallo - Quando mi chiami Scimmiotto mi fai venire i brividi di piacere...
Valentinuzza - Smetti di fare il coglione.
Corallo - Non sono un coglione. Sono stato abbandonato da una bastarda… come hai fatto tu con me!
Valentinuzza - Ecco, lo sapevo che ti dovevi incazzare adesso!
Corallo - Ma porca la puttana! Mi hai mollato il primo di gennaio per andare con uno, oltretutto il tuo ex, che poi hai comunque mollato… Tanto valeva stare un po' con me, provarci, no? Che cazzo ho fatto di tanto sbagliato?
Valentinuzza - Tu sei un dittatore del cazzo! Decidi tutto tu, fai tutto tu, stabilisci le regole e non ascolti!
Corallo - ...
Valentinuzza - Tu non aspetti che gli altri spieghino cosa stanno provando in quel momento. Non lasci spazio, fai le tue indagini, stop, alzi un muro!
Corallo - Ma...
Valentinuzza - No, ascolta me adesso. Invece di incazzarti dopo che ero sparita potevi venire sotto casa mia a urlarmi 'sei una puttana', o quello che volevi, ma tu? Niente, hai mandato un paio di sms, hai fatto una telefonata e poi ti sei rinchiuso in casa a farti crescere la rabbia fino a quando non hai avuto la possibilità di farmi male, la volta dopo, quando ci siamo rivisti!
Corallo - Ero distrutto quando non ti ho più trovata. Il giorno prima si fa l'amore, il giorno dopo siamo estranei? Ma come minchia è possibile? Mi pareva d'essere ridicolo a insistere. E poi per cosa? Per non avere mai una risposta? E avevi pubblicato quelle cose su facebook, Cristo di Dio… ma che cazzo! Ma secondo te una persona come reagisce quando vede i dialoghi amorosi tra una che credeva una possibile relazione e quell'altro, così, come se niente fosse, sulla bacheca in mezzo ai video e alle stronzate? Uno guarda lo schermo del computer e poi dice "Oh guarda, quella che scopava con me fino a ieri adesso è tornata col fidanzato… e non me lo ha detto, a me che l'avrei comunque accettato, si vede che è un po' distratta…TROIA!".
Valentinuzza - In effetti non mi sono comportata troppo bene con te…
Già. Nessuno dei due si era comportato proprio bene con l'altro. Ma adesso Valentinuzza è qui, siamo vicini, sul divano. Quando le mie birre son finite lei è andata a prenderne un'altra da 66 cl. a casa della madre. Poi è tornata da me per vedere un film. Sembrerà strano ma con una come Valentinuzza non è sempre detto che la si possa vedere ritornare, anche se un minuto prima te l'ha giurato. Lei è una Cerbiatta veloce, sensibilissima agli umori, e quando avverte pericolo scappa.
Corallo - Grazie per stare con me, tu molto buona…
Valentinuzza - Scimmiotto...
Corallo - Guardiamo questo film?
Valentinuzza - Sì, però poi vado a casa.
Corallo - No. No, no, no! Ti prego, baby, ti prego! Non lasciarmi solo stanotte! Ti prego…
Valentinuzza - Domani mi devo svegliare presto...
Corallo - Ti prego, mi sveglio io, ti faccio la colazione, stai qua.
Valentinuzza - Però amici, eh! Niente cazzate, altrimenti torniamo a litigare!
Corallo - Ma...
Valentinuzza - No, niente ma.
Mi sono messo la sua sciarpa odorosa attorno al collo e ho lasciato che la stanchezza mi prendesse. Disteso sul divano, lei seduta sul tappeto a gambe incrociate, le annusavo i capelli e mi sentivo tranquillo. Un cane, ero diventato un cane. Ma dopo un po' d'annusamenti Valentinuzza mi fa capire che tutta quella vicinanza la sta iniziando a turbare. Oh Jesus. Bene, no? Forse questo è un grande ritorno all'amore, dopo che Dì mi ha sfracassato il cuore. Forse tutto doveva accadere affinché io e Valentinuzza ci rincontrassimo!
Cazzate.
Cazzate colossali.
Le cose stanno così: se voglio che la Cerbiatta resti a casa mia, stanotte, devo dimenticarmi d'essere un terrone e trasformarmi nell'amico eterosessuale momentaneamente gay. Perché se insisto troppo quella scappa, lo so per certo, e sono troppo triste per restare da solo. Davvero troppo triste.
Finiamo di vedere il film, poi in camera da letto Valentinuzza si spoglia. Mi spoglio anch'io, con quell'imbarazzo di chi ha fatto sesso in passato ma è passato pure troppo tempo. Le spio le cosce mentre indossa uno dei miei pantaloncini per dormire, si vedono le mutandine. Stai calmo, Corallo. Si mette una t-shirt nera e mi accorgo che anche lei mi sbircia nello specchio mentre resto a petto nudo. Quanta fatica. A letto assieme: lei legge un libro, io me la stringo tutta come fosse un dono di Iddio.
Spegne la luce, mi avvicino, le do un bacio - nel buio - prima su un sopracciglio, poi sulle labbra. Silenzio infinito. Che cazzo faccio adesso?
Non so come ho fatto a resistere, ma mi sono addormentato. Anche Valentinuzza dorme. Sto sognando, è un sogno erotico dove sto facendo delle zozzerie con una che mi pare la ex di un mio amico, boh… Fatto sta che sono eccitato come il proverbiale mandrillo. Nel sonno mi rigiro nel letto. Lo spostamento delle coperte procura una sorta di vuoto tra me e Valentinuzza che, sempre addormentata, ricerca il calore, mi si avvicina e fa qualcosa di molto, molto, molto intimo. Ossia me lo prende in mano, in piena erezione notturna. Sgrano gli occhi nel buio. Sono sveglio, sveglissimo. Che stracazzo faccio ora? Ma lei dorme o fa finta? Continua a tenere la sua dolce manina attorno al mio pene e respira profondamente. Devo fare qualcosa… intanto le metto una mano sul culo. Stiamo a vedere. Attimi eterni. Poi, vaffanculo, sì, vaffanculo… mi sposto lentamente, lei molla la presa, biascica qualcosa nel sonno. Mi alzo, vado in cucina e bevo acqua, fredda. Prendo un plaid e mi metto sul divano. Sono un coglione, onesto, ma coglione. Verso l'alba torno a letto da lei che non si è accorta di niente, almeno credo, altrimenti sarebbe una donna diabolica. Mi infilo sotto le coperte. Quando percepisce la mia vicinanza mi prende una mano, se la gira attorno al corpo e ci ritroviamo abbracciati, io dietro di lei, dolorosamente vicini. Quanta fatica, davvero. Ma ne ho bisogno, ho bisogno di questo odore, di questo calore femminile accanto. Adesso sono come un tossico in crisi d'astinenza.
La mattina dopo Valentinuzza è simpatica e gentile. Cazzeggiamo tra le lenzuola, le racconto l'episodio imbarazzante della notte trascorsa, ridiamo, ci strusciamo a vicenda. Riesco pure a rubarle un bacio prima che se ne vada e mi lasci di nuovo solo. La rivedrò una settimana dopo: altre birre, chiacchiere e qualche bacio ancora. Ma qualcosa tra noi non c'è più. Certo, vorrei rifarci l'amore e forse anche per lei l'idea non è del tutto estranea, però manca qualcosa che non si riesce a spiegare. Forse è il rancore che si è dissolto, forse la sensazione di pace ritrovata, come quando eravamo amici, prima delle coltellate. Forse io penso a Dì e lei a un altro, semplicemente.
Valentinuzza mi lascia sempre solo, comunque.
Anche 'stavolta scompare tra i suoi impegni di giovane attrice teatrale. E un poco torno a detestarla perché so che non risponderà più ai messaggi, né alle telefonate, giustificandosi con un sorriso. Ma io conosco la verità. Ancora una volta la vedrò lentamente affogare in quel lago nero dal quale ogni tanto risale in superficie per darmi un unico bacio e poi risprofondare. Perché io, di Valentinuzza, conosco l'Orrore irripetibile, di cui mi ha parlato una sola volta. Eravamo seduti al tavolo di un ristorante cinese sulla Comasina e senza che le avessi domandato nulla me lo aveva raccontato. E quando una persona ti fa entrare nel proprio territorio buio e segreto - più intimo di un amplesso - e ti permette di conoscere l'Orrore Nero che si porta dentro, tu non puoi far altro che rispettarla. E' come un armistizio tra due Nazioni che si odiano, nonostante si siano fatte la guerra fino a un attimo prima, ma non a tal punto da sganciare la Bomba "H" e devastarsi definitivamente.
Tutti abbiamo un Orrore personale, chi più chi meno. Antico come un mostro archetipo, lo stesso che ti teneva sveglio la notte, da bambino. Diventi adulto e lui cresce con te, di nascosto. Magari sparisce per anni, però un giorno, spesso quando ti fai coinvolgere dai sentimenti - anche per poco - quel Mostro torna a trovarti. Eri convinto d'averlo incatenato sul fondo della coscienza, nella caverna platonica, invece è là che aspetta il momento opportuno. Di solito si sveglia quando sente che stai abbassando le difese emotive. Proprio come era accaduto a me, nel periodo trascorso con Dì, nonostante mi fossi mosso con attenzione da sbirro. Eppure, anche se la mia vita relazionale con la brunetta era stata non più di un breve insieme d'appuntamenti notturni, cui seguivano giorni dove c'era poco spazio per il dialogo, l'Orrore era riuscito a raggiungermi.
E poi in quel Settembre 2012 non avevo le idee molto chiare su cosa esattamente volessi avere o dare a una donna, senza contare che Dì era forse più esaurita del sottoscritto. Insomma, mi muovevo su un terreno parecchio scomodo. E poi - eccolo - è arrivato l'Orrore a suggerirmi tutte le mosse sbagliate all'orecchio.
Un sabato notte di metà Settembre io e Dì ci siamo incontrati nel suo appartamento, dopo aver passato la serata in posti diversi, con gente diversa. Lei aveva addosso un vestito verde sotto cui mi sono gettato mentre lei armeggiava con lo stereo, cercando una colonna sonora adatta al sesso. Le leccavo quel culetto sporgente mentre con una mano mi insinuavo nelle sue mutandine già bagnate. Dì spingeva i fianchi mentre la penetravo con un dito. La sentivo ansimare nascosto nella sua gonna. Poi lei ha deciso di tuffarsi sul letto, orizzontale come un bel paesaggio ai tropici. La baciavo aprendole bottoni variegati. Finalmente Dì allunga una mano, mi slaccia i pantaloni, mi ingoia. Con i vestiti ancora addosso, la prendo. E le parlo tra i baci pieni di saliva. Ci raccontiamo la storia di noi due, che adesso siamo in una stanza di una casa sconosciuta, durante una festa… Sì, c'è una festa, e noi ci siamo nascosti nella camera da letto di qualcuno per scopare. Lei mi chiede se qualcun altro ci ha visti, le dico di sì, qualcuno ci sta spiando proprio adesso e gode a vederci così… Jesus santissimo. E' così che andiamo avanti. Lei mi morde la spalla sinistra, mi riempie di morsi, con una mano mi afferra il culo e lo spinge verso di sé. La giro, le sono sopra, da dietro. Ci guardiamo riflessi nello specchio che qualche giorno fa le ho chiesto di mettere davanti al letto. Queste sono cose bellissime, Cristo di Dio.
Dentro di lei.
Godi, non pensare a me, godi.
Le sue contrazioni orgasmiche sono il mio regalo più bello.
Nudi, sudati, mi è scivolata addosso, siamo uno di fronte all'altra ora, la tengo per le natiche mentre mi morde ancora quella cazzo di spalla. Mangiamela!
Anch'io adesso voglio vincere, tra le sue cosce. Tocca a lei dirmi: "Vieni", che è un ordine che eseguo ruggendo.
C'è qualcosa di meglio in questa stronzissima vita?
E' facile per voi trovare qualcuno con cui fare l'amore così bene? Se per voi è così facile, vi invidio.
Il giovedì seguente sono in una stanza d'ospedale. Bip-bip-bip. Indosso il camice sterilizzato, mascherina sulla bocca, guanti di lattice, cuffietta e copriscarpe di plastica. Mio zio è in coma. Dopo una settimana in cui non se n'era saputo nulla, sua sorella, ossia mia zia, aveva scoperto che era stato ricoverato con urgenza massima nel reparto di neurologia. Stato del paziente: coma irreversibile. Guardo mio zio disteso nel letto, pieno di tubetti e flebo, mentre respira lento. Lo osservo con dolcezza e mi passano ricordi nella mente, di quando ero un bimbetto e lui mi portava allo stadio a vedere la Salernitana. Mio zio è stato uno di quei ribelli intelligentissimi che ha preso tutto ciò che di buono aveva, provando a costruirsi un'esistenza luminosa [in parte riuscendoci], e lo ha messo al servizio della propria auto-distruzione. Perché l'Orrore, il suo personalissimo Orrore, mio zio non lo aveva mai sconfitto, convinto di poterlo "sedare" tramite sostanze più o meno illegali. Eccolo, mio zio: una fottuta Rockstar. Bip-bip-bip.
Le sale di rianimazione non sono silenziose, anzi, sembra di stare in un flipper. Ci sono tanti letti con altrettanti degenti, separati da teli di plastica, e le macchine che servono a respirare emettono suoni costanti e contrastanti. Ci sono gli infermieri che si muovono frenetici, i familiari durante l'orario di visita. E' un posto dove la tua energia scorre via in fretta, va via assieme ai liquidi corporei che vengono raccolti nelle sacche igieniche messe sotto i lettini di metallo.
La sera stessa vado a casa di Dì. Ho addosso la sensazione d'aver pianto senza aver davvero pianto. Glielo dico al telefono prima di incontrarci. Adesso che ci ripenso, mi ricordo che quella sera sono andato da lei quasi contento, meno sbirro del solito, meno nevrotico. La trovo carina, che mi aspetta. Ha lavorato parecchio ultimamente, piena di impegni, eppure mi aspetta. Non ero più abituato ad avere una donna da cui tornare, la sera, pronta a darmi quel poco di calore di cui ogni tanto anch'io ho bisogno. Le racconto della mia esperienza in ospedale, mi ascolta, poi si accoccola accanto a me sul divano.
Interlocutore anonimo: "Corallo, scusi..."
Nelson RF Corallo: "Che c'è?"
Interlocutore anonimo: "Immagino stia per riparlare di sesso, vero?"
Nelson RF Corallo: "In effetti abbiamo poi fatto l'amore su quel divano..."
Interlocutore anonimo: "Va bene, però prima devo chiederle una cosa."
Nelson RF Corallo: "Dica."
Interlocutore anonimo: "Vorrei lei fosse un attimo serio, adesso."
Nelson RF Corallo: "Certo, ci proverò."
Interlocutore anonimo: "Davvero, non scherzo."
Nelson RF Corallo: "Mi sta facendo spaventare, scusi..."
Interlocutore anonimo: "Corallo, si rende conto di come ha dipinto Dì nella prima parte di questa storia e di come ne sta parlando adesso?"
Nelson RF Corallo: "Beh..."
Interlocutore anonimo: "Beh, cosa?"
Nelson RF Corallo: "Nella prima parte del racconto sono stato sincero. E adesso racconto con altrettanta sincerità anche quei pochi istanti di tenerezza avuti tra noi."
Interlocutore anonimo: "Esatto. Quindi avete avuto anche momenti di tenerezza, giusto?"
Nelson RF Corallo: "Sì, peccato che fosse una tenerezza involontaria. Che mi ha danneggiato più che aiutato."
Interlocutore anonimo: "E poi cosa è successo?"
Nelson RF Corallo: "Intende sul divano?"
Interlocutore anonimo: "No lasciamo perdere il divano, ora..."
Nelson RF Corallo: "Perché abbiamo litigato, dice?"
Interlocutore anonimo: "Sì"
Nelson RF Corallo: "Di sicuro abbiamo avuto un violento scontro la domenica seguente, tre giorni dopo la mia visita in ospedale dallo zio. Però devo finire di raccontare la serata di cui stavo parlando, sennò mi confondo…"
Dì si accoccola accanto a me sul divano. Lo sconforto per mio zio è grande, certo, ma la vita pulsa proprio al mio fianco, ora. La bacio. Ancora una volta, stavolta senza neanche toglierle le mutandine di dosso, solo scostandole, entro in lei. Tornano le luci soffuse. Solo i profili dei palazzi oltre le finestre illuminano noi due mentre ci prendiamo. La guardo negli occhi. Penso abbia uno sguardo turpe mentre si muove su di me, senza nessuna traccia di affetto. Stiamo scopando, scopando e basta. E' in questo istante che intuisco la Paura. Quella di stare stringendo tra le braccia la stessa persona che mi deluderà profondamente. E a questa paura segue l'inspiegabile terrore di perderla. L'Orrore aspetta proprio questo momento per muoversi, farsi spazio tra i pensieri e colpire. Per uccidere. Intanto, rimanendo dentro di lei la sollevo dal divano, in un abbraccio che è un amplesso. La porto sul letto dove inizio a leccarla tra le cosce bagnate. Dì mi dà del "disonesto" perché cerco di farla venire con la bocca ma intanto gode. Il sesso orale è fondamentale, e mi ci prodigo con passione. La droga più bella che io abbia mai assaggiato - e ne ho assaggiate di droghe - è quella sprigionata durante l'orgasmo femminile: ormoni liquidi assunti direttamente alla fonte. Che sballo.
Mi addormento dopo aver goduto anch'io. La mia bella assassina, soddisfatta per la prestazione precedente, si era poi posizionata su di me, sinuosa, per dimostrarmi quanto fosse brava a muovere i fianchi mentre la guardavo riflessa nello specchio. Avevo chiuso gli occhi afferrandole le mani, tanto devastato dal piacere che l'avrei presa a schiaffi…
Corallo - Dì, mi hai fatto venire così bene che ti avrei preso a schiaffi.
Dì - Che carino…
Quella notte io dormo mentre lei lavora al computer per finire un 'compito' da consegnare il giorno dopo. Lei si sveglia presto per fare colazione, lasciando me a letto, che intanto ho fatto un sogno rabbioso in cui litigavo con qualcuno per questioni di soldi. Dì è allegra, io invece indosso un bello sguardo da killer. Lei me lo fa notare mentre gira da una stanza all'altra alla ricerca di oggetti da ficcarsi nella borsa. Le rispondo che non ce l'ho con lei. Usciamo insieme, come una coppia. L'accompagno alla fermata dell'autobus e prima che scenda dalla macchina mi volto per darle un bacio, che però arriva su una guancia anziché sulle sue labbra. Ecco, questa è una cosa che pare di poco valore, invece non lo è. L'Orrore si nasconde nei dettagli. Dì mi augura buona giornata mentre ingrano la marcia e mi perdo nel traffico. Sono nervoso, inspiegabilmente frustrato. L'Orrore ride alle mie spalle iniettandomi veleno.
Ritorno al silenzio del mio appartamento. Ritornano i pensieri autolesionisti. Quella ragazza mi sta usando. Dice di volermi vedere anche fuori casa ma di fatto si riempie di impegni e mi incontra solo di notte, solo per scopare. Sì, cazzo, non mi ha neanche baciato in bocca stamattina alla fermata dell'autobus. Certo, pensa ancora al suo ex. Ma io non mi faccio fregare, no. Vediamo come si comporta adesso. Sono uno sbirro fottuto, sono furbo come una volpe, baby.
Venerdì sera, anziché uscire col mio socio Ramon faccio il ribelle sul divano, rimuginando pensieri di merda. Fumo sigarette una dietro l'altra, rivedendo mentalmente tutte le volte che ho inventato scuse per fare in modo che una ragazza che frequentavo raggiungesse un livello di isteria indotto abbastanza alto affinché io potessi poi dirle: "Forse non sono pronto per sostenere un rapporto adesso, e tu mi sembri troppo presa, quindi è meglio se…".
Sabato sera. Ancora chiuso in casa. Ho detto a Dì d'essere uscito mentre lei invece è a una festa. L'Orrore gioisce. Verso l'una di notte lei mi scrive un sms, chiedendomi se sono in giro, magari per incontrarci a casa sua. Le rispondo dopo una decina di minuti d'essere tornato a casa da poco. Vediamo cosa mi dice. Dì non risponde, sparisce nel buio. Cazzo, allora cosa mi hai scritto a fare? "Vedi" - suggerisce l'Orrore - "ti ha mandato un sms giusto per tenerti buono, per farti credere che le interessi. Sei solo una puttana, Corallo". La mattina dopo sul mio cellulare compare un suo messaggio: "Ho letto solo ora, mi dispiace, avrei voluto stringerti stanotte". Certo, certo… parole. Però oggi è domenica. Finalmente abbiamo tutta una giornata da passare assieme. Mi scriverà, no? Cioè, deve farlo lei, perché se le scrivo io potrei sembrarle troppo appiccicoso. Insomma, me lo ha detto l'altra notte che se uno le sta troppo addosso lei scappa in un battito di ciglia. Sì, me lo ha detto mentre stava rigirata nel cuscino, come fosse un suggerimento… E cos'altro mi aveva detto? Sì, che forse ho ragione io, che a lei serve ancora un po' di tempo per smaltire un certo ex di cui ha ancora i vestiti impacchettati in casa. Dì mi dava le istruzioni: "Non mettermi mai su un piedistallo, continua a dirmi che ti piaccio, però solo "a volte". Sono davvero tanto impegnata col lavoro, ho parlato con una mia amica di te…".
Ho parlato con un'amica. Ho parlato con una mia amica. Perché? Non sei capace di pensare con la tua testolina e con la tua strafottuta frangetta? Perché devi parlare con un'amica per capire se io e te ci vediamo solo per scopare o perché - magari - ti piaccio?
Domenica. Dì non chiama, non scrive. Resto da solo, con l'Orrore che mi parla: "Non vedi che ti sta usando? Non vuole te, ti sfrutta per uscire da una situazione. Al momento buono ti getterà nella spazzatura, capisci? Ti avrebbe già telefonato altrimenti…". Ma sì, è vero. Allora basta, chiudo tutto, me ne vado prima che sia lei a scaricarmi. Sono troppo fico per stare qua a perdere tempo.
Dì telefona. Non le rispondo. Osservo lo zio nel suo letto d'ospedale. Bip-bip-bip. Una bella domenica del cazzo nel reparto di rianimazione. Torno a casa, senza più forze, né mentali né fisiche. Ma una parte di me approfitta del fatto che l'Orrore si sia distratto, e compone il numero di Dì. Stavolta è lei a non rispondere. Richiamo. Nulla. Richiamo, segreteria telefonica. L'Orrore, che intanto si stava facendo un panino, irrompe nel soggiorno e dice "Che cazzo stai facendo? Lascia perdere!". Vado a farmi la doccia. Acqua calda mi scivola addosso e vorrei che i pensieri killer facessero lo stesso. Suona il telefono drin-drin-driiiiin… esco dalla doccia, rispondo. E' Dì, allegra, le dico di richiamarmi dopo, sto finendo di farmi la doccia. Ah-ah. Però adesso cosa le dico? "Dille che è una stronza", mi fa l'Orrore dal divano. Ma no, ci vediamo e parliamo, dico io. "Sei un coglione, Corallo", risponde l'Orrore. Dì richiama, faccio lo sgarbato, insinuo che per "colpa" sua ho passato una domenica di merda. Pare colpita dalla mia affermazione, mi chiede se preferisco vederla in un altro momento. Dico di no, meglio stasera. Non mangio. Salgo in macchina, vado a fare benzina, perdo tempo. A chi devo dare retta adesso?
Dì - Come stai?
Corallo - Male…
Dì - Mi pareva di averlo intuito al telefono. Cosa avrei fatto io, scusa?
Corallo - Ma niente…
Dì - Niente un cazzo. Mi hai detto che sei stato male per colpa mia.
Corallo - Scusa, sono stanco, ho parlato a caso, ero da mio zio...
Dì - No, adesso mi dici perché vieni qua a casa mia, io mi avvicino per salutarti e tu invece ti allontani. E poi butti frasi a caso, per farmi sentire in colpa.
Corallo - Dì, sono stanco davvero...
Dì - Come l'altra mattina. Io volevo darti un bacio in bocca, tu hai girato la faccia e te ne sei andato...
Corallo - Ma come? Io volevo darti un bacio in bocca e tu hai girato la faccia!
Dì - A me è sembrato il contrario...
Un bacio sulla guancia anziché sulle labbra. Una frase pronunciata male. Ma adesso io e Dì stiamo parlando, seduti sul suo divano. Un po' distanti, è vero, ma ci avviciniamo.
Corallo - Sinceramente ci sono rimasto male perché stanotte mi hai scritto, poi ho aspettato una tua risposta, sveglio, pronto a venire qui. Invece sei scomparsa...
Dì - Ma l'ho letto dopo il messaggio.
Corallo - Ma se mi scrivi, poi aspetta una risposta, cazzo… sennò sembra che lo hai fatto tanto per...
Dì - Scusa.
Corallo - E poi, boh… Anche oggi che avremmo potuto vederci e stare assieme più tempo. Ci lamentiamo sempre che abbiamo troppi impegni, poi… ci ritroviamo sempre di notte…
Dì - Non abbiamo già più voglia di vederci?
Che bella domanda.
Corallo - Dì, io ho voglia di vederti. E ho voglia di avere un dialogo con te, ma mi pare sempre che ci sia qualche intoppo in mezzo. Fantasmi tuoi e miei che si intromettono.
Dì - Ma potevi chiamarmi tu oggi. Non ci sono regole prestabilite!
Corallo - Certo, però l'altro giorno mi hai fatto quei discorsi sul tenere le distanze, che scappi in fretta se uno ti mette su un piedistallo. Che cazzo devo fare?
Dì - Sigh, sob…
Dì inizia a lacrimare. L'ho vista piangere diverse volte ormai. E' qua accanto a me, siamo distesi sul divano. La abbraccio. Ed ecco l'Orrore. Mi ha seguito, e abbraccia entrambi. "Adesso che è vulnerabile, adesso che piange, falle male!". No, perché? "Perché sei un imbecille! Non vedi che sta facendo solo storie? Piange un po' e domani torna a usarti… Diglielo!".
Corallo - Comunque, Dì… io spero che almeno questa nostra frequentazione possa servirti ad evolvere…
Dì - Sigh, sob…
Corallo - Quindi se mi stai sfruttando, almeno spero sia per raggiungere un'illuminazione.
Freddo. Scende il gelo nella stanza. Dì si pietrifica e congela le sue lacrime.
Dì - Cosa?
Corallo - Sì, insomma, visto che mi stai usando per fare chiarezza sul tuo passato. Cioè mi tieni là come un cane, non ti interesso davvero…
Dì - Tu pensi questo?
Corallo - Io penso che il nostro rapporto sia superficiale. Nel senso che tu in realtà non vedi me, vedi solo te stessa, riflessa. Ti riempi di impegni ma in realtà è solo un modo per non affrontare tutta la merda che ancora provi per il tuo ex. E io sono il tuo diversivo.
Dì si tira su. Si mette a sedere e riapre i rubinetti. Piange, piange, piange. Sto zitto e intuisco che l'Orrore ormai è uscito dalla stanza, vittorioso. Si è rotto qualcosa. Le mie parole hanno provocato il crollo di una struttura labile di fiducia. Ho voluto darle una coltellata, ho voluto farle male. Prima che fosse lei a farlo a me.
Interlocutore anonimo: "Corallo, scusi, ma lei cosa voleva dire in realtà?"
Nelson RF Corallo: "A parte che sono un killer sentimentale? "
Interlocutore anonimo: "Sì."
Nelson RF Corallo: "Che non ce la facevo più a seguire le regole che lei mi aveva "suggerito". Che il mio orgoglio di maschio voleva sapere che cosa stessi rappresentando per lei. Altrimenti perché un giorno diceva di volermi lasciare le chiavi di casa sua e il giorno dopo eravamo quasi estranei? E poi quella domenica sera, convinto di volerla eliminare, m'ero accorto di voler mettere le cose in chiaro."
Interlocutore anonimo: "Perché non glielo ha detto chiaramente?"
Nelson RF Corallo: "Per colpa dell'Orrore."
Interlocutore anonimo: "Mi spieghi..."
Nelson RF Corallo: "Ci proverò."
Nella prima parte di questo racconto ho descritto un episodio familiare, era il Luglio del 2002. Sono a Salerno, a casa di Nonna Ines. C'è anche mio padre, il Maestro. Siamo assieme in cucina e sgozziamo due polli. Non è questo episodio in sé a ricordarmi l'Orrore, però i personaggi e le dinamiche sono quelli.
"Salto temporale. MILANO - SALERNO, 2002. Non sono ancora morto e continuo a pensare. Ma il fatto di non aver scritto sul diario vuol dire di per sé che ho avuto da fare. Niente di assai importante ma pur sempre qualcosa da fare. Ora sono nel soggiorno della casa di Nonna Ines, ascolto i Clash e sento ancora l'odore dei due polli che abbiamo ucciso poco fa. Sento la puzza della loro stessa merda, la sento su di me, sotto le mie unghie. Soggetti colpevoli di omicidio: Nelson, Nonna Ines, il Maestro. Io tenevo le zampe al pollo, Nonna stringeva le ali e il Maestro affondava la lama nel collo del pennuto per niente rassegnato alla sua morte imminente. Le gambe o meglio le zampe gialle e dotate di grosse unghie arcuate si sono contratte più volte in una forma di stretching mortale. Ho pensato alla vita di quel pollo che gli scorreva via dal collo. E a me stesso, che non riuscivo a trattenere quella stessa vita dalle sue zampe, perché per quanto potessi stringere quei piedi aguzzi la vita continuava a contrarsi come un conato di vomito per poi essere schizzata fuori, a getti purpurei, nel lavandino."
Giugno 1999. Avevo 19 anni, facevo la maturità. Ero convinto che la vita fosse in qualche modo semplice. Scrivevo il tema d'italiano parlando della mia famiglia come d'un nucleo fondamentale per lo sviluppo di una sana personalità. Ci credevo. O perlomeno, provavo a crearmi degli alibi. Ma la mia infanzia, fino a quel momento, si era svolta per lo più con drammi e nevrosi quotidiane. Ho il ricordo di me che guardo il piatto del pranzo o della cena, ogni giorno, sentendo un nodo in gola perché qualsiasi cosa dicessi o facessi in casa comportava guerra con mio padre, il Maestro. Dovevo stare zitto, sempre. Altrimenti schiaffi. E a me stare zitto riusciva difficilissimo. E' da lì che ho iniziato a scrivere diari su diari, per parlare con qualcuno che volesse ascoltarmi: cioè me stesso. Sempre più chiuso in un mondo onirico. Avevo anche contatti con la realtà, con gli amici e le ragazze, ma tutta quella parte di me che vedeva i colori e credeva nella fantasia si era rifugiata nei diari. Ero convinto che con l'esame di maturità avrei finalmente rotto un incantesimo: basta scuola pre-impostata (il liceo classico era stato scelto da mio padre, io volevo fare l'artistico), basta orari fissi, basta chiusura mentale. Mi sarei trasferito a Bologna, a fare il Dams. O perlomeno mi sarei iscritto all'Accademia di Cinema, a Milano, vivendo nell'appartamento che i miei avevano comprato per noi figli. Il Maestro invece, dopo l'esame di maturità, mi aveva comunicato che avrei fatto Giurisprudenza. "No", avevo risposto. Ricordo le prospettive irreali che assunsero i miei sguardi dopo quel "No". Eravamo sulla banchina di una piccola stazione ferroviaria, a Sapri, io, il Maestro e Nonna Ines. Dopo qualche giorno di mare in cui avevo per lo più studiato testi sul cinema per sostenere gli esami d'ammissione all'Accademia, stavamo tornano a Salerno. Mio padre, abbastanza distante da mia Nonna, mi aveva sibilato che appena fossi tornato in città avrei dovuto fissare l'iscrizione a Giurisprudenza. Come ho detto sopra, ho risposto "No". Prima ho visto il cielo azzurro, grande su di me. Poi il grigio del marciapiede. Ancora cielo azzurro. La mia testa si muoveva a scatti, accompagnata dagli schiaffi del Maestro. Poi dai pugni, poi dai calci. Finito il trattamento mi sono messo gli occhiali da sole che mi erano volati per terra, e ho raggiunto mia Nonna. Siamo saliti sul vagone, mio padre è rimasto a Sapri qualche altro giorno. L'Orrore, che già mi conosceva, mi si è presentato definitivamente quel giorno, mentre piangevo in silenzio nel cesso del treno, guardando fuori dal finestrino. "Vedi - mi aveva detto l'Orrore - tu credevi di poter scegliere una strada, qualcosa di tuo, ma non puoi proprio farlo. Cioè, potresti, ma rischieresti di fallire. Allora avrebbe ragione il Maestro. E' buffo no? Lui che dovrebbe essere una figura di riferimento per te, un Uomo da cui trarre insegnamenti per diventarlo a tua volta, proprio lui è il tuo Carnefice! Fa' come dice lui, lascia perdere quelle stronzate di scrittura e cinema. Lui sa cosa è meglio per te. E' tuo Padre. E poi hai 19 anni, non sei più un bambino. Anche se ti fai prendere ancora a schiaffi e non puoi difenderti…".
Interlocutore anonimo: "Corallo"
Nelson RF Corallo: "Sì?"
Interlocutore anonimo: "Corallo, sta bene?"
Nelson RF Corallo: "Sì."
Interlocutore anonimo: "E' sicuro?"
Nelson RF Corallo: "Sono sicuro di due cose. La prima è che quel giorno ho capito che tutto quello che sarebbe venuto dopo me lo sarei dovuto conquistare da solo, che nessuno mi avrebbe aiutato, che avrei dovuto agire di nascosto, con una bella maschera da buffone in faccia. Perché quel giorno, alla stazione, mio padre m'aveva quasi "ucciso". Quasi. E' vero, era riuscito a schiacciarmi, a togliermi la libertà di scelta, ma non ci era riuscito del tutto. Anche se da quel momento ho dovuto fingere d'essere un altro. La seconda è che - nonostante gli anni di Giurisprudenza fino all'esame d'Avvocato - non ero crollato. Ironicamente, mi avevano assegnato una tesi di laurea sulle violenze psicologiche in ambito familiare. Era stata una bella rivalsa su quel cazzo di tema di maturità sulla famiglia perfetta. Ma soprattutto oggi lavoro con una telecamera in mano, monto immagini e scrivo testi. E' vero, sono una Puttana, ma l'ho scelto io."
Interlocutore anonimo: "Però..."
Nelson RF Corallo: "Però mi è rimasto addosso l'Orrore. La sensazione di abbandono da parte di mio padre. Non solo di abbandono, ma di rinnegazione. Quel giorno il Maestro ha tentato di farmi fuori, davanti a mia Nonna Ines."
Interlocutore anonimo: "Vuole parlarne ancora?"
Nelson RF Corallo: "Voglio parlare di mia Nonna."
Interlocutore anonimo: "Va bene."
Nonna Ines era una donna forte e caparbia. Una di quelle lavoratrici infaticabili, nostalgiche di un certo fascismo nazional popolare. Litigavamo spesso su questo argomento, ma la amavo. Però mia Nonna aveva visto cosa aveva fatto mio padre quel giorno alla stazione, anche se aveva girato lo sguardo altrove. Fu una delusione, perché lei, che metteva bocca su ogni questione di famiglia, imponendosi con la forza dei soldi, in quell'occasione non aveva detto nulla. Poi, nell'ultimo periodo della sua vita si era trasferita a casa dei miei, da Salerno a Milano. Il Maestro, per quanto la rispettasse, aveva con lei un bel po' di conti in sospeso. Questioni meschine di eredità e rancore pregresso. Nonna Ines aveva un cancro che se la mangiava rosicchiandole le ossa. Da quando era stata ricoverata in ospedale io ero spesso presente per farle compagnia. Mi portavo i libri degli esami e studiavo seduto accanto a lei. Non so perché, ma accettava che fossi solo io a portarla in bagno e non i suoi figli, come se con me non si vergognasse. Comunque, io in quei giorni la accudivo e le parlavo. A volte mi accorgevo del panico familiare che si creava attorno a lei, e mi assumevo il ruolo di direttore dei lavori. Non era facile per mia madre assistere alla morte di sua madre, e non era semplice per il Maestro fare il gentile. Allora dicevo a mia Nonna di star tranquilla, che sarebbe uscita da là e che le avremmo preparato un appartamento tutto per lei dove darle assistenza. "Ma non posso andare a casa di tua madre?" chiedeva lei. "Ma Nonna, tu hai bisogno di una stanza per te. Dove ti mettono loro? C'è anche Laura (mia sorella piccola, n.d.a.) in casa, dove potresti stare tu?". "Sì, è vero", diceva lei. E poi tornava a chiedermelo, spaventata dall'abbandono. Potendo tornare indietro nel tempo la abbraccerei, le direi un milione di bugie, la rassicurerei. Ma non posso. La sua situazione era peggiorata, ed erano più i momenti d'assenza che di lucidità mentale. Era attaccata a un respiratore. Ma, poco prima di andarsene del tutto, mia Nonna aveva riaperto gli occhi. Si era guardata attorno. Nella stanza c'eravamo io, mio padre e mia madre. Mi aveva individuato tra le ombre e aveva parlato, con uno sguardo cattivo: "La prossima volta… La prossima volta, tu - e mi aveva indicato con un dito ossuto - e tuo padre… prendete un fucile e "pum" mi levate di mezzo… Hai capito?".
Queste sono state le ultime parole di mia Nonna per me.
Il giorno dopo era morta.
Interlocutore anonimo: "Cosa aveva voluto dire sua Nonna, secondo lei?"
Nelson RF Corallo: "Che ero uguale a mio padre. Che invece di aiutarla a morire in pace l'avevo fatta sentire in colpa."
Interlocutore anonimo: "Non so cosa dire..."
Nelson RF Corallo: "Lo so io. Per la seconda volta una persona della mia famiglia mi aveva abbandonato. Facendomi sentire sbagliato e cattivo."
E all'Orrore di prima si era aggiunto anche quell'Orrore. Quel senso di vuoto, di sfiducia nell'essere umano. Quella maledizione familiare che ti rosica via il bene verso gli altri. Un padre e una nonna nemici: ecco il "Nero" di Corallo. Non c'entrano le ragazze, gli amplessi, i rifiuti e le avventure erotiche. E' qualcosa di più profondo, lontano, apparentemente invincibile. Il mio piccolo baratro oscuro, che mi porto dietro da sempre, anche quando indosso la maschera da Joker. Anche quando vorrei provare a lasciarmi andare ai sentimenti, e non ci riesco.
La sera in cui buttai la mia verità in faccia a Dì, proiettandole il mio Orrore addosso, sfogando su di lei la mia ansia d'abbandono, facemmo l'amore come animali, per l'ultima volta. Il giorno seguente sapevo che la ragazza avrebbe rielaborato le mie parole, scagliandomele addosso. D'altronde lei non aveva nessuna intenzione di volermi bene o altro. Io e lei avevamo un contratto d'amore a termine, l'ho già detto all'inizio.
Casa di Dì. 23 Settembre 2012.
Discutevamo della parola "puttana" mentre lei eliminava quel cactus morto di cui ho raccontato in qualche paragrafo precedente.
Dì - Tu mi piacevi quando mi affrontavi, mi dicevi delle cose che erano degli stimoli per me! Perché tutto sommato riuscivi a smuovermi qualcosa dentro e dimostrarmi un'evoluzione, ma ieri sera no! Ieri volevi solo farmi del male, perché?
Corallo - Scusami… ero confuso, stanco…
Dì - Non era la prima volta che avevi un tono sadico con me. Ma 'stavolta proprio non l'ho capito, cioè, perché volevi farmi male?
Corallo - Cazzo, Dì… tu mi piaci, ma non posso dirtelo. Me lo hai detto anche tu che se qualcuno ti si avvicina di più allora scappi… cosa devo fare?
Dì - Ma allora perché non me lo hai detto così? Io non voglio ricominciare a distruggermi, a stare male. Non è stato neanche un litigio quello di ieri sera, tipo che ci mandiamo affanculo e poi si fa l'amore per fare pace… è stato un attacco, mentre ero là sul divano vicino a te, e piangevo anche!
Corallo - Lo so, capisco, scusa…
Dì - Cosa vuoi fare adesso? Vuoi stare qui o vuoi andare a casa tua?
Corallo - Vorrei restare, se tu volessi…
Dì - No, è meglio di no.
Corallo - Va bene, cioè… va bene…
Dì - Va bene cosa?
Corallo - E' meglio che io vada.
Un bacio sulle labbra, davanti alla porta aperta del suo appartamento. Ho fissato tutto con lo sguardo, come un fotografia, convinto che non lo avrei più rivisto. Mi stava abbandonando anche lei. Ancora una volta ero io il cattivo, il colpevole, quello che aveva provocato il crollo. Ma la botta finale doveva ancora arrivare.
Il giorno dopo Dì mi telefona. Le richiedo scusa per il mio comportamento della sera precedente, ma le domando anche - per piacere - di non drammatizzare troppo. A questa mia richiesta lei esprime la propria tristezza, e da un momento all'altro chiude la telefonata dicendomi "Ok, ti chiamo io nei prossimi giorni…". Faccio in tempo a dirle "Dì, ricorda che se dici a una persona che la richiamerai stai creando un'aspettativa, capisci?", "Capisco" aveva risposto lei.
In effetti qualche giorno dopo mi aveva ritelefonato, sembrava allegra. Fuori c'era il sole, parlavamo tranquilli dei giorni appena trascorsi. Poi mi aveva comunicato che dopo un blocco - che di solito non le era mai accaduto - il suo ciclo mestruale era tornato a scorrere. Insomma, aveva iniziato a temere d'essere rimasta incinta. E io? Avevo sorriso a questa comunicazione. Insomma potevo essere il padre di un piccolo anatroccolo insieme a Dì. Non che ne sentissi il bisogno in quel momento, ma era stato un discorso di quelli che si fa tra persone che hanno raggiunto una certa intimità. Ero contento. Poi Dì mi aveva rimandato alla settimana dopo, elencandomi i suoi vari impegni. A questo punto le avevo risposto che non appena si fosse liberata avrebbe potuto farmi sapere un giorno buono per rivederci. Va bene, ciao.
Il 3 Ottobre 2012 era un mese esatto da quando avevamo fatto l'amore la prima volta. Dì mi aveva telefonato il venerdì prima e poi era scomparsa. Non sapevo cosa fare e nel frattempo mi ero lussato una spalla, quindi prendevo medicinali che mi fottevano lo stomaco e la testa.
Il 4 Ottobre 2012 compio uno sforzo immane. Digito quel numero e la chiamo. Ma Dì non risponde. Riprovo, riprovo, riprovo… Finalmente mi mette giù, parte la segreteria telefonica: almeno è viva. Poi mi scrive un sms "Adesso ci sono". La chiamo, ci diamo appuntamento sotto casa sua, anche se mi fa subito notare che il giorno dopo deve svegliarsi presto, quindi non abbiamo molto tempo. Meraviglioso, penso io, con il cuore già sanguinante. Arrivo da lei, in effetti è sotto casa sua ad aspettarmi. "Abbracciami" le dico, e lei lo fa. Ma si stacca in fretta da me. Saliamo nell'appartamento che pensavo di non dover più rivedere. Lei è carina, truccata, con una canottierina addosso che le rende il seno straboccante. Penso che questa sia una cosa davvero crudele. Lei mi chiede "Come stai?" e io rispondo "Bene…". Proprio non ce la faccio a lasciarmi andare. Tengo questa posizione da maschio tutto d'un pezzo pieno d'orgoglio. Lei allora parla, parla, parla. Mi ri-sbatte in faccia tutte le cose che mi aveva già detto e poi aggiunge una parolina sul finale: "In definitiva mi sei sembrato DEBOLE per me…".
Debole. Perché una persona, oltre a lottare col proprio Orrore, a sua volta in conflitto con una parte di sé che invece vuole poter dire alla persona con cui fa l'amore che inizia a sentire un sentimento affettuso, deve anche essere FORTE, deve saper dosare le proprie istanze, fare "i giochetti" giusti, anticipare le mosse come in una partita di scacchi, senza mai lasciarsi andare, perché sennò è DEBOLE. Ma chi te l'ha detta 'sta cosa, Dì? Quale delle tue amiche? O l'hai pensata tu? Tu, che hai le mie stesse debolezze, che hai sofferto, che hai visto cosa significa subire un abbandono? DEBOLE. No, cazzo, DEBOLE no! Dimmi che sono una merda, che sono un idiota, che ti faccio schifo piuttosto! Ma questa è un'umiliazione troppo grande.
DEBOLE. Anni passati a tentare di non impazzire, a non tradire me stesso, a resistere alla tentazione di farmi fuori metaforicamente e fisicamente. Anni vissuti di nascosto a coltivare l'ultima parte di me che ancora vedeva il Sole, fuori dall'Orrore, e poi arriva una ragazza confusa a gettarmi addosso la sua fragilità. E io sarei quello debole?
Dì - Cazzo, mi hai fatto sentire, scusa se te lo dico, la sensazione che provava il mio ex quando gli stavo addosso e in pratica gli dicevo le cose che mi hai detto tu l'altra sera…
Eh già, anche lo psicodramma adesso. Quindi tu eri il tuo ex, io ero te, e ora i ruoli si sono invertiti. Ma perché stai usando questo sadismo adesso? Perché mi vuoi distruggere Dì? Però lei non ha finito. Mi dice anche di aver sbagliato a coinvolgermi, di essere stata avventata, che adesso c'è bisogno di distanza. "Vedi, oggi tu sei la seconda persona che mi fa notare che è meglio se sto da sola…" dice Dì. Cosa cazzo stai dicendo adesso? "Ho incontrato il "Domatore di Limoni" oggi, che mi ha rimproverato perché non è riuscito più a parlarmi…". Oh Cristo di Dio! Cioè io sarei paragonato a un tizio con cui tu avresti limonato una sera? Peraltro anziano e disperato? L'Orrore è qui, accanto a me. Non posso reggere oltre. Indosso la giacca di pelle da sbirro. Prima di uscire però le dico di ridarmi l'ultimo profilattico che le avevo lasciato nella stanza da letto. Lei rimane ferma sul divano. Me lo devo prendere da solo? Vado nella sua stanza. L'odore della candela profumata, le lenzuola scomposte… Mi sento male. Dov'è quel cazzo di profilattico? Lo hai già usato? "Questa te la potevi risparmiare" dice Dì mentre mi dà il profilattico senza guardarmi negli occhi. Devo andare via. Torno nel soggiorno, apro la porta di casa… Dì mi ferma, da lontano. "Cosa fai? Stiamo parlando!".
Speranza. Io t'odio, speranza.
Chiudo la porta alle mie spalle. Forse non è persa, forse questa ragazza ha capito quanto fosse giusto bloccare una parte nera di me che stava straboccando mescolandosi alla passione, ma sa anche che non è giusto tagliare tutti i ponti tra noi. Lei mi piace anche per questo, perché ha saputo affrontarmi. Non si è messa là a prendersi carico della mia personalissima merda, però non è fuggita. Ok, ok, parliamo…
Dopo cinque minuti esatti riapro quella cazzo di porta di casa sua. Non riesco più a capirci niente. Le chiedo di dirmi se mi vuole ancora accanto, mi risponde di no. Le chiedo il perché, mi dice che sto esagerando le mie reazioni, che non ha mai detto di non volermi più rivedere, certo, stavolta con dinamiche diverse. Quali dinamiche? Cosa posso fare con te, cosa posso pensare, Dì? "Non lo so, niente. Riprovaci. Magari con un'altra". Gesù Cristo, il mio petto esplode. L'abbandono, eccolo. Tu mi stai uccidendo. In questa voragine che ho al posto del cuore viene risucchiato tutto, tutto il presente e il passato. Sempre la stessa scena, senza il tempo di poter capire cosa è accaduto, perché… Perché sono sbagliato. Mi trascino fuori dall'appartamento. Non riesco neanche a piangere. Entro in macchina, trovo sollievo. E' finita, è finita, almeno non mi sta più dicendo quelle cose orribili…
Drin- drin - driiiiin… squilla il mio cellulare. E' lei. Che cosa ho dimenticato? le domando io. "Niente", dice lei, "ma secondo te ha senso tutto questo?" domanda. Non so più nulla Dì, io sto male. Io sono DEBOLE. Perché mi chiami? Torno su da te e ne parliamo fino a domani mattina? "No, non posso, domani mi devo svegliare presto…", e allora vai a dormire, cazzo! E butto giù la telefonata.
Sto guidando. Sto guidando e sto malissimo. Irrazionalmente e razionalmente. L'Orrore è seduto dietro di me, zitto a controllare. Driiiiiin… ancora questo cazzo di cellulare, è sempre lei. Che cosa vuoi da me, Dì? Ti prego! Lasciami stare adesso, sto male, ho il cuore a pezzi…
Il giorno dopo.
Mentre sono in bagno a bestemmiare, mi arriva un sms. E' sempre Dì. Mi ha scritto che le è dispiaciuto molto vedere quanto stessi male, chiedendomi scusa per avermi COINVOLTO nella SUA confusione affettiva, mi dispiace.
Dio p****! No, anche questo no. L'sms coi sensi di colpa del giorno dopo no! E non mi ha scritto cose tipo "…Abbiamo sfogato entrambi un disagio, riparliamone…", ma ha provato a togliermi anche l'ultima goccia di dignità.
Non capisci, bambina, che ieri sera sono venuto da te consapevole del mio stesso suicidio?
Non capisci che mi sono messo in bilico sul cornicione di un palazzo dandoti in mano una pistola caricata a salve?
Il colpo che tu credi di aver sparato in realtà era fasullo. A me è bastato vedere il gesto di te che mi puntavi contro l'arma, per lasciarmi cadere di sotto e sfracellarmi.
La mia risposta al suo sms è stata la più cattiva che riuscissi a trovare. E poi ancora, e ancora. Perché ogni sua parola provocava in me dolore, e a quel dolore dovevo rispondere con rabbia. E Dì proprio sembrava non capirlo questo. Fino a quando non ho usato tutta la capacità di ferocia che mi rimaneva in corpo, provocandole un'ultima risposta, ossia le ultime parole di Dì nei miei riguardi, prima del silenzio che vivo ancora oggi: "Le tue parole mi hanno offeso e disgustato".
Amore mio, meglio offenderti e disgustarti, piuttosto che sembrarti quel ragazzino spaurito che un giorno sono stato. E che non sono più.
Interlocutore anonimo: "Corallo, si vuole fermare un attimo?"
Nelson RF Corallo: "No."
Interlocutore anonimo: "Corallo, sta bene?"
Nelson RF Corallo: "No."
Interlocutore anonimo: "E allora perché va avanti?"
Nelson RF Corallo: "Perché sto male. Sto tremando, adesso, in questo momento. Perché rivivo l'Orrore."
Interlocutore anonimo: "Allora fermiamoci. Potrebbe anche non pubblicare niente, in fondo."
Nelson RF Corallo: "No. Devo farlo. Però faccio una promessa. Qualsiasi cosa dovesse accadere dopo questo post, non parlerò più di Dì. Altrimenti sarebbe come una terapia che non trova mai fine, oppure diventerebbe uno strumento di minaccia verso le persone con cui ho a che fare. Questo è solo un Blog dove provo a fare pulizia dei miei pensieri. Voglio abbia una funzione, ma che non sia un metodo di ricatto. Quindi ora finisco la storia e poi stop."
Interlocutore anonimo: "Va bene."
Ho riascoltato la "Canzone dell'amore cieco" di De Andrè. Si parla di quest'uomo onesto e probo che si taglia le vene davanti a colei che non lo amava niente. Per un attimo ho sentito l'immedesimazione con il personaggio della ballata. Poi mi son detto che io non sono né onesto né probo. Ho fatto un mucchio di errori con Dì, ho fatto proiezioni. Come nella platonica caverna. L'unica cosa che mi impedisce davvero di tagliarmi le vene è che anche lei, in fondo, qualche sgambetto me lo ha fatto. Insomma, eravamo entrambi confusi. Ma poi? Dal suo ultimo sms sono passati molti giorni. E poi - nonostante tanto rancore - ci siamo rivisti. E' arrivata camminando col Sole in faccia. L'ho abbracciata cantandole tanti auguri, visto che da poco era stato il suo compleanno. Abbiamo pranzato assieme. Le ho spiegato tutto, tutte le dinamiche che avevo vissuto su me stesso e i perché. E per un istante, mentre le parlavo, ho rivisto quel bagliore cupo del desiderio sessuale attraversarle le pupille. E' stata la conferma al fatto che noi due avevamo trovato un luogo di passione, come raramente accade. Ma non è bastato.
Dopo pranzo abbiamo passato il resto del tempo a camminare per il centro di Milano, fino a raggiungere la fermata dell'autobus sul quale lei è salita. La città è apparsa lucida mentre la percorrevamo a piedi. Dì sorrideva. L'ho salutata dicendole che le avrei scritto. E così è stato. Solo che a parte un brevissimo entusiasmo iniziale la ragazza - proprio come temevo - è sprofondata nel silenzio. Così, in un battito di ciglia.
L'unica domanda che mi faccio è questa, ora.
Perché hai permesso che io ti raccontassi di me, del mio dolore, della mia incapacità, della mia necessità d'affetto, se avevi già scelto di non allungare un braccio per tenermi anziché farmi schiantare al suolo? E per la seconda volta? Perché questo giochetto che ho già visto in passato, con la Sexy Bionda, e che poteva andare bene solo quando avevo 22 anni? Quando aveva senso perdersi in una storia inventata pur di comprendere il senso di una poesia. Perché una donna (di 32 anni) riesce a scomparire nel nulla dopo tutto quello che è accaduto, senza alcuna remora, senza nessuna volontà d'essere sufficiente adulta da scrivere "addio", preferendo la strada più vigliacca?
La risposta che mi do è questa, ora.
Non so tu. Ma io sono un animale a sangue caldo. Tant'è vero che mi sono descritto come un Leone l'ultima volta che abbiamo fatto l'amore. E avevo descritto anche te come un animale della mia stessa specie. Invece - tramite il tuo comportamento - ho capito che così non è. Non siamo della stessa razza io e te. Piuttosto tu sei un rettile, forse un Coccodrillo, che ne pensi? Ho anche corretto il paragrafo del post precedente, se lo vai a rileggere vedrai che è diverso.
Passano i giorni, ho fatto e disfatto molte valigie, sono stato in città diverse, sotto cieli diversi, con una telecamera in spalla. E questo mio viaggiare è come una clessidra nel petto che granello dopo granello, nel tuo silenzio, deposita tutto sul fondo e poi non ci rimane più nulla. Nulla. Neanche i pochi momenti di tenerezza che avevo provato a inventarmi, riversandoli su di te. Resta solo la consapevolezza di aver fatto un giro nel mio personalissimo Orrore e l'attuale condizione di me stesso, col giubbotto di pelle da sbirro, pronto a recitare la parte del cinico distaccato, prendendo solo ciò che viene, senza mai trattenere nulla, senza uscire dal personaggio che mi viene attribuito dalla ragazza di turno. Perché intanto devo rimettere a posto i pezzi del puzzle che ogni volta si disfa, proprio mentre provo a tenerli assieme.
E per quanto i cieli sotto cui sto viaggiando possano sembrare diversi, hanno tutti in comune una sfumatura, scura, strana e familiare, che non è proprio un nero, è più un Nero Corallino*.
epilogo
Interlocutore anonimo: "Quindi cosa succede adesso?"
Nelson RF Corallo: "Beh, penso che dovremmo metterci la parola fine."
Interlocutore anonimo: "Mi sembra giusto."
Nelson RF Corallo: "Però, vede, finora ho scritto solo storie che terminavano con me che tornavo a stare da solo, tipo Dylan Dog. Mi sono stancato, io non sono un fumetto. E poi tutte quelle cose che scrivevo nei diari e che mi auguravo quando avevo 22 anni, le ho avute."
Interlocutore anonimo: "E allora?"
Nelson RF Corallo: "Allora le racconto una cosa bella che mi è successa ultimamente. Ero in trasferta. Sullo sfondo il mare, di notte. E' l'ultimo giorno prima di tornare a Milano. Attorno è pieno di luci di Natale, questo cazzo di Natale che ogni anno pare volermi regalare una delusione, invece… mi ritrovo abbracciato a una ragazza. Giovane, molto giovane. Non abbiamo tanto tempo, non possiamo passare la notte assieme. Ci baciamo con furia, le nostre mani si insinuano tra i vestiti pesanti, mentre il vento soffia dalla direzione del porto. Sappiamo entrambi che è un incontro breve, forse irripetibile, allora io comincio a parlarle, sussurrandole all'orecchio. Siamo altrove, adesso. Siamo nudi, in un luogo della mente dove stiamo facendo l'amore, anche lì. La sento che mi si stringe più forte addosso, occhi chiusi, percepisco per un istante quel suo calore vulcanico di cui ho estremamente bisogno, perché è lo stesso che mi porto dentro io, e che mi accompagnerà a lungo nei giorni a seguire, quando tornerò a essere solo. E' quell'attimo in cui due esseri si fondono ancora più profondamente che in un amplesso. Lei è la mia ricompensa per essere uscito dalla caverna oscura nella quale avevo rischiato di cadere, ancora.
Bacio ancora una volta le sue labbra. Fisso il ricordo che ho di lei su un particolare del suo viso, e poi la lascio andare. Forse un giorno avremo quello che ci spetta. Forse manterremo quella promessa pronunciata nel vento. Nessuno lo sa, ma adesso che importa?
"Just a perfect day
you made me forget myself
I thought I was
someone else, someone good"
Perfect Day, Lou Reed
E che vita spettacolare, Corallo*.
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