domenica 21 marzo 2021

"Il disprezzo necessario" di Nelson Corallo


Incipit

Potrei farvi leggere qualsiasi cosa, spingervi avanti senza fatica, quasi senza rendervene conto. Sono una scheggia quando voglio e se voglio.
Siete già dentro la storia. Mi è bastato andare a capo.
Ancora una volta.
Lui non ha ancora un nome, lei invece si chiama Sarah Siepi. L'identità di entrambi è socialmente strutturata anche se non è eclatante né mondana né criminale. Sono due persone come milioni sulla Terra ma lei è una donna, lui no.

- Scrivere per web e tv è sia prostituzione che bravura. Non ti dimentichi che esiste l'Arte o Dio, solo non li contempli nel tuo lavoro, in ciò che fai per vivere, mangiare, pagare le bollette o andare in vacanza. Quei due concetti non rientrano nelle dinamiche dei social e del piccolo schermo perché là comandano solamente l'intrattenimento e l'invidia con tutti i bassi istinti ad essi connessi.
Ti lamenti? No, è un po' piangersi addosso.
E la gente che frequenti nel tuo ambiente? Superficialmente frivola ma non lo è del tutto. Soffre, ama, crede, lotta, spera esista un'entità superiore o che altro capace di dare un senso profondo alle cose ma come te è costretta a vivere nella realtà. Tutti vogliono smettere di soffrire, che ti credi? - stava dicendo lui seduto al tavolo di legno scuro e falsamente grezzo della cucina.

Quinto o sesto capoverso.
Inizia la trama.
Lui, trentasette anni, ancora si innamorava avvertendo quegli impulsi puramente biologici che intervengono pressoché in tutti i corpi e poi, con uno sforzo di volontà, reprimeva ogni impulso dolciastro o piacevole per non rischiare di diventare sciocco e vulnerabile. Cercava di far durare la sensazione di benessere ormonale il meno possibile, per il minor tempo possibile. Lasciava che le illusioni iniziali si sgretolassero nel giro di poche ore. Si diceva che l'entusiasmo fosse il peggior pericolo a cui potesse andare incontro.
Nonostante la vincita di ... milioni di euro, continuava a lavorare come autonomo a partita Iva, reprimendo ancora una volta l'entusiasmo. In passato si era creato i suoi contatti nel giro.
Lui, bruno, mediterraneo, altezza media, atletico per compiacersi e mostrarsi sano al mondo.
Non credeva nelle critiche dei critici. Per troppo tempo aveva ascoltato i pareri di persone che ne sapevano sicuramente meno di lui.

- I critici sono artisti falliti che vorrebbero ricevere più applausi e amore dalla massa indistinguibile del pubblico.

Lui però aveva iniziato a dare retta ai consigli dei colleghi su come essere più diplomatico, meno irruento quando diceva un "no"'. Prima di ritrovarsi sul conto tutto quel denaro aveva fatto in tempo a rendersi conto di stare rasentando la sociopatia.

Il sole di quei giorni, al mattino, mandava raggi calmi e ancora bagnati d'inverno che poi scaldavano a sufficienza perché le gemme iniziassero a ribollire sotto le scorze legnose. Alla sera tornava a far freddo.

"Posso essere una scheggia, se voglio e quando voglio", si diceva.

Da qualche tempo, non sapeva come avesse iniziato, aveva preso a bere la notte. Fumava almeno quindici sigarette al giorno. Altrettante di notte. Whisky finché non finiva la bottiglia. Allora passava all'amaro. Sarebbe diventato alcolizzato? Aveva sempre giudicato male chi abusava dell'alcool. Ad esempio suo padre che finiva bottiglie di grappa una dietro l'altra e prima beveva vino.
Faceva in modo che l'innamoramento durasse poco perché "quando una donna si innamora diventa pazza e quando si innamora un uomo diventa fesso". Rifletteva su un possibile collegamento tra soffocare l'amore fin dai primi impulsi e il fatto di bere di più. I suoi colleghi avevano comunque ragione: era necessario diventare più diplomatici, più propensi al compromesso nonostante l'ambiente di merda in cui tutti loro vivevano. Altrimenti sarebbero finiti in un angolo e poi spazzati via come polvere.
Si ripeteva ogni giorno che chiunque al mondo possedeva una scintilla divina dentro di sé. E ci credeva, lo ripeteva guardando i raggi gialli e freschi del mattino, lo pensava vestendosi nella camera da letto. Poi usciva.
Quando ci si metteva di impegno poteva sedurre e portare la gente dove voleva. Solo che non sempre voleva portare qualcuno da qualche parte. Lo stile è un fatto personale, l'importante è portare le persone sul fondo. Della storia o di se stessi.
Lavorava per la tv ormai da dieci anni. Non gli piaceva anche se ne godeva. Probabilmente era quello il suo vero mestiere. Ma doveva imparare a essere più diplomatico.

Ora che aveva piazzato qualche incognita nella mente del lettore sul fatto che avesse vinto una enorme somma di denaro, che non l'aveva detto a nessuno, un problema di alcolismo incipiente, un autolesionismo privato sul fatto di strozzare l'amore sul nascere, un brutto carattere riguardo i rapporti sociali e su come avrebbe risolto queste e altre questioni, poteva finire l'incipit.
E tutti sarebbero arrivati fin qui.
Per ora.

1.

Era una scheggia ma non sempre voleva portare qualcuno o qualcosa da qualche parte.
"Andresti avanti a leggere? Sì, lo faresti, per ora è buono, è abbastanza buono", si diceva.

Non si parlava di lui ma di lei.
Capelli castani fulvi, riflessi autunnali. Si chiamava Sarah Siepi, lavorava come specialista nel marketing digitale. Nel suo mestiere muoveva file di numeri e algoritmi. Era capace di far convergere l'attenzione del pubblico verso prodotti messi in vetrine virtuali. Aveva la pelle bianca, occhi grandi e castani, mani piccole e indossava un profumo di spezie dolci.
Il suo corpo era stato pieno. Di carne, grasso, adipe. Poi improvvisamente svuotato, dopo anni di rotondità. Si era sentita nuova, aveva perso la verginità a ventiquattro anni. Sui fianchi le era rimasta altra carne: tremula, non elastica. Addominoplastica, dodicimila euro e sofferenza fisica atroce per eliminarla. Non aveva speso quei soldi, non ancora. Adesso aveva ventotto anni.
Lui era in piedi nella cucina della villa che aveva preso in affitto la primavera precedente. Costruita agli inizi del novecento, una torretta con vetrate colorate, stile belle epoque.
Loro si erano incontrati tre mesi prima. Gliel'aveva presentata un uomo. Un dignitoso signore in pensione, giacca grigia, sguardo malizioso, "Parlaci - gli aveva detto - Magari poi ti piace, mi sembra una ragazza intelligente, preparata".
Si trattava di lei ma era lui che aveva vinto una somma. Soldi, una cifra ingente. Avrebbe potuto smettere di lavorare per la tv, per il web, per chiunque. Ma si chiedeva se così avrebbe mantenuto un'identità, se a non fare altro che vivere si sarebbe sentito meglio o peggio.
"Un salvadanaio con le gambe", pensava a piedi scalzi passando nel soggiorno semi vuoto al piano terra. Luce del pomeriggio in entrata dalla bow window affacciata sul giardino.
Quartiere elegante di città, nascosto tra i palazzi, poco dietro a una delle arterie più trafficate della metropoli.

- Se la gente vedesse cosa scrivo a parte quella merda. Ho bisogno di attenzione, mi serve un pubblico. È una questione di autorevolezza. Una volta che si accorgono di te, che hai un ruolo, sei autorizzato a parlare. Chi lo dice importa più di cosa dice.

Sarah Siepi stava in piedi davanti al cancelletto di ferro. Cappotto di stoffa nera. La prima volta che lo aveva visto lui indossava una camicia azzurra.
Se una donna pensa a un uomo non è libera. Una donna non può avere come unico pensiero l'idea di un uomo.
Sarah aveva un fidanzato, da anni, e diversi amanti, da qualche mese. Ma era libera dagli uomini. A momenti li disprezzava con voluttà.
Oggi loro due, lui e lei, avrebbero parlato, non sarebbe accaduto nient'altro che uno scambio d'informazioni. Ci sarebbero volute delle settimane per il primo amplesso in quella casa. La villa.

"C'è l'attenzione verso i due protagonisti adesso. Un'attesa. Ma non è un romanzo sentimentale. Si parla di casualità e temperamento. È uno stile particolare, mi serve per andare avanti. Tra poco loro due si conoscono un po' meglio. Lui ha dei dubbi ma vuole che lei lo aiuti a far convergere l'attenzione del pubblico su quello che scrive. La può pagare. Lei invece è in quella fase in cui deve sedurlo per forza. Poi capirà il perché".

Suonò al citofono della villa. Sentì uno schiocco metallico e camminò lungo il vialetto di pietra verso l'entrata con le colonne doriche. Lui l'aspettava con addosso una tshirt bianca e il pantalone di una tuta color amaranto. Non voleva sembrarle elegante.

- Non è un romanzo da supermarket. Non è roba commerciale nonostante le premesse. Ho bisogno di farli incontrare così. Poi la questione si sposta. È un maschile e un femminile che si attraggono e poi respingono. L'amore è ancora una forza che trasforma? Credo di sì, ma solo a un livello di consapevolezza altissimo. L'amore non è per gente superficiale. Ecco perché insisto col disprezzo. L'importante è andare avanti adesso.

C'era un'aria di pretesa in quella stagione di inizio primavera. Le azioni avrebbero preceduto molti pensieri dell'inverno. E poi negli anni avrebbero capito cos'era accaduto, giustamente ignari. L'esistenza è fatta di incontri e, solo dopo, di riflessioni su quanto è accaduto.
Lui voleva l'attenzione del pubblico ma non sapeva ancora cosa volesse comunicare. Lei voleva diventare ricca, forte e rispettata.
In seguito le cose sarebbero cambiate.

Cap. 2

L'amore esiste. Nonostante le banalità, le pubblicità, i discorsi cinici durante gli aperitivi, l'amore resiste.
È raro.

Nella villa in cui lui passava la maggior parte delle giornate, in una routine evanescente, si muoveva tra le stanze semi vuote, il giardino in fiore, fumando e credendo di aver avuto l'occasione esatta e di averla lasciata andare.

"L'amore esiste" pensava, "ma l'ho sprecato. Mi è toccato, mi ha toccato. Non ero pronto. Credevo tornasse, mi sbagliavo. L'amore esiste ma non per me. È crudele avere un'occasione sola in tutta una vita. È uno scherzo di cattivo gusto. L'esistenza sa essere sadica. Ma sono tutte paranoie, forse".

Farsi domande è umano. Cercare di rispondersi è diabolico. Lo stava imparando.

Le aveva preparato il caffè.
Osservandola pensava fosse troppo giovane per capire cosa lui avesse in mente e non abbastanza bella né così brutta da comprendere davvero la vita. L'aspetto estetico come filtro verso l'esterno.
La stava aspettando. Credeva che con lei avrebbe potuto mettere a posto le cose, diventare concreto quindi realista. E avrebbe fatto in modo di non innamorarsi. Prima doveva risolvere la questione di avere un pubblico.
Sarah indossava una camicetta con fantasie floreali e una gonna sufficientemente attillata. Il leggero rossore sul volto pareva fosse dovuto al caldo invece era eccitazione. Lei era umida mentre lui fumava e parlava. Una bottiglia di whisky vuota sul piano di marmo della cucina.

- C'è un sacco di gente che fa ridere, riesce a risultare simpatica. Accumula pubblico. La ammiro. Non sono cinico, sono ironico. Non sono critico, sono un esegeta. Cos'altro? Non me lo ricordo.
L'amore esiste e resiste.
Già detto? Sì.
Quando il dubbio mi striscia dentro fissandomi con gli occhi gialli e saturi di rimorso, appena la forza morale si abbassa piegando le sue ali e sento la vertigine attirarmi verso il baratro più scuro, io mi blocco. E penso di non sapere nulla, a parte che l'amore è ancora la forza più potente dell'universo. Allora bevo un whisky in meno e torno a osservare la vita, vedo quelli che si nascondono dietro il sarcasmo e il cinismo e dico tra me: "Avete bisogno d'amare. Fate un grande sforzo, gente. Ne abbiamo bisogno tutti. A parte i soldi, siamo condannati ad amare. Meglio ammetterlo, così viene meglio anche il resto. Altrimenti ci ritroviamo vecchi e pieni di debiti d'affetto più che d'affitto. Abbassa quell'arma, fratello, oppure spara e renditi conto che non è quella la soluzione.
Non so nulla, a parte che l'amore è ancora la forza più potente dell'universo.
E voglio dirlo, che importa?
Chi potrebbe dire il contrario?
Chi?
Chi potrebbe dire di preferire l'abbraccio radioattivo di un'esplosione di una bomba nucleare?
Chi vorrebbe un bacio da un megatone di plutonio?
Chi le carezze all'uranio impoverito?
Chi?
Nessuno, esatto.
Tu sei fidanzata?

Sarah lo stava ascoltando come sempre in silenzio. Davanti a quella domanda secca, spuntata fuori da uno dei suoi deliri, ebbe un senso di smarrimento.

- Sì, ho un ragazzo.

Lui annuì.

- È l'amore della tua vita?
- Credo di sì, lui è lui.
- Vi siete mai traditi?
- Perché lo vuoi sapere?
-Credo tu abbia capito che io potrei volerti portare a letto. Lo sai.
- No, non lo so, è così?
- Potrebbe essere, sarebbe un problema?
- Preferirei non parlarne adesso.
- Hai ragione, scusa. Torno a dirti quello che penso. In questo tempo, dove io e tutti gli altri viviamo pieni d'incertezza, il successo non viene più dal potere. Né imperatori, né re, né principi o principesse. Essere imprenditore di successo è il successo. Oppure ottenere una vasta popolarità mediatica è il successo. Ora, in Italia e nel mondo, una donna possiede entrambe le cose ma cosa vende esattamente? Non voglio una risposta, è solo una premessa retorica.

Il tempo era tornato a portare nuvole grigie e fresche negli ultimi giorni. Il verde era brillante di linfa.

- La felicità è avere amici, affetti, un senso di giustizia nell'aver fatto le cose nella maniera migliore. La felicità è essere consci di aver agito bene. Togliamo gli affari e la popolarità, uno alla fine si chiede: "Ho fatto la scelta giusta?". Secondo me dovrebbe domandarselo ogni sera. Eliminiamo tutto, anche il presente attuale nel quale ognuno si trova, buono o cattivo che sia, e chiediamo: "Come ho agito oggi?". Ecco la domanda fondamentale.
- E tu?
- Per quanto riguarda me, ho fatto perlopiù errori e poche cose giuste. Pochine, soprattutto in ciò che era utile alla carriera. Ho avuto una libertà viziata e ignorante, perché ho avuto poco sapere, quindi poca libertà. Il sapere assomiglia alla libertà, non sapere è una condanna a una forma di destino.
Ma oggi, adesso, ho agito bene? Ho fatto il possibile e nel modo migliore? Ho studiato abbastanza? Oppure manca qualcosa che io abbia considerato?
- Credo tu sappia molte cose - fece lei.
- Mi sento in difetto, nonostante abbia capito che è tutto così transitorio eppure eterno al contempo, che la vita di per sé è sempre giusta ma noi no, non lo siamo, non sempre. Noi cerchiamo, tentiamo, vogliamo e sbagliamo. Tranne chi ha fiuto, chi conosce e ha fortuna. Singolarmente ognuno scruta in se stesso e controlla se ha fatto il possibile per ottenere il suo successo. Oppure guarda fuori e trova all'esterno tutto ciò che è necessario detestare oppure credere di amare per distrarsi dall'esame di coscienza.
Nelle cose che accadranno, avrò il giusto spirito critico, ma vorrei anche provocarle le «cose» anziché aspettarle e basta. Un uomo vuole anche creare e sentirsi dire "Ben fatto", dico io, "Non si può smettere di desiderare".

Spense la sigaretta.

- Fino all'anno scorso anch'io avevo una ragazza. Una attrice di teatro, materialista, stupida e ignorante. Però a letto c'era passione. Vuoi vedere alcune foto di me e lei che facciamo sesso oppure ti scandalizzi?
- Non credo che mi scandalizzerei - rispose lei con aria seria.
- Non adesso però. Te le mando stasera sul cellulare. Niente di porno, tranquilla.
- Va bene.

Pensare è necessario nel senso di vitale. Riflettere è un obbligo. Si può solo scegliere se farlo meglio o peggio, a meno che non si sia uno di quelli a cui le cose vanno abbastanza bene e l'affanno sia sempre poco. I benestanti, quelli che però non devono sostenere il peso di un grande successo, vivono pensando poco e fluttuano in una esistenza gradevole dove non sono mai i protagonisti. Loro conoscono la perversione e la noia. Chi è povero o sfortunato, a meno che non molli il colpo e si abbandoni alla bruttezza più brutale, è costretto a riflettere ogni giorno per ottenere qualcosa di più. Per quelli a cui non girano le cose essere protagonisti diventa un obbligo, essendo loro al centro costante della propria esistenza.

"Ho conosciuto un sacco di gente capace, sveglia, arrivista al punto giusto, concreta. Ci ho vissuto in mezzo. Sono belli e fortunati, mi piacciono ma non gli assomiglio abbastanza. Anche loro hanno aspirazioni di successo ma mangiano e bevono meglio degli altri. E fingono anche meglio degli altri nel dissimulare una insoddisfazione. Loro stanno in mezzo alle cose, come i cortigiani. Di loro si leggono parole, si ascoltano canzoni, si osservano immagini, e di loro si imitano i modi. Mediocrità bellissima".

Se io avessi successo sarebbe un paradosso. O forse sarei infelice o semplicemente un mediocre.

La felicità è aver capito esattamente come e quando fare la cosa giusta, per Dio.

La vita si è spostata anche sulle piattaforme virtuali, è vero. Si vive anche là. Si scrive, si legge, si osserva e si pensa. Forse assomiglia a un sogno distopico, uno di quelli per cui l'intellettuale ci si riempiva la bocca per sentirsi superiore e orwelliano, ma non ci credeva, eppure è così.

Cambia argomento.

- Scusami - fece lui guardandola, notando il riflesso rosso dei suoi capelli, il taglio degli occhi che diventava grazioso e sensuale sui bordo esterni, le ciglia lunghe - Sono troppo prolisso, mi perdo, è per questo che ho bisogno del tuo aiuto. Non trovo il modo di farmi capire davvero dalla gente.

Lei lo aveva ascoltato parlare tutto il pomeriggio trattenendo per sé alcuni spunti e lasciandone cadere molti altri, come chiunque stia assistendo al monologo di un semi sconosciuto. Di lui l'attraeva l'atteggiamento virile che mancava al suo ragazzo e che desiderava avere in un uomo al suo fianco. Inoltre le sembrava ambizioso e aperto alle novità, ulteriore cosa che mancava al fidanzato alto e castano con cui avrebbe dovuto andare a convivere.
Sarah Siepi veniva da una famiglia piccolo borghese da cui avrebbe voluto essere più distante senza abbandonarla, semmai sistemarla. Era dotata di buon gusto, capacità di sintesi e scelta estetica sia per gli abiti che per gli ambienti. Riusciva a percepire i propri familiari come imperfetti e teneri nella loro piccolezza. Ma per sé desiderava di più. Nella carriera, in amore, riguardo il suo corpo che però usava senza remore.
Quella sera, dopo essere stata da lui nella villa, sarebbe passata nell'ufficio dove teneva si occupava di algoritmi e si sarebbe chinata sotto la scrivania dell'amministratore delegato perché le piaceva incarnare lo stereotipo della troia d'ufficio. Si sarebbe fatta sbattere e venire in faccia da quel cinquantenne che lei disprezzava e da cui percepiva uno stipendio. Sarah Siepi, goffa infagottata nel cappotto nero e lungo, vogliosa di potere e amore, traditrice seriale, avrebbe avuto una decina di amanti da lì all'estate, compreso lui che ora viveva nella villa.

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