giovedì 1 agosto 2013

"Corallo, oh, Corallo" part. II*


"In fondo, a me piacciono puttane. Forse perché si sono date un prezzo e con orgoglio titanico lo hanno sbattuto in faccia al mondo, senza ipocrisia. E forse perché rappresentano la vera scissione tra anima e corpo. Perché conoscono la crudeltà ma sembrano ancora bambine illuse, in attesa d'essere salvate. Ma non da un maschio e neanche da dio, solo da se stesse. Ed è questo il segreto che può rendere un uomo davvero un uomo: trovare in se' quel coraggio spietato che solo certe donne si portano in petto" auto-cit. Nelson Corallo



segue da "Corallo, oh, Corallo", http://nerocorallino.blogspot.it/2013/06/corallo-oh-corallo.html

Se ne stava là, sul balcone del soggiorno, fumando una sigaretta. Era più o meno mezzanotte e mezza. La Luna alta nel cielo, alla sua destra, iniziava la fase calante.
Nei cortili dei palazzi gli irrigatori automatici ronzavano liquidi. E proprio al di là della strada, seminascosta dalla siepe bassa, la solita macchina parcheggiata tra i coni d'ombra dei lampioni. 
Nell'auto si muovono corpi sudati. A un certo punto hanno anche aperto i finestrini per non soffocare. 
Un altro tiro di sigaretta e poi il fumo che esce dalle labbra socchiuse.
Ogni sera.
Ogni sera, in quel parcheggio, una coppia consuma rapporti bagnati d'amore.
Ogni sera.
Non sempre la stessa coppia e non sempre la stessa macchina, ma puntualmente, ogni sera, qualcuno sceglie quel parcheggio come alcova. E lui non può far altro che osservare. A meno che non voglia fumare quella sigaretta altrove. Ma lui non vuole. E così deve per forza assistere allo spettacolo che si svolge proprio là, oltre il cortile e dopo quella siepe troppo bassa per nascondere i movimenti di carne nuda che luccicano con ritmo sempre più veloce.
Aveva visto centinaia di coppie far l'amore. Le aveva anche sentite gemere, quando era estate e tenevano i finestrini aperti, come quella sera. E a loro, a quelli che stavano nelle auto, non pareva importare nulla. D'altronde c'era un'intera fila di palazzi schierati davanti a quel parcheggio, con decine di finestre e luci accese nonostante l'ora di notte. E loro, quegli altri, lo vedevano benissimo cosa succedeva. Ma a lui, che fumava sul suo balcone, pareva d'essere l'unico custode di quella visione.
E, porca-puttana-eva-cazzo, gli pareva proprio un'ingiustizia. Come se tutto il mondo in quel momento, ovunque, stesse scopando e godendo, tranne lui, che appunto fumava e guardava dall'alto.
Ma soprattutto, la cosa che lo metteva maggiormente in imbarazzo, era parlare di se' in terza persona…

- Dài no, cioè, mi sento un coglione a scrivere così…
- Perché? E' un racconto.
- Sì, ma io parlo sempre in prima persona… Mi trovo meglio, mi sento anche più sincero, emotivamente.
- Ma tu non sei "tu", capisci?
- Cioè?
- Quando scrivi, tu, racconti la storia di qualcuno, anche quando parli in prima persona. Cioè l'io narrante, per quanto realistico, non corrisponde esattamente all'autore.
- Ma no, scusa, io quando scrivo parlo di Nelson Corallo, cioè di me…
- Ma tu non sei Nelson Corallo.
- Cazzo dici?
- Tu sei l'autore di "Nelson Corallo", il personaggio che hai creato, ossia il tizio che racconta le sue storie sul Blog. Però tu non sei lui.
- Ho dei dubbi. Semmai è il mio pseudonimo…
- Senti, posso dirti una cosa? Sinceramente.
- Quando sento 'sta frase, ogni volta che la sento, provo due emozioni diverse. Posso dirtele?
- Vai.
- La prima emozione è di contentezza, perché quando qualcuno ti parla sinceramente è molto meglio di chi ti parla fingendo.
- E la seconda?
- La seconda è di timore. 
- Perché?
- Perché mi fa pensare che fino ad ora tu mi abbia assecondato, come un pazzo, però non resisti più, non riesci a trattenerti, e dicendo la verità potresti ferirmi.
- E' possibile...
- Allora dimmi tutto, ma evita d'essere crudele. E soprattutto mettici dentro anche qualcosa di costruttivo.
- Va bene, Corallo, tu parli sempre di storielle di sesso, con 'sto atteggiamento da bullo che in fondo - però - ha un cuore. Cerchi un senso, una filosofia evolutiva che ti guarisca ma nel capitolo successivo sei ancora là, sempre incastrato in una dinamica simile alle altre. E alla fine fai la vittima e t'incazzi pure. Pare che il tuo mondo sia quello. Anzi, pare che il mondo intero sia quello. A chi interessa? Oltretutto non c'è struttura, non c'è tecnica di racconto e l'aspetto psicologico è superficiale. Almeno il più delle volte. Descrivi ragazze come pupattole irrisolte perché quello irrisolto sei tu. O comunque, negli ultimi tempi, hai a che fare solo con donne infantili, sadiche e pure un po' troie, classe medio/alta borghese, che si credono migliori di quanto non siano in realtà. E solo perché hanno una visione della vita talmente parziale da pensare di poterla colmare con un paio di frasette ad effetto, metterti addosso i panni di Gennarino Carunchio e farsi un nuovo fidanzato. Non è così?
- Già…
- Naturalmente tutto questo avviene dopo che la ragazza di turno, il più delle volte, ti ha scopato. Oltretutto ottenendo il risultato d'essere dimenticata, o perlomeno ricordata come un'idiota. Capisci? Sei parziale, assolvi o condanni. Ma il mondo non è solo quello che vedi nella tua prospettiva. Là fuori esistono persone che vivono esistenze diverse. Alcune sono serene, altre hanno una famiglia, certe si sentono addirittura soddisfatte. Esistono uomini e donne intelligenti che non impiegano tutto il proprio tempo a escogitare trabocchetti emotivi. Ci sono persone che vivono e producono e godono. Esiste al mondo chi, oltre a sognare, realizza. C'è chi davvero ha trovato certezze. E poi c'è chi affronta problemi gravissimi, di salute, di lavoro, di persecuzione politica e sessuale. E c'è anche chi ne scrive, e lo fa bene, con delle idee. E poi ci sei tu. Pretenzioso, boh… Che riscontro hai? Non puoi neanche nasconderti dietro la solita storia dell'artista incompreso. Se uno ha qualcosa di buono da dire, stai sicuro che il messaggio passa, invece tu? Un blog come altri mille, pensieri limitati, collegati a storie di sesso, amori passati. Non riesci neanche a rileggere quello che hai scritto...
- E' vero.
- E' una pseudo-seduta di psicoanalisi che non porta a nulla. E' imbarazzante. Hai giusto quelle poche persone che ti leggono e poi provano a sezionarti la testa, per vedere se sono capaci di darti una mano, capisci? Loro vogliono aiutare te. Dovresti scrivere per dare un esempio, per svolgere una funzione di ingegno e invece riesci solo a raccattare consigli per sedare le tue sofferenze da mancanza d'autostima. E' normale che l'esistenza (la tua) sia limitata, quando la tua intelligenza viene sprecata…
- Sono intelligente, quindi?
- Certo. Ma è intelligente anche uno scimpanzé oppure un delfino. E vive comunque meglio di te. Capisci cosa voglio dire?
- Sì, però pensavo che a forza di dài e dài, di mettermi là a scrivere, tipo Svevo…
- Ma come fai a paragonarti a Svevo?
- Eh, per la "Coscienza di Zeno"…
- Ma Svevo non si è mica messo là a raccontare i cazzi suoi. Ha fatto un progetto, una struttura. Aveva sotto un'idea profonda sul senso della vita, sul valore dell'autoanalisi, sull'uso del flusso di coscienza...
- Beh, pure il mio è un flusso di coscienza! E uno dovrà pur cominciare da qualcosa.
- Ma tu cominci e finisci sempre da te. Tutto torna a te, costantemente. E' questa la vita?
- Io penso che ognuno torni sempre a se', alla fine…
- Sì, ma alla fine. Non ad ogni secondo della sua cazzo di giornata… Cosa stai facendo adesso, scusa?
- No, niente…
- No, fammi vedere! Cos'è?
- Una foto, la volevo un po' ritoccare.
- Io parlo e tu fai le foto col cellulare?!
- Boh, mi son distratto, comunque ti ascolto…
- Dimmi, a che serve quella foto?
- Mi piaceva, cioè mi ha colpito il soggetto. Pensavo potesse piacere anche a qualcun altro.
- Cioè volevi condividerla?
- Sì.
- Tramite social network?
- Beh, sì.
- E' tanto importante? E' fondamentale quella foto?
- E' bella, insomma… a me pare abbia un senso…
- Tutto qui? 
- Tutto qui.
- E ti pare sufficiente?
- Oh, è una cazzo di foto…
- No. E' l'ennesimo atto di autocompiacimento a basso costo. E' una richiesta d'attenzioni senza impiegare troppo sforzo, giusto l'applicazione di un filtro preimpostato per renderla "fica" abbastanza. In definitiva è la metafora di tutte le tue azioni.

Merda.

La cosa che, a volte, mi spaventa di più è continuare a incontrare donne appena uscite da una relazione. Solo quelle, solo loro. Incazzate, rifiutate, che covano vendetta dietro una facciata d'emancipazione spicciola. Ne ho già un bel mucchietto all'attivo. Vado per ordine.

Paragrafo 3, un thé disastroso e altri guai.

Era capodanno, 2011/2012.
Col mio socio Ramon si festeggiava al circolo Arci Biko. 
Usciamo a fumare nel cortile, tra un drink e l'altro [vodka tonic per me, n.d.a.]. Accanto a noi c'è 'sta brunetta coi capelli raccolti che insiste a cercare un accendino nella borsetta. E' là che scava e scava e scava tra le sue cianfrusaglie mentre una sigaretta rollata le pende dalle labbra rossettate.
- Tieni - dico io porgendole il mio bic.
- Grazie - cinguetta lei accendendo.
Insomma, si comincia così a parlottare e a dire ovvietà d'approccio.

- Ma che stile da farabutto, Corallo, tutto fiero della tua tamarraggine! Ecco qua l'ennesima storiella di come ti fai le tipe… - dice il solito malmostoso.
- Sì, proprio così - rispondo io - fammi continuare.

Di certo c'è che la brunetta mi aveva notato all'interno del locale, mi aveva seguito fuori, aveva cincischiato con la storia dell'accendino e aveva ottenuto la mia attenzione. Brava.

- Che musica di merda in 'sto posto - fa lei.
- Perché? - dico io.
- Ma che musica è? - insiste lei.
- E' funky.
- Mi fa cagare…
- E' la mia preferita - rispondo.
- Ah sì? E allora balla - dice lei.

A me "allora balla" non me lo dice nessuno, nè in questa nè in un'altra vita.

- Andiamo dentro e balliamo, semmai - dico io con un bagliore negli occhi.
- Ok.

Rientriamo nella bolgia di corpi festeggianti. Mi accorgo che la brunetta non è sola. Poco distante c'è un'amica, a sua volta accompagnata dal fidanzato hipster, che controlla io non sia un serial-killer. 
Sta' tranquilla, non le faccio niente, le lascio intendere con uno sguardo.
Intanto la brunetta sorseggia il suo drink e mi incita a farle vedere come si danza il funky. Insomma provoca, come se fossi un bambolotto. Cioè, ci prova, ma io le faccio no-no-no col ditino. Fammi vedere tu come sai muovere i fianchi, piuttosto. E quella, ebbra, si lascia andare. Sono strusciamenti, sono vicinanze e profumi ormonali rilasciati nell'aria. L'amica e il suo fidanzato, convintisi che non farò a pezzi la loro conoscente, tornano fuori a fumare e limonare, mentre la brunetta mi segue verso un divanetto.
Parliamo dei nostri rispettivi mestieri, da bravi milanesi. Non fa più la super-figa adesso che è rimasta sola col sottoscritto. La musica è alta, ci facciamo vicini. E' a questo che servono le sale da ballo, da sempre: a comunicare lasciando pochissimo spazio tra le labbra e i lobi delle orecchie.
A un certo punto lei mi confessa quanto le sembri strana tutta la situazione; insomma come quando aveva sedici anni e andava in discoteca e si ritrovava a parlare con uno sconosciuto.
Ecco il primo dettaglio importante.
Chiunque abbia un minimo d'esperienza dovrebbe aver già capito tutto.
Qualcuno no.
Quindi ora scrivo per quelli che non ci hanno ancora capito un cazzo.
Mentre la brunetta si ritocca le labbra di rosso, con gesto tranquillo, quasi annoiato e si lega i capelli lisci su un lato, le dico qualcosa del tipo che sarebbe ancor più bello se mi stesse più vicina. 
Ormai ho deciso che inizio il nuovo anno con questa signorina.
Davanti al mio approccio diretto lei nasconde a fatica l'imbarazzo. Si tocca i capelli e risponde che quasi sicuramente i suoi amici adesso la staranno cercando. Come a dire che è venuta l'ora d'andar via. Però resta seduta. Allora, con estrema tranquillità, le dico che ci sono solamente due opzioni: 1. forse i suoi amici la stanno cercando, 2. forse no.
Eddai, non sprechiamo il momento, bambina. E' capodanno, sei tutta carina, un po' ubriaca, si vede lontano un milione di chilometri che hai bisogno di sentirti desiderata, almeno per un attimo. E si capisce subito che fino a poco tempo fa avevi accanto a te chi ti dava quella sicurezza che ora non hai. Ce l'hai scritto in faccia che sei tornata single dopo anni di fidanzamento e non sai più come funziona il mondo di noi solitari ricercatori d'affetto.
E' ancora là, seduta, confusa sul da farsi. 
Mentre la sua parte razionale la blocca, tutto l'essenziale e i dettagli connessi ai suoi istinti primari hanno comunicato al mio essere animale le sue intenzioni reali. 
Tocca a me: mi avvicino e la bacio a tradimento? No, queste son cose da principianti. Uso l'altra tecnica.
E allora mi alzo io. 
Infatti sono già in piedi. E questo, lei, proprio non se lo aspetta. Sul suo volto si dipinge un'espressione tipo "oh merda, mi sa che ho tirato troppo la corda". Le lascio macerare il dubbio ancora un po' mentre continua a rimanere inchiodata al divano. Si tocca i capelli, non sa più dove guardare.

- Avanti, andiamo a cercare i tuoi amici - le dico io porgendole la mano.

E' distrutta, non scherzo, è proprio a pezzi: è là che pensa d'essersi persa l'occasione. Vorrebbe dirmi "no, aspetta, baciami, baciami, baciami…" ma con rassegnazione infinita stringe la mano che le ho appena teso.
Ha occhi scuri e tristi adesso, mentre si alza in piedi.
Posso sentire i suoi pensieri infranti. E questa vulnerabilità così evidente, la sua emozione tanto nuda nell'esprimere senza parole il vuoto che un cuore può arrivare a sentire, unita all'ego di donna che non riesce a concepire la mancanza d'intenzione da parte dell'uomo che le sta di fronte, mi rende - adesso - definitivamente vittorioso.
Si alza dal divano, occhi bassi, seguendo il movimento del mio braccio, che porto verso di me in modo da condurla ad aderire col suo petto al mio.
Pensavi ti lasciassi andare via così? Per nulla al mondo.
Eccolo il bacio che volevi.  
Piego il viso verso di lei che già socchiude gli occhi.
Non aver paura.
I colori sfuocano un po', le labbra si toccano esitanti e poi si cercano nei francesismi della lingua.

E' tempo che lei vada davvero a cercare i suoi amici, adesso.
Vai, cenerentola, vai. 
Ma la brunetta, prima di svanire tra i fumi del capodanno, fa una scelta che si rivelerà avventata. Si volta verso di me e domanda il mio nome.
Che bisogno c'è? - mi chiedo io - Era tutto così perfetto, con tutti i dettagli giusti, e tu rovini l'attimo.

- Corallo.
- Che nome strano.
- Già.

Addio bruna cercatrice d'accendini, adieaux.
Non cercarmi, ti prego. Lascia che sia stato tutto solo un bel ricordo. Fai come fanno tutte le altre: "scappa".

Nel cielo che scorre sulla tangenziale del mio viaggio verso casa, le nuvole diventano dorate e il nuovo anno comincia così.
Anche l'anno prima era cominciato così, e quello prima ancora, e quello che è venuto dopo. Tutti sono cominciati così. Vacca troia.

Ripetizioni. Vivo di ripetizioni. Pare che qualcosa è cambiato e invece no. Seguo schemi, ricostruisco dinamiche sempre uguali, fuori e dentro di me.
Ogni notte di capodanno degli ultimi anni ho incontrato e baciato una nuova ragazza. Anche quest'anno, il 2013. Anzi, da quanto mi ricordo ne ho baciate più di una, tra i divani e la cucina del micro appartamento dove stavamo festeggiando. Giri di rhum, spicchi di mandarini che distribuivo direttamente dalla mia bocca, marijuana che continuavo a tritare e mescolare a tabacco… Mi ricordo la musica, funky anche a 'sto giro (l'avevo portata io) e le luci calde e stroboscopiche che avevamo installato in un angolo del soggiorno arredato in stile afro. Sì, mi ricordo di un brindisi e poi di una signorina cinese, cattiva, e della sua amica veneta che mi aveva limonato mentre sproloquiavo sulla differenza filosoficamente fondamentale dei processi biologici dell'uomo e della donna. Me ne stavo riverso su un divanetto, con una canna in mano.  Provavo a convincere la cinesina a concedermi qualcosa di più che gli strofinamenti fatti fino a quel momento, quando l'amica m'aveva preso la faccia tra le mani e aveva iniziato a baciarmi, lingua e tutto, mentre io - pilota automatico inserito - non avevo fatto una piega, anzi. Però, prima… era prima o dopo? Prima, prendendo altre bottiglie dal frigo basso della cucina, avevo trovato molto carino scambiare effusioni con un'altra ragazza, col vestito rosso, accucciata assieme a me sul pavimento. Non so, stava parlando di quanto fosse forte la mia ganja (cosa che peraltro io contestavo) quando m'ero avvicinato e via, labbra umide, imbarazzo e risatine tra noi mentre gli altri ballavano in quel pochissimo spazio ritagliato al di là di una libreria che divideva il monolocale in due. Insomma, c'ho il bacio facile.
E poi?

Giusto, torniamo alla brunetta del capodanno precedente.
Il giorno dell'Epifania, 6 giorni dopo il nostro fugace incontro, mi arriva un suo messaggio su facebook. Non la vedevo e non la sentivo da quell'ultima sera e dentro di me speravo restasse così: una fugace esperienza da ricordare con molta poesia e pochissima concretezza. Solo i dettagli. Perché? Perché intanto avevo ricominciato a lavorare per la solita Grande Azienda che in quel periodo mi faceva trottare a livelli da nevrosi acuta. Le mie energie si consumavano tutte là e non volevo aggiungere altre delusioni alla mia già consistente insoddisfazione generale. Vigliacco? Può essere. Diciamo poco fiducioso.
Ma a quel messaggio ho comunque risposto e la brunetta l'ho rincontrata nel freddo di una sera in zona Monte Nero.
Dopo il primo naturale momento di imbarazzo, siamo passati alle chiacchiere, ricostruzioni di dinamiche e sguardi nella penombra di un lounge bar in stile prettamente asiatico. E poi sotto casa sua, a fumare l'ultima sigaretta, a baciarci ancora.
Qualcosa in me avrebbe anche potuto apprezzare il tutto, ma qualcos'altro non mi lasciava godere di nulla. Quindi la salutavo e il giorno seguente tornavo a lavorare, a correre, a schivare le coltellate che nel mio ambiente abbondano quanto le paillettes nei camerini di un locale di dragqueen.
Dopo circa una settimana abbiamo avuto un altro appuntamento. Nel frattempo ci eravamo scritti qualcosa tramite social networks, senza peraltro mai entrare nello specifico delle nostre vite private. Anzi, tutto si stava svolgendo nel rispetto di una certa privacy. E poi, lo ripeto, io vivevo un periodo davvero stressante sul lavoro e non badavo molto ad altro. Ma non come fanno generalmente le donne che ti dicono: "sai, ultimamente sono molto impegnata…" e in verità il messaggio è: "non so cosa voglio, cioè vorrei innamorarmi però alle volte ho paura, e poi l'amore non è tutto, cioè sono una ragazza emancipata, posso stare benissimo da sola, non è il lavoro la questione, è che non so, forse non sono pronta, forse dovresti capirlo da solo, ecco, se non lo capisci da solo allora significa che non sei quello giusto…", non queste stronzate, io ero davvero concentrato sul mio sporco mestiere. 
Comunque rivedo la brunetta, bevendo qualcosa dietro le vetrate di un posto che si chiama "L'elettrauto". Ma il lavoro è il dannato tema dei nostri discorsi, nonostante lei provi a parlarmi della sua passione per il ballo, cui purtroppo non riesco ad appassionarmi. Non perché non mi piaccia la danza, anzi, ho un debole per le ballerine, ma sono proprio fermo su quella faccenda del sentimento contrastante verso me stesso nel contesto aziendale, come uno sbirro sotto copertura che non può mollare l'incarico. E lei non riesce a distogliere la mia attenzione, magari facendola scivolare inavvertitamente su argomenti più caldi. Probabilmente non è colpa sua, ma qualche femmina ci sa fare di più con 'ste cose.
Fatto sta che era davvero un periodaccio che non mi lasciava respirare e non volevo che la brunetta ne entrasse a far parte. Nè tantomeno che si aggiungesse alle mie nevrosi.
Ma arrivammo comunque al terzo appuntamento. Che si svolse a casa mia.

- Se hai voglia, domenica, potrei offrirti un thè…

Va bene, aveva risposto lei, secca, decisa, al mio invito concernente un incontro all'interno di un appartamento dove presumibilmente, avendo entrambi 30 anni, essendo usciti già un paio di volte (senza contare capodanno) si sarebbe potuto consumare un rapporto intimo a due. No? E' sbagliato? Io nella mia testa concepivo immagini di nudità e affinità erotiche...
Ero andato a prenderla alla stazione del treno che dal centro città porta alla mia dolce periferia. Un lontano sole di gennaio riusciva comunque a scaldare i marciapiedi lividi dal freddo di quel giorno festivo. A casa mia, dopo aver bevuto il thè e mangiucchiato alcuni biscotti, io e la brunetta eravamo passati dalla cucina al divano. Dove, per l'appunto, ci stavamo baciando: l'attività in cui sono uno specialista. E proprio quando le temperature d'entrambi e l'intensità degli abbracci s'erano fatti piuttosto caldi, eccola uscirsene con la frase clou per smontare un uomo:

- No, aspetta - dice lei.
- Oh merda…- pensi tu senza dirlo, aspettando la frase successiva.
- Cosa credi? Che se sono venuta a casa tua dobbiamo per forza andare a letto? -, eccola la frase.

No.
Non lo credo. Però lo ritengo plausibile. E forse anche naturale. Ma se me lo fai notare in questo modo, quasi io fossi un cazzo di animale di merda, colpevole d'averlo anche solo immaginato, allora l'unica reazione che avrai da me è: "va bene, ti riaccompagno in stazione".
Ma prima, con estrema difficoltà nel far ritornare il sangue nei centri preposti al pensiero, spostandomi dal di lei corpo, le domando ciò che finora è rimasto taciuto:

- Da quanto tempo ti sei mollata col tuo ragazzo?
- Ci siamo lasciati ad ottobre scorso…
- Ok, e siamo a gennaio. Quanto tempo siete stati assieme?"
- Sette anni…
- Va bene, ti riaccompagno in stazione.

Nonostante le sue resistenze e frasi come "Ma sai, non volevo essere così severa nel fermarti. Oltretutto non avrei comunque potuto farlo oggi… perché ho il ciclo e bla bla bla…", le ho spiegato quanto fosse stato brutto sentirmi rifiutare a quel modo. E non perché dovessimo scopare ad ogni costo. Cioè, non per forza, ma perché m'aveva davvero fatto sentire un viscido porco senz'anima.
E poi, accendendomi una sigaretta nell'imbarazzato silenzio del mio soggiorno, avevo riflettuto tra me e me: "Perché cacchio hai accettato l'invito a venire a casa mia se poi non vuoi intimità? Avrebbe avuto più senso glissare e andare a bere un thè in un bel locale affacciato su una stradina del centro di Milano. Magari poi passeggiare tra le foglie secche lanciando frasette allusive e aspettare un altro momento. Ma così, che senso ha avuto?". A queste domande, ancora oggi, non so rispondere con esattezza. So solo che dopo averla fatta salire sul trenino che l'avrebbe riaccompagnata a casa, non ho più voluto incontrarla.

Sono tornato a lavoro. Lo stress mi ha riaccolto tra le sue nevrotiche braccia e per qualche tempo ho lasciato perdere sia le donne che le bustine di thè. 
Ma non è durato molto.

Corallo non si era mai fermato un attimo. 
La sua vita era un susseguirsi d'eventi privi di soluzione di continuità. E mai era riuscito a prendere un respiro profondo, appagante, che gli consentisse una pausa dalla frenesia in cui si era ritrovato a vivere. Da anni inseguiva sensazioni evanescenti quanto le sue stesse ombre, collezionava odori, luoghi, traumi, cieli e terre straniere. Eppure considerava se stesso e la sua condizione esistenziale ferma in uno stallo perpetuo. Viveva giorni convulsi ed esperienze esasperate, a cui ne seguivano altre ed altre ancora, ma gradualmente non riusciva più a trovarci nè gusto nè soddisfazione. I dettagli erano svaniti. Perciò, non percependo alcuna evoluzione personale, pensava di essere immobile. E, d'altra parte, avvertiva lo scorrere del tempo. Ne osservava i cambiamenti prodotti sul mondo circostante: li trovava concreti. Forse per questo credeva d'essere bloccato, perché pareva che solo lui non subisse l'effetto trasformativo delle cose.
Fu un giorno di qualche anno prima, durante un viaggio verso Sud, che la mente di Corallo trovò un'immagine perfetta per la sua condizione d'immobilità. Era seduto su un Eurostar in partenza dalla stazione Centrale di Milano: vecchie signore sistemavano i propri bagagli nei ripiani alti della carrozza senza che nessuno desse loro una mano; singoli uomini e donne parlavano ad alta voce a cellulari dotati delle suonerie più fastidiose mai inventate nella storia della tecnologia (prima che tutti, da un giorno all'altro, tornassero a scegliere la cosa più ovvia da associare ad un telefono: ossia la suoneria "old phone"); e una famiglia meridionalissima si era sistemata nei sedili accanto al suo con fare abbastanza prepotente. Erano in tre. La donna aveva capelli lunghi e neri, lucidissimi e bracciali tintinnanti ai polsi. I suoi occhi dal taglio orientale e il naso leggermente aquilino si sarebbero sposati perfettamente con l'uso di un burqua afghano. L'uomo invece, brizzolato, indossava abiti costosi ma di quelli che ti fanno capire subito che lui è uno di quelli che ha a che fare col commercio all'ingrosso, mentre il figlioletto adolescente odorava di gel di marca e scarpe Nike. In comune avevano l'espressione spaesata di chi non aveva mai viaggiato in treno, ed erano inorriditi dal caos di bagagli e persone. Il marito coi capelli sale e pepe non si era ancora seduto al suo posto e se ne stava in mezzo al corridoio, monitorando la carrozza viaggiatori, toccandosi insistentemente l'interno della giacca di pelle, manco ci tenesse una pistola. Intanto, di fianco al loro scomparto, uno con la faccia da supplente delle scuole medie continuava a rispondere, con una voce irritante e strascicata, ad amici e parenti che lo chiamavano al cellulare rassicurandoli che li avrebbe rivisti quella sera, davanti a quel cazzo di bar di paese dove stava andando. Ma allora che ci parli a fare al cellulare? Fottiti.
Comunque, Corallo provava a ignorarli tutti e guardava fuori dal finestrino, smaniando che il treno partisse, la gente si sedesse e stesse zitta. E per un istante, assieme ai suoi pensieri, gli era sembrato che la carrozza fosse in movimento. E invece no. L'altro treno, sull'altro binario, si era staccato lentamente dalla banchina creando quell'illusione ottica percettiva di smarrimento che in molti conoscono. Se altri non la conoscono, che vadano a prendere un treno e poi capiranno. Resosi conto della fregatura Corallo aveva provato sconforto vero. Si vedeva seduto sul treno sbagliato, bloccato a un binario morto, mentre osservava gli altri partire. Tutti quanti, tutto il mondo, tranne lui. Proprio come la scena iniziale del racconto dove immaginava miliardi di coppie far l'amore, lui escluso. Stessa cosa. E avrebbe potuto inventarsi altre metafore, tutte più o meno valide per esprimere lo stesso senso di immobilità ed estraneamento. Ma la questione fondamentale è che Nelson Corallo si stava sbagliando.
Nonostante l'illusione di star fermo, in realtà viaggiava, e anche di brutto. Anzi non si era accorto che la locomotiva del suo personale convoglio stava superando i limiti di velocità e che a condurla non c'era nessuno. Il suo treno faceva giri concentrici sempre uguali, sempre più veloci, ogni giorno più inclinati e pericolosi. Corallo, in definitiva, stava per deragliare con grande stridore di lamiere contorte.

Vuoi far arrabbiare una donna? Guardala negli occhi e dille che, in fondo, non sa cosa desidera. Lei, piuttosto che ammettere d'avere un dubbio, uno solo, miserabile, inventerà una menzogna e la trasformerà nella sua personalissima verità. Sarà inattaccabile e tenace. Avrà trovato una ragione di vita e la difenderà con le unghie e con i denti. Fosse anche per non darti soddisfazione, semmai sprecherà un'esistenza, ma non cederà. Mai.
Io invece coi dubbi ci convivo ogni giorno, li coltivo. Sono come i fiori che ho sul balcone, purpurei, che si schiudono solo di notte. E penso sempre che prima o poi li risolverò facendone un mazzetto. Intanto li annaffio.

Dicevo che la brunetta di capodanno non l'ho più rivista e mi sono rifugiato nel lavoro e nella sfiducia. A parte un paio di serate dove la carne mi ha spinto tra le braccia di una vecchia conoscenza e una "missione segreta" in un centro massaggi cinese con tanto di microcamere addosso (è davvero uno sporco mestiere il mio), ho evitato accuratamente di imbastire nuovi rapporti sentimentali. Mi dicevo che il mio karma era saturo, che ci voleva una svolta. E che era meglio evitare di far cazzate, rassegnandomi ad aspettare tempi migliori che mi avrebbero sicuramente portato una novità. E' così che ho poi incontrato un'altra brunetta.

- Stai per parlare di "frangetta"?
- No…
- Come no?
- Ho promesso che non l'avrei più fatto. Storia chiusa col capitolo "Cinquanta sfumature di Corallo", vattelo a rileggere…
- Ma l'altra brunetta di cui parli sopra è lei, comunque.
- Sì, ma per dovere di cronaca.
- Beh, non è mica finita bene con quella.
- Niente affatto, anzi.
- Quindi il tuo metodo di aspettare una novità che ti risolvesse i problemi non è servito a molto...
- No.
- Forse avresti dovuto rinunciare ad uscirci fin da subito. Avresti dovuto seguir l'istinto felino. Forse avresti dovuto fermarti un attimo.
- La vita è continuo movimento, non ci si può fermare.
- E chi l'ha detto?
- E' così, punto. In ogni caso frangetta ha contribuito a farmi ripartire per il mondo.
- Vero, ma pieno d'amarezza.
- Te l'ho detto, storia chiusa.
- Però mi pare di capire che sia successo qualcosa di nuovo, dopo l'ultima volta che vi siete incontrati…
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- No, nulla di nuovo - porcaputtanaevacazzo - proprio nulla che non avessi già visto…

E' passato un intero anno.
Ho girato l'Europa, per lavoro.
Ho smaltito una forte delusione a forza di passi, uno dietro l'altro, e di altre ragazze, perlopiù bionde. Che però non ritrovavo accanto a me il giorno dopo. Tutte lontane o in partenza, mentre io svuotavo e rifacevo valigie. L'ultima di queste bionde è riuscita a tirarmi fuori di casa a botte di messaggi, telefonate, facebook, wats-app. Ho resistito fino all'ultimo, le ho detto ripetutamente "no", perché volevo solo trovare un metodo per uscire dal mio stallo. Ma a quanto pare il mio modo di fare le doveva essere parso come un'arma di seduzione irresistibile, vista l'insistenza con cui mi ha scritto. Poi, una sera, mi ha inviato sul cellulare l'immagine di un cono gelato, senza aggiungere altre parole. E' lì che ho ceduto. Non lo so, m'era sembrato un invito sincero e gustoso.
Dopodiché, al suo suggerimento di portarla fuori a cena ho risposto con un "ceniamo direttamente da te…", giusto per evitare la trafila del corteggiamento preconfezionato. Ma lei ha glissato. Allora ho proposto il cinema. Il buon vecchio appuntamento al cinema, tipo anni '50: ci si incontra, si parla del più e del meno, dopodiché si passa del tempo uno accanto all'altra nel buio di una sala dove altre vite scorrono sullo schermo e per un po' ci si sente liberi.
L'estate faceva il suo ruolo quella sera di giugno, mentre la aspettavo seduto in un bar del centro. Scattavo foto con lo smartphone ad una bottiglietta di cocacola quando lei è arrivata, spumosa di shampoo appena fatto, anticipata dai suoi seni voluttuosi, stretti in un vestitino azzurro come i suoi occhi.
Com'è andata? Bene. Tutto bene. Sono anche riuscito, per una volta, ad evitare di baciarla al primo appuntamento. Giusto per non ripercorrere le stesse dinamiche di sempre. Per lasciare qualcosa di incompiuto che potesse alimentare un interesse futuro. E' servito? No. Dopo tanta costanza impiegata a farsi portare fuori, la biondina ne aveva usata altrettanta a non farsi più vedere.

- Anche lei fidanzata?
- No, questa no. Però separata da poco, con la solita faccenda di lui che la cerca ancora, lei che vuole pensare solo al lavoro, la carriera, i viaggi. M'aveva anche raccontato un paio di situazioni in cui s'era trovata con altri maschietti. Robe ridicole che poteva anche risparmiarsi di dirmi, boh… Cose già viste, già sentite, checcazzo...
- E poi?
- Poi niente. Dopo il cinema le avevo scritto che mi sarebbe piaciuto rivederla, magari per mangiare un gelato. Avrei voluto proporre azioni semplici per tornare a credere che non sempre debba esserci un finale del cazzo…
- E..?
- E lei, candida, un giorno mi scrive "Ma non ti avevo detto che dovevo partire?" e io "No…" e lei "Eh sì, venerdì prendo un aereo. Vado in California. Torno a settembre".

Ma che te lo dico a fare?
Un mese prima, era maggio, più o meno stessa dinamica. Altra ragazzetta, giovane, calda, occhi felini. Però stavolta l'invito diretto aveva sortito l'effetto giusto. A casa mia, poche chiacchiere e finalmente i piaceri della carne. D'altronde avevamo già avuto dei trascorsi assieme: sporadici incontri di parole, birre e baci notturni. Lei però m'aveva sempre fermato prima che andassimo più in là. Ma lo aveva fatto con malizia studiata ed io l'avevo visto come un merito. 
Poteva essere l'inizio di un dialogo intrigante, invece, nella penombra della mia stanza, dopo aver fatto davvero bene all'amore, anche la sua verità taciuta era emersa:

- Siamo stati dieci anni assieme. Ci saremmo dovuti sposare quest'anno. M'ha lasciata, così… ora sta insieme ad un'altra, che non ha manco 20 anni. 
- Capisco - dico io guardando il soffitto.
- L'ha messa pure incinta - conclude lei con il cuore a pezzi.

Abbiamo bevuto vino, abbiamo rifatto furiosamente sesso.
Non l'ho più rivista. Dopo dieci giorni è partita per un viaggio che si concluderà a settembre. Anche lei.
Puttana-eva-cazzo.

Eccomi. Io sono quello che c'è tra una storia e l'altra. Io sono la via di mezzo. Io sono quello da cui si fugge e si lascia là. Io sono "una botta e via".

"E l'angelo a lui venne e disse: Dedica
a me tutto te stesso. E questo è il mio comando.
Ho bisogno d'un uomo che più degli altri sappia
alle donne più dolci al suo fianco
render la vita amara.
Non che tu ami meglio
(non interrompermi: tu sbagli);
pure, tu ardi, e sta scritto che tu
condurrai molte donne a quella solitudine
cui apre la via questa
porta profonda. Lascia entrare
quelle che ti ho assegnate,
perché crescendo vincano Eloisa
nell'altezza e nel grido".

Naturalmente non è mia, è di Rainer Maria Rilke, si intitola "L'elezione di Don Giovanni".
Leggo poesie e resto su un'isoletta deserta come il Gennarino Carunchio di cui soffro la sindrome, mettendo le mie delusioni una dietro l'altra come le perline di una collana. Urlando contro il mondo, ruggendo come un tigre in gabbia. Che cosa posso fare? Per quale motivo mi attiro queste persone addosso? Quante maschere devo ancora indossare prima di vedermi davvero in faccia? Perché loro possono usarmi e poi trovare la felicità altrove? Perché possono essere felici? Com'è possibile? Devono essere felici, altrimenti non avrebbe senso questa fuga via da me... Perché mi assaggiate come fossi un frutto da mangiare di nascosto? Chi sono io? Un pomo diabolico? No, sono un ponte! Uno strumento, un mezzo, un alambicco per condensare una pozione d'amore da servire al vostro futuro amato. Oppure sono un pagliaccio che inciampa sulla pista, che prepara il pubblico all'applauso per il coraggioso domatore di leoni che entra in scena subito dopo. Che funzione ho in questa vita? A cosa servo, maledette, ditemelo almeno prima d'andar via, ditemi qualcosa... 

Ma dentro di me lo so. 

Io faccio paura.
Perché è dalla paura che si fugge.

Poco tempo fa è successa una cosa fuori dall'ordinario.
Mia sorella piccola, la Stellina, ha insistito perché uscissi con una sua amica descritta come bella, giovane, ballerina e senza ex fidanzati o storie malate troppo vicine nel tempo. Insomma, una ragazza non problematica (per quanto una ragazza possa esserlo, eh).
Cosa ho fatto io?
Dopo averci iniziato un dialogo a distanza, arrivando alla data per un incontro dal vivo, sono fuggito. 
Dissolto nel vuoto. 
Ho rivisto mentalmente tutte le esperienze precedenti scorrermi nella memoria. E mi sono sentito perso. M'è sembrato di soffocare. Una parte di me desiderava incontrarla, credere in una possibilità differente dalle altre, eppure qualcosa mi ha bloccato.
Fermo.
E stare fermo mi ha spaventato ancora di più, come se dietro ogni angolo del mio appartamento si nascondesse un dèmone.
Così sono uscito di casa, quasi correndo. Ad aspettarmi ad una festicciola reggae c'era l'amico Ivano, in zona cimitero monumentale. A lui ho raccontato come quel giorno stesso avessi dato buca ad una ragazza mai conosciuta prima perché - in definitiva - avevo avuto un attacco di panico.

- Vieni, beviamo qualcosa - gli dico dirigendomi verso il bar.

- Birra per me, tu? - domanda Ivano.
- Lo sai benissimo che il vodka tonic è l'unica bibita di Corallo...

Eccomi.

Dopo mezz'ora ero già tornato ad indossare la maschera.
E dopo neanche due ore avevo incontrato un'altra donna, con la quale ho poi passato il resto dell'intera nottata.

- Beh?
- Era sposata.
- Ah…
- Con due figlie.
- Cazzo…
- E ripartiva dopo due giorni. Perché vive in Francia.
- Merda, ce le aveva tutte!

L'Universo è ironico, l'ho sempre detto.
Ma io sono stanco e questo episodio lo descriverò per bene nel prossimo post. Immagino non sarà poi cambiato molto da qui a qualche tempo. 
Ci avrò solamente messo del mare in mezzo, come nel proverbio "tra il dire e il fare…".

epilogo 

- Che ne facciamo?
- Di Corallo?
- Già…
- Ma l'hai sentito, no?!
- Sì, 'sto stronzo…
- Per una volta, una stronzissima volta che poteva incontrarne una "sana" e dare una svolta, che cazzo ha fatto? E' scappato.
- Coniglio.
- Tu dici che si può giustificare? Al di là dei precedenti episodi infelici...
- Macché.
- Quindi?
- Nulla, se non si dà una mossa e non si rende conto che sta facendo solo cazzate…
- Dici che ce la fa?
- A capire che deve fermarsi? Fermarsi per davvero?
- Sì.
- No, credo di no.
- Allora…
- Allora Corallo deve morire.

probabilmente continua




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