sabato 31 dicembre 2011

La sexy bionda & il bianco Natale

"Puoi usare le droghe per confermare la tua gioia di vivere o come fuga dagli orrori della vita. Devi diventare sensibile al momento in cui una cosa sfuma nell'altra. Io non lo ero, e passai un periodo di merda" 
Tolleranza Zero, Irwin Welsh
A parte una piccola fetta di tempo della mia vita, quando ero un bamboccio e non mi accorgevo di tante cose, il periodo natalizio ha avuto spesso tonalità d'umore nero. Ma credo che un po' tutti soffrano il Santo Natale. Non perché sia brutto, solo che porta le persone a riflettere sulla propria solitudine. Così il tasso di suicidi si alza, i divorzi vengono sospesi giusto il tempo delle feste - che sennò è peggio e i bimbi soffrono - e i furti in casa restano stabili. Comunque, da bimbo festeggiavo Natale ed Epifania in terra di sud, esattamente a Salerno e provincia, in compagnia di svariati parenti, genitori, nonni, cugini, il porco da scannare e i petardi da far esplodere in luoghi pericolosi.
Di molti porci ho visto scorrere il sangue mentre mio nonno affondava il coltello nella giugulare suina. Ero sempre là, facevo d'assistente all'esecuzione: un atto di iniziazione tribale-familiare, a cui i maschi di casa dovevano partecipare. E ho visto esplodere petardi, bombecarta, mini-ciccioli, magnum, evaporare carte da regalo, bottiglie di vino, infiammare liti tra zii, consumare matrimoni e fidanzamenti. Il Natale dava, il Natale toglieva.
Quando avevo più o meno 20 anni Salerno e l'infanzia erano lontani. E Milano invece molto vicina. Qui al nord non nevicava spesso, ma di 'bianca' ne ho vista parecchia. 
Frequentavo l'università, iscritto alla facoltà sbagliata, e andavo a lezione per guardare le compagne di corso. Non combinavo granché, né coi libri né con le signorine. Ma un giorno una biondina sexy ha bussato letteralmente alla porta di casa mia. E, come si dice in questi casi, la vita ha preso una brutta piega nonostante lo strato di glassa zuccherosa che ricopriva la lama delle coltellate che stavo per ricevere.
Mentre le luci natalizie decoravano la città, io credevo d'essere non dico proprio simile a Dio o Buddha, ma molto vicino ad una sottospecie di divinità strafica costretta a vivere nel corpo di uno studente universitario incompreso, consumando illusioni, credendo di conoscere i trucchetti dell'esistenza solo perché avevo letto qualche libro illuminante e visto una decina di films girati da bravi registi.
Era l'anno in cui gli operai dell'Alfa Romeo si radunavano davanti agli stabilimenti per scioperare. Ed io, per spirito d'appartenenza a tutto ciò che si agglomerava per rompere i coglioni a qualcuno, facevo spesso parte dei comitati di solidarietà ai lavoratori. E rompevo i coglioni, perché volevo giustizia. Sopratutto per me stesso.
Nel frattempo la biondina sexy, occhi da gatta, tette dure ed un fidanzamento di 5 o 6 anni appena andato in frantumi perché lei si sentiva confusa (e comunque non era più innamorata dell'oramai ex ragazzo, così aveva detto), frequentava casa mia. Io vivevo in un appartamento di periferia, zona Comasina, in compagnia di una cagna di razza boxer ed una coinquilina di nome Rox. Ricordo che con la bionda si limonava parecchio, aggrovigliandoci sul divano in soggiorno, ma la tipa aveva la stupida tendenza a non concedersi sessualmente. Cosa che all'inizio mi aveva fatto parecchio incazzare e indurire le palle in maniera assurda ma poi, sorprendentemente, aveva avuto un effetto strano e velenoso sulla mia psiche di figlio di meridionali, facendomi partorire il seguente assunto: se la ragazza non si concede subito è perché la ragazza è una brava ragazza, quindi questa è una storia seria, quindi io la amo, perciò la rispetto.
Da un giorno all'altro ero passato dall'atteggiamento sbruffone-stronzetto-che-però-piace-alle-ragazze a quello di rincoglionito-adolescente-egoista-innamorato che sta per prendere tanti schiaffi. E così è stato.
Faceva un freddo porco. Indossavo gli anfibi e andavo ancora a manifestare con gli operai ma non avevo più quell'animo indurito da combattente della libertà, semmai urlavo slogan con la speranza di rivedere la bionda e consumare un amplesso colmo d'amore e passione.
Trascorso quasi un mese dal primo appuntamento, avevo organizzato una serata jazz in un postaccio dove avrei portato lei, che aveva uno stile più fichetto e borghesuccio, al fine di decontestualizzarla dal proprio ambiente per poi offrirle vino bianco a casa mia e raggiungere il fine ultimo: l'amplesso (colmo d'amore e passione). Ma il giorno prima del grande evento un amico mi fa una telefonata chiedendomi un favore. Colmo di fiducia per l'Universo ho risposto che casa mia era a sua disposizione, e lui non ha aspettato molto per approfittarne. Dopo qualche ora, mentre tornavo all'appartamento portandomi dietro il cane infreddolito, trovavo l'amico seduto bello comodo al tavolo della mia cucina. Stava là con un sorriso malefico. La coinquilina Rox lo aveva fatto entrare e se n'era andata. Adesso, mentre la mia cagna annusava l'aria, il mio amico guardava me, silenzioso, in attesa che capissi da solo la situazione.
Si deve dire che l'amico di cui parlo era un onesto spacciatore. Di famiglia meridionale come la mia, di cervello pratico ma poco incline agli studi, era cattivo e scaltro. Da piccolo, essendo lui il più grande, mi aveva sempre utilizzato come cavia per esperimenti sadici. E gestiva lo spaccio di modeste quantità di fumo e pasticche nel quartiere. Ma proprio quell'anno, sotto le feste di Natale, aveva cambiato business, trasferendosi nel reparto narcotici pesanti. Così sul tavolo, sul mio tavolo di cucina, erano state disposte ordinatamente le seguenti cose: un contenitore di ceramica bianca, un bilancino elettronico, una serie di bustine di plastica trasparente, due rotoli di nastro adesivo (uno nero, uno grigio), due carte di credito, materiale chimico da taglio e una decina di grammi di cocaina pura.
La mia spocchia da piccolo criminale che si fa le canne era passata allo stato d'animo che più o meno dice a se stesso "Merda, ti sei messo in un affare troppo grosso, cazzo, troppo grosso... gli sbirri ci beccheranno... oh cazzo, finiremo in galera!".
Mentre guardavo il repertorio da narcotrafficante appoggiato sul tavolo ho cercato di riprendere il controllo.
- Ma che cazzo m'hai portato? - dico io.
- Beh? E' natale! - dice lui.
- E che cazzo significa?
- Che si festeggia con qualcosa di più frizzante...
Queste sono le motivazioni degli spacciatori. Hanno una logica tutta loro, incontrovertibile.
Come ho detto, il mio amico aveva già esperienza nel campo. Ed era uno grande e grosso, cattivo all'occorrenza, non un coglione universitario che gioca a fare Scarface. Dopo un paio d'occhiate cattive mi aveva fatto sedere con lui e trasformato in un piccolo aiutante di Babbo Natale Spacciatore.
Lui mescolava la sostanza, pesava le dosi, riempiva le buste. Buste che io arrotolavo e tenevo chiuse con il nastro adesivo: nero su quelle da 1 gr., grigio su quelle da 0,50, e sudavo freddo. Ma il pensiero della mia sexybionda mi dava forza. Così, tra una busta e l'altra, ho detto al mio amico:
- Già che ci siamo, fammela provare 'sta roba...
- Sei sicuro? - ha domandato lui, sinceramente colpevole per essere il responsabile della mia introduzione alla "bianca".
- Te l'ho detto. Almeno so che non è tagliata con l'ammoniaca.
- Va bene, scalda un piatto.
Ho eseguito. Si prende un piatto e lo si appoggia su un fornello acceso. La superficie di ceramica diventa tiepida, poi si stende la bianca, si arrotola una banconota, si tira sù in un colpo e ci si sente come un gangster. 
Ecco qua la mia prima pippata di cocaina. Che esperienza del cacchio. Comunque, nonostante la mia cagna di razza boxer provasse ad imitare il padrone annusando l'aria, finimmo il lavoro d'imbustamento. L'amico mi regalò un paio di grammi di fumo "per il disturbo" e tutto felice se ne andò a distribuire porzioni di felicità alla brava gente di Milano. Io invece, con il naso anestetizzato e un senso di pace nervosa in corpo, mi stavo godendo quel momento di grande crescita spirituale. 
Passato l'effetto della sostanza, ho subito sentito l'impellente necessità di condividere l'accaduto con qualcuno. E tra tutti quelli con cui avrei potuto farlo quel giorno, scelsi la persona sbagliata, cioè la bionda. Credo che mentre io straparlavo al cellulare, lei, dall'altra parte, stesse esattamente pensando questo: "'Sto rimbambito sniffa cocaina e ancora, dopo un mese, non è riuscito a scoparmi. Anche perché c'ho una voglia addosso che sto impazzendo. Va bene, non mi sono proprio lasciata andare ma ho fatto sesso solamente con il mio ragazzo. E ci sono stata assieme per 7 anni (non 5 o 6) ma 7! Ho conosciuto solo lui, sono confusa, triste, sono una ventenne! Avrò il diritto di mandare a male qualcuno oltre me stessa, checcazzo… E comunque, se non facesse così tanto lo sbruffone, potremmo fare l'amore e provare a stare bene assieme, punto. Non ho voglia di una relazione seria adesso. In verità non so cosa voglio adesso. Però 'sto coglione pippa cocaina e me lo dice pure! Cosa dovrei fare? Dirgli bravo? O si aspetta un pompino?".
Non conoscendo ancora le raffinate tecniche della lettura del pensiero, credevo davvero che quel gesto da 'cattivo ragazzo' avrebbe potuto farmi guadagnare un pompino. Poi, col tempo, ho imparato che se la ragazza con cui esci non è un'abituale consumatrice di coca non gliene frega un cazzo se tu ti fai o meno, anzi, il più delle volte le da fastidio. Se, invece, la ragazza è una consumatrice abituale… allora tenterà di aspirare quanta più sostanza possibile con le sue belle narici, per poi iniziare ad uscire con qualcun altro appena tu non ne avrai più da offrirne.
Sempre più convinto d'avere la situazione in pugno, la sera del concertino jazz sono andato a prendere la gattina sexy sotto casa sua. Indossava un vestito nero corto, profumava di bellezza, aveva gli occhi che invitavano, i seni che esplodevano, le cosce che chiamavano etc. etc. Sentivo d'essere il migliore tra gli uomini della Terra quando ero a fianco a lei. Non sto esagerando. Quello che mi fregava alla grande era proprio la sensazione d'onnipotenza di chi (a 20 anni) si crede arrivato. Ero cotto, certamente, ma facevo il diavolo a quattro per dimostrarle il contrario, con un atteggiamento da menefreghista cazzuto, tipo rapper suburbano. Perché l'educazione sentimentale che avevo ricevuto fino ad allora si riduceva a quel paio di nozioni da cortile, del tipo "le tipe le devi trattare male, sennò si rompono i coglioni" oppure "te le devi scopare subito, sennò ti rompi i coglioni". Fatto sta che nonostante le mie mosse da bullo lei pareva stare bene assieme a me, e proprio mentre stiamo bevendo un coca&rhum lei mi stringe una mano e dice - puntualmente - quanto sta bene insieme a me.  
Lo spettacolo jazz andava a consumarsi, afferrai la ragazza e la condussi a casa mia. Unico obiettivo: entrarle dentro.
Purtroppo l'effetto romantico creato fino a quel momento aveva avuto una brusca interruzione perché nell'appartamento trovai la coinquilina Rox che stava con un paio d'amici strafattoni a fumare erba sul divano. Quando entrammo in casa lo spettacolo non fu particolarmente stuzzicante, soprattutto per la gattina che non era abituata ai punkabbestia che frequentavo io. Convinsi Rox a portarsi dietro gli amici, fuori da lì, e restammo da soli io & occhi di gatto.
Ricordo perfettamente la "lotta" per giungere al di sotto della sua gonna, toccarla nell'intimità umida, scoprendo appunto che possedeva un'intimità umida, fino ad allora tenuta segreta. Ricordo l'eccitazione nel vederla restìa al mio tentativo di spogliarla e ricordo - dopo un numero enorme di baci linguosi - la velocità con cui si era liberata di vestito, collant, reggiseno e braccialetti, una volta raggiunta la temperatura d'eccitazione insopportabile anche per una che gioca a trattenersi.
Finalmente eravamo nello stesso letto. Non sul divano. Ed ecco il momento in cui un ragazzino di 20 anni si accorge di non essere un uomo. Un ragazzino di 20 anni che vede la bellezza completa di una donna di 20 anni, e si sente incompleto.
La donna avverte questa insicurezza nell'aria.
Il ragazzino prova a fare delle cose, scende, tasta - lo ha già fatto altre volte - ma cazzo adesso tutto si complica perché stavolta ha paura.
Stavo là con la mia testa tra le sue cosce, pronto a leccare avidamente il miele che avevo tanto atteso ma è bastato uno scricchiolio, un rumore, non mi ricordo che cazzo è successo, lei mi ha stretto le sue mani - forte - sulla nuca, forse per spingermi a prenderla in fretta, forse solo Dio lo sa, ma io mi sono bloccato.
Una parte di me, piccola, informe, nascosta, aveva ceduto sotto un grande ingranaggio fatto di stronzate e convinzioni da due soldi. La struttura aveva barcollato, poi si era schiantata al suolo. Con me sotto.
Era finita la mia adolescenza.

In pratica dopo quella volta non ci vedemmo che un'altra sera e basta.
Tornati sul divano, visto che la zona letto era stata un'esperienza drammatica, ricordo che dovetti vedere "Colazione da Tiffany" con lei al mio fianco, mezza addormentata, per niente propensa a nessun tipo di erotismo. Finito il film la riaccompagnai a casa, consapevole che non l'avrei mai avuta. E per una volta, cazzo, avevo ragione da vendere.
La partita si era ribaltata. Io non conducevo più nessun gioco, lei aveva annusato la paura e ora sarebbe stata spietata.
Con il giorno di Natale, giusto per darmi un anticipo di dolore, arrivò la sua comunicazione d'essere tornata insieme al vecchio fidanzato. Piansi un po'.
A capodanno feci la stronzata di telefonarle per chiederle scusa per qualsiasi cosa io avessi fatto. Una di quelle telefonate pietose in cui parli d'amore, ti rendi conto solo in quel momento di quanto la volessi, degli errori, di come adesso sarebbe tutto diverso, ma l'unico risultato è apparire ridicolo. Piansi ancora un po'.
Verso l'Epifania, mentre portavo in giro la cagna soppesando parole che le avrei detto se solo me ne avesse dato la possibilità, inframmezzando passeggiate con bestemmie dirette prima a me stesso - coglione - e poi a lei, sì, lei, puttana, era colpa sua se mi ero innervosito, cazzo, biondina stupida che mi aveva usato e poi era tornata con il suo ex, troia, ti amo, ti amo, torna da me… il mio vecchio amico si era presentato sotto casa con una buona novella.
L'amico, bianco come la bianca, nervoso come un topo in trappola e con gli occhi rossi e cattivi, disse:
- Non dormo da una settima, minchia! Ho venduto tutta la 'storia' e ne ho comprata altra. Mi son fatto un 'palo' in tre giorni, adesso ricomincio…
- Eh? - ho detto io.
- Stai zitto! Aspetta! Ti ricordi quella busta con lo scotch grigio? Quella da mezzo grammo?
- No…
- Cazzo! Stai attento! C'era una busta con lo scotch grigio, da mezzo grammo, che però ce n'era meno dentro, perché t'avevo fatto fare due righe e t'avevo detto che quella dovevo tenerla per me, che se la vendevo per sbaglio succedeva un bordello, ti ricordi?!?
- No…
- Sei un coglione! Io t'ammazzo! Te la ricordi?
- Sì…
- L'ho venduta a un calabrese! Mi ha telefonato e mi fa "Io t'ammazzo porco D**!"… allora gli ho detto "Che cazzo è?" e lui "PORCO D** t'ammazzo, m'hai fottuto!"…
- E poi? - ho chiesto io, immaginando una famiglia di calabresi cocainomani sotto casa mia, che mi avrebbero sbranato per colpa dell'amico che vende le buste con il sottodosaggio per colpa mia che ho pippato due righe di bianca solo per fare lo sbruffone con lei, che invece mi ha lasciato per tornare insieme all'ex, puttana, puttana, io ti amo amo amo…
- Niente, gli ho spiegato la storia e gliene ho portata un'altra… e lui mi fa "D** porco, credevo che m'avevi fottuto, ero con la mia tipa che volevamo farci di brutto e dentro 'sta busta non c'era un cazzo, porco d**…".
- Ah, bene. Quindi hai risolto? - ho domandato senza sapere cos'altro dire.
- Sì, tuttoapposto. Volevo farti prendere paura, tu? Tuttoapposto?
- Sì, più o meno, ho avuto storie con una tipa…
- Lasciale stare le tipe! Te le devi scopare subito sennò ti rompi i cojoni!
Ecco il consiglio dello spacciatore. Grazie amico spacciatore, grazie. E se n'era andato lasciandomi il solito paio di grammi di fumo in mano.
Ma a me il fumo non bastava più. Passai un periodo piuttosto lungo a cercare di rivivere quel momento perso per sempre, in cui leccavo la fica ad una bionda, in cui non sentivo nessuna paura, dove tutto scorreva liscio. E' difficile ripercorrere quei giorni di tristezza e cocaina. Certe sere però era divertente. Anzi era fantastico. La droga era fantastica. Ti facevi come un animale e vedevi i mostri.
Le ho provate tutte, ma la regina era sempre lei: la bianca.
Uno stato d'animo indotto. Una forza che si inala.
Il problema non esiste mentre ti fai, ma sono i risvegli che fanno venire il vomito. Non c'è davvero un cazzo da fare. Le droghe si dovrebbe usarle solo nei periodi in cui la vita ti va bene, così il giorno dopo se ti guardi attorno tutto funziona. Non come facevo io, che tutto andava marcendo. Perché la coca è perfetta per sostituire l'amore. Ma la busta che ti vendono non dovrebbe mai finire, altrimenti è come rivivere mille volte il momento in cui lei ti ha lasciato da solo.
Non sto qua a dire come e quando mi sono costretto a dire basta. Ma l'ho fatto, tanto che oggi posso riderci sopra. Eppure per mesi interi - mentre lei mi teneva attaccato a un sì o a un no, perché la sexy gattina aveva iniziato a fare un gioco sadico con me, fatto di sms in cui mi dava speranze e poi spariva nel nulla, ed io mi rifiutavo di staccare la spina pur di rivederla e recuperare l'errore di non averla presa come un animale - ne sono stato amante fedele.
Se tornassi indietro a quella sera forse leccherei quella biondina sexy da capo a piedi. Ma forse poi ne avrei dovuta incontrare un'altra, per colmare il mio desiderio di autodistruzione. Per anni, in effetti, ho ripensato a quel momento. Per anni ho leccato fiche in modo così violento che pareva volessi cancellarle a colpi di lingua, ancora condizionato da quella volta in cui non lo avevo fatto. E alle tipe non pareva poi dispiacere così tanto, dopotutto. Il fatto è che, per anni, ho sostituito il cuore con il rancore. E, a parte disintossicarmi dalla sexy bionda e droghe annesse, non ho voluto più dare fiducia a niente, per non soffrire più.
Il problema è che perdi il gusto in tutto e finisci per diventare talmente arido che ti comporti esattamente come sei stato trattato in quell'occasione. Non impari niente, trasferisci dolore su altre donne, senza liberartene.
Ma la sexy bionda, un giorno, mi ha telefonato. E' successo qualche tempo fa, non troppo tempo fa, nel periodo di Natale. Mi parlava da Salerno. Diceva di essere là per lavoro e che io le ero venuto in mente. Dopo anni di silenzio, lei telefonava a me. Poi aveva aggiunto che a giugno si era sposata con un ragazzo d'origine calabrese.
Le ho detto sinceramente che mi faceva piacere saperlo. 
Ho pensato che quella telefonata fosse una provocazione, come se lei avesse annusato nell'aria che qualcosa di se' stava scomparendo definitivamente da me, che tanto l'avevo cercata e desiderata dopo quell'unica volta d'intimità (mancata). Ma non era così.
Quel saluto al telefono è stato un piccolo gesto d'amore per me.
E' vero che per un periodo della mia vita sono stato un robboso, ma almeno non sono caduto nella spirale delle filosofie spicciole e consolatorie. Da trentenne posso dire di fare parte di una generazione di ragazzi e ragazze che usavano ancora l'idea dell'amore come propulsione per decostruirsi, farsi male, soffrire. E alla fine ho potuto comprendere il senso di una poesia di Tiziano Sclavi, che leggevo durante quel periodo e che ho riletto oggi, dopo anni. 
Forse tutto quello che ho vissuto fino a ieri è stato un alibi per comprendere una poesia, per capirla veramente, nel profondo.

"Il Giocatore" di T. Sclavi

Quello che non dovrebbe essere e che invece è,
un gioco assurdo che mi coinvolge e coinvolge te,
un arabesco di allusioni e di mezze parole,
una continua guerra senza un vincitore,
il tuo bisogno stupido di verificarti,
provare su di me fino dove puoi esporti,
la tua commedia solita di innocente e perversa,
i tuoi occhi chiari e grandi, in cui ti sei persa,
le scuse sempre pronte dietro un gesto da bambina,
le proposte suggerite dicendomi: indovina.

Non hai sbagliato i calcoli, hai scelto quello giusto,
uno da attaccare al muro come un manifesto,
inutile e vigliacco, pensiero di riserva,
io che me ne frego del mio io che mi osserva,
io che parlo d'altro, dei navigli e della nebbia
per ignorare te con lo schermo della rabbia,
non mi accorgo quasi più di un sorriso o un'occasione,
io che mi ribello e poi ritorno alla prigione
e anche se una volta ho le carte vincenti
passo la mano, perché il gioco vada avanti.

venerdì 23 dicembre 2011

Burlesque girl - Diario di un anonimo stalker

Un po' di tempo fa ho scritto una nota su facebook. Era il periodo in cui il Burlesque invadeva con prepotenza tutto. Sembrava che il Burlesque potesse salvare il mondo. Così non è stato. Ma in quel periodo ero cinico e pure un po' stronzo rispetto alle ragazze appartenenti al genere burlesco già nominato ed anche verso le Sickgirls-Suicidegirls etc.etc. Insomma, volevo farmene una - credendo si trattasse di bamboline da collezione - e siccome non ci riuscivo, provavo rancore. E' inutile dire cazzate, il motivo è/era quello. Ora sto a posto così. Le rispetto. Qualsiasi cosa si mettano addosso, le donne mi piacciono e basta. La nota è qui sotto, la pubblico così com'era sul mio profilo, dal titolo "Cose a cazzo su facebook"



vorrei un cavallo, per andarmene affanculo, ma a cavallo. le ragazze son più carine quando scrivono a cazzo su facebook. scrivono le frasette, ma le scrivono a cazzo, che poi c'è sempre uno che mette il mi piace. bimbo minkia, bimbo minkia, perchè ti piace? piuttosto impara ad andare a cavallo, vieni affanculo con me, oh danny boy. scrivere le frasette, le frasette su facebook, poi qualcuno dice sei pazzo & disperato quando scrivi le frasette su cosa stai pensando: ad un cavallo, matto come un cavallo che scrive le frasette a cazzo, come le ragazze quando enumerano i pensieri, li snocciolano su facebook. hai capito o no che non ti puoi imporre con le tue frasette, che è tutta robetta, ma le ragazze non sanno raggiungere la disperazione di un uomo che scrive cose a cazzo su facebook, no, non ci riescono proprio.

più popolare. il più popolare su facebook. più popolare di facebook. dilla la verità: scrivi su facebook perchè sei un disperato, c'hai la paura che poi scompari nel nulla. dilla la verità. non è il liceo, sei grande ormai ma c'hai la paura di scomparire. la tua disperazione è proporzionata a quei momenti in cui ti dici, con massimo sconforto, che ti vuoi cancellare da facebook. che tu non ce l'hai le foto così fighe che ci hanno gli altri. soprattutto le ragazze, quelle popolari di facebook, che ci hanno certe foto che, mammamia, sembra che gliele hanno fatto in uno studio fotografico strafico, invece no, erano a casa loro, oppure al plastik o gasoline, ma minkia che foto! e loro, quanto sono belle, gesùcristo, belle come un video di quando avevi sedicianni su mtv, che ti innamoravi. le ragazze ci hanno le foto strafiche, anche quando loro non lo sono, ma le foto sì. perchè sanno fare quelle facce che seppure non guardano sono belle. e tu le invidi e le ami, e vorresti i loro mi piace. ma a te non ti piace nessuno, nel senso transitivo del termine, nel senso che nessuno te lo mette il mi piace. allora ti fermi a pensare, ma non lo scrivi nell'apposito spazio a che cosa stai pensando, lo pensi e basta, e pensi che sia giunto il momento di cancellarti da facebook, ma non lo farai, per poter entrare ancora nel mondo di quelle ragazze, sick-girls, emo, burlesque, talmente belle che ti fanno disperare ma che sono la tua droga, il tuo voierismo, che manco c'hai il coraggio di uscire di casa, andare in un parco e spiare le coppiette. allora ti fai una foto col cellulare per vedere come vieni, ma la cancelli, ma non da facebook.

ma perchè, allora, sono sentimentalmene impegnate? perchè ci hanno sempre il ragazzo, che di sicuro non le ama, perchè ama solo le loro foto su facebook, sì loro non le ama. le tradisce, anzi, con una che non fa film porno soft e neanche le piace la disco-gay, con gli amici finti gay, la sera con le macchine fotografiche strafiche. non lo sanno le ragazze, ma son carine tanto sono innocenti nella loro innocentezza quasi disperata, che pensano che a qualcuno interessi a cosa stanno pensando, ma non è vero, a nessuno interessa, davvero baby, ti guardano solo le foto dell'album dell'estate e non per sapere se sei stata a Londra, ma per vedere se c'hai le tette grosse e succose.  non la vedono londra, non si accorgono della sfumatura del tuo trucco studiato e meditato, guardano le tette. e invidiano i tuoi amici gay finti-gay bisex etero sgonfi che escono con te la sera. e nella pagina delle info non vogliono sapere se sei impegnata in un mestiere fichissimo tipo nella moda, nelle arti, nella musica, no, vorrebbero solamente trovarci se fai i pompini, no, ti prego, non ti scandalizzare, suvvia! vorrebbero sapere se e come lo succhi, è lecito, no? allora ne parli con le amiche, quelle meno fiche di te, che ti devi pur sentire superiore a qualcuno/a. e dici, che schifo, io questo lo cancello, cazzo. ma no, ma no, che è l'unico che ti guarda le foto del profilo e ti adora e ti ama anche. non lo cancellare, non lo tenere in attesa, altrimenti non ha più senso questo gioco.


poi, ah ah ah. ormai sei abbastanza vecchia per nascondere il tuo anno di nascita. che ridere, sembrava ieri che giocavi coi my little pony. invece adesso ometti l'anno. che poi è un bel problema per la tua schiera di mi piace, che non sanno il tuo anno di nascita, non possono risalire al tuo segno zodiacale nell'oroscopo cinese e controllare la compatibilità. è davvero un bel problema. dì la verità, ti diverti quando esci con i superfichi? ti diverti? la relazione amorosa che sbandieri è reale oppure un tassello del tuo profilo su facebook che sennò sembra che non c'hai l'uomo? scusa se ti parlo così, io sono un uomo. e in quanto tale ti invidio, perchè anche quando piangi sei più bella di me, davvero, sei bellissima, sei la più bella femmina che io abbia mai visto. io parlo così perchè ogni tanto mi piace sbroccare. sono scimmia cinese, ariete ascendente scorpio, che poi son segni governati da marte e fanno a pugni ma non do fastidio a nessuno, neanche a te che già mi hai cancellato dalla lista delle nostizie sulla pagina home. davvero, io ti amo. solo che non conosco il tuo odore ma ti ho vista in mille foto e mi dispiace questo. il mi piace te lo do lo stesso. comunque, sei perfetta, davvero.


Nelson Corallo

giovedì 22 dicembre 2011

Nero Discount - Pugile alla salsa di soja

Nel 2010 il Conchetta ha indetto un bando di concorso per creativi. Giusto per intenderci, i creativi sono quelli che credono di sapere le cose, ma non le sanno per forza meglio degli altri, semmai le fanno in maniera diversa. A volte con risultati del cazzo. Fatto sta che il tema del concorso erano le sfumature, dal giallo-poliziesco al nero-thriller, della Metropoli in cui vivo, ossia Milano. Io ho inviato il mio racconto. E me lo sono visto pubblicare a pag. 16 su un bel libriccino tuttora in vendita (la copertina è quella qui sopra). Contento come solo un creativo può essere per il fatto che qualcuno abbia pubblicato qualcosa di suo, non ho dato importanza alla postilla del contratto di cessione dei diritti, quella che diceva che io non avrei percepito alcun diritto sulla vendita del libro. Non dico tanto, ma un 10 cent. ogni 100 copie vendute, anche solo per dire in giro "Sì, ci ho pure guadagnato, ah ah ah..." e ridere come un cojone. Però non è andata così. E visto che non mi pagano, lo pubblico qui, aggratis.

Nero Discount - Pugile alla salsa di soja pubblicato in "La Milano Noir & Giald"


Nico, il pugile, spinge un carrello della spesa nella corsia dei succhi di frutta cartonati. Nello stesso corridoio, sulla destra, brillano vaschette di insaccati e latticini. Lentamente, appoggiato con tutte e due le braccia sul corrimano plastificato, Nico percorre la corsia illuminata dai neon malsani. La luce è artificiale, sterilizzata, asettica. Se non fosse per la roba da mangiare sugli scaffali, il discount avrebbe l’aspetto di un pronto-soccorso da film dell’orrore, mentre lui sarebbe un infermiere che muove una barella vuota verso l’obitorio. 
Felix intanto cammina felpato alle sue spalle, guardandosi intorno con la solita aria da gatto che cova qualcosa di losco.
Il pugile deve rimediare qualcosa per riempire il frigorifero di casa, ormai deserto. Compra sempre le stesse mercanzie, quelle che costano meno. Ma non ha una lista della spesa. Non ne ha bisogno per due semplici motivi. In ordine di importanza: il primo, è un pugile precario, senza stipendio, solo rimborso spese per le trasferte e qualche spicciolo per ogni incontro vinto, il secondo motivo, derivante dal primo, è che può comprare poche cose. Così poche che non gli serve neanche una lista della spesa. Se le ricorda a memoria. E i pugili hanno pochissima memoria.
Felix invece è un gattaccio dei fumetti in bianco e nero, con un passato oscuro. In pochi se lo ricordano. Prima era una star, adesso è solo un felino tossico. Felix non condivide l’atteggiamento di rinuncia di Nico. È convinto di poter rimediare qualche prodotto in più, rubandolo, senza essere scoperto, tranquillamente.
Nico però non è un tizio svelto. A parte sul ring dove tira pugni e sputa sangue, per il resto se ne sta tranquillo. Ma non è neanche uno stupido. Lo sa bene che un pugile con una faccia come la sua, con tutti e due gli occhi gonfi e violastri, con addosso una giacca di pelle da motociclista, che fa la spesa in un discount di periferia assieme ad un gatto dei fumetti non passa inosservato. Come dargli torto?
Comunque, quei due, il pugile e il gatto, adesso stanno passando davanti al banco delle mozzarelle che costano solo 75 cent. A Nico viene un dubbio. Sente degli ingranaggi stridere nel cervello. Dopo l’incontro di boxe di un paio di sere prima è ancora piuttosto stranito. Non si ricorda se può mangiare i latticini. Fissa le mozzarelle. Vorrebbe chiederlo a loro se può mangiarle. Felix intanto afferra un pacchetto da cento sottilette e lo ficca nel carrello. Felix è ghiotto di sottilette.
Una donna con un paio di mocciosi urlanti attaccati alla sottana gli passa a fianco e va verso il banco della carne. Felix le da un’occhiata. È islamica, con addosso il velo che copre i capelli ma lascia il volto scoperto.
Nel corridoio, un’altra donna, biondiccia, secca e sterile, con in mano un litro di latte, guarda la scena e inorridisce. Non le piacciono i pugili, né i gatti né le donne musulmane e neppure i mocciosi.
Durante la mattina, di solito, non ci sono stranieri nel discount. Arrivavano alla sera, dopo i turni di lavoro, chi in fabbrica, chi nei cantieri, chi come badante. È una specie di silenziosa legge razziale. La gente colorata o che parla strano deve fare la spesa dopo il tramonto. Ma oramai sono tutti ridotti allo stesso modo, italici ed extracomunitari. Tutti al discount a fare la spesa a basso costo. A testa bassa, soprattutto. Anche se sugli scaffali c’è una merce che è sempre in offerta. È un prodotto scontato al 50%. Lo trovate dappertutto. Si chiama intolleranza. La stessa intolleranza di certe signore che proprio non lo vogliono ammettere di essere costrette a fare la spesa insieme a marocchini e rumeni. Menomale – dicono tra loro - i negri non ci sono ancora arrivati in questo quartiere.
Felix afferra un paio di yogurt bianchi e li mette nel carrello.
Oh… Ti piacciono gli yogurt adesso? domanda Nico.
Sì. È un problema? Costano 35 cent. l’uno, risponde il gatto.
No, vabbè. Prendi pure quelli al caffè.
Ok capo.
Una commessa con addosso un camice verde lancia occhiate di sguincio al pugile e al gatto, mentre sistema pacchetti al reparto del pane. Nico se ne accorge. Non gli piace quando lo guardano così. Diventa timido. Di quella timidezza che poi si difende. E non vuole arrabbiarsi con quella commessa che lo guarda male. Felix invece gode. Da quando non è più un gatto famoso cova la rabbia genuina del giovane aspirante teppista di periferia. Se quella continua a guardarmi così le ficco un barattolo di fagioli su per il culo, pensa Felix.
Ci sono giorni che cominciano storti e di sicuro non finiscono dritti. E se l’intolleranza è la merce più a buon mercato, in certi giorni capita che tra gli scaffali di un discount di periferia ci siano anche grandi sconti su dosi di violenza, in confezioni da sei.
La donna biondiccia, secca e sterile, tiene in mano un cestello di plastica, rimuginando parole rabbiose. Proprio non digerisce che i conti della spesa non quadrino. Da quando l’ex marito, impiegato di banca, ha scoperto il potere del viagra e l’ha mollata per convivere con una bellissima donna che prima si chiamava Armando, si è trovata con uno stipendiuccio insufficiente. E in più – pensa stizzita - c’è quella fottuta islamica con un bel sorriso in faccia, sotto quel velo da zingara, che spinge un carrello della spesa zeppo di roba. Ha tutto quella stronza! Tutto, tranne il maiale, perché quello è proibito. La donna secca digrigna i denti e stropiccia la sua lista della spesa.
Nico vede la lista sgualcita nella mano della signora. Gli dispiace e pensa che lui non può neanche scriverla una lista della spesa: è solo un modo per diventare triste.
Che altro serve, capo? chiede Felix facendo un balzo sul carrello.
E smettila. Schiacci tutto il pan carrè… dice Nico.
Dal reparto frutta e verdura le urla festose dei mocciosi islamici raggiungono un certo limite. Tutto sommato, anche per gente tranquilla come Nico & Felix, i bambini stanno esagerando. Ma alla fine non danno importanza a questo tipo di cose. Loro lo sanno che una delle regole per stare tranquilli è lasciare tranquilli gli altri, soprattutto in periferia. La commessa col camice verde torna a sedersi alla cassa, dietro il rullo di gomma, guardando torva verso i clienti.
Ma quella tipa che cazzo c’ha stamattina, capo? chiede Felix mentre prende una scatoletta di latta.
Oh no… è aumentato il prezzo del tonno… dice triste Nico.
Sì, ho visto. Porca puttana. Comunque quella col camice verde ha un amichetto… risponde Felix indicando la cassiera.
Oh merda.
Effettivamente accanto alla cassa numero due, un tizio grande, grosso e assai cattivo, sta fissando il pugile e il gatto. Si tratta di Vito Di Nola, padre del giovane Alex Di Nola. I Di Nola fanno gli operai in una ditta di giardinaggio sulla Comasina. Una copertura ai loro precedenti per spaccio. Di Nola “padre” conosce bene Nico & Felix, perché sono gli stessi che hanno rotto il naso a Di Nola “figlio”.
Il gatto e il pugile avevano beccato Alex un paio di sere prima, tornando a casa dopo un incontro di boxe. Alex stava assieme a quattro o cinque teste di cazzo, e pippava bianca sotto casa loro: un bel palazzo grigio con vista sulla tangenziale. La questione era nata da una semplice provocazione. Succede così. Di Nola figlio si era messo a fare il coglione con Felix, tirandolo in mezzo con il pretesto di una sigaretta. Felix – che come al solito aveva bevuto - si era messo a urlare di levarsi dalle palle e Nico, senza rendersene conto, aveva stampato un diretto sulla faccia di Alex. Solita procedura: sbirri, ambulanza, promesse di vendetta…
Anche Nico & Felix avevano qualche trascorso con la bianca. Nico la imbustava e Felix se la buttava nel naso. Si erano conosciuti così, in un baretto in zona Paolo Sarpi. Felix non era più lo stesso gatto simpatico dei fumetti, frequentava postacci per robbosi e spendeva soldi in massaggiatrici orientali e strisce di polverina eccitante, mentre Nico, sempre timido, faceva il corriere. Poi si erano ritrovati a parlare davanti ad una mezza dozzina di bottiglie di birra cinese ed erano diventati amici. Semplicemente. Felix aiutava Nico e avevano affittato un monolocale in zona nord. Si erano levati dal giro della coca e decisamente sentivano di volerne stare fuori, come due amanti feriti dalla stessa puttanella: una ex che non volevano più frequentare. Insomma, preferivano starsene tra loro, per soffrire di meno. Invece Alex, la bianca, gliela sbatteva in faccia ogni volta. A Nico non importava né di Di Nola né di quei quattro cagnacci che si portava appresso, solo che non gli piaceva come lo guardavano, perché lui in fondo era timido. Felix invece quei pezzenti strafatti con il naso gocciolante li avrebbe massacrati di botte. Anche se c’è da dire che Felix con le droghe era in ottimi rapporti. Riusciva a gestirsele, diceva lui. Il problema è che sentiva gli artigli uscirgli dalle zampe appena vedeva i pischelletti dalle teste rasate, con addosso piumini da 500 €.
Il problema adesso è che Di Nola padre li sta aspettando alla cassa del discount. E vuole riscuotere il debito che quei due hanno accumulato col figlioletto dal naso rotto.
Felix sogghigna, sperando in una rissa balorda, sufficientemente disordinata da permettergli di fottere qualche birra e scappare dal discount. Nico invece è stanco. Preferisce lasciar perdere la faccenda con poche parole, o neanche quelle. Basta uno sguardo. Con un respiro profondo gonfia i muscoli del petto. Da lontano fissa in faccia Di Nola padre e si avvia con il carrello fino alla cassa.
Intanto i due mocciosi islamici giocano con un pacchetto di pasta che si è schiantato sul pavimento, spargendo pennette rigate dappertutto.
Attenti bambini, dice lentamente il pugile.
Felix, pronto ad ogni evenienza, afferra le birre e si prepara alla fuga. La mamma musulmana raccoglie la pasta sparpagliata per terra. La signora biondiccia e secca invece quasi le massacra le dita delle mani passandole accanto, camminando sui tacchi delle scarpe da casalinga disperata. Nico se ne accorge. Fissa la donnetta inviperita con i lividi violasti sotto gli occhi buoni. Quella però schiva lo sguardo, prende il posto alla cassa e mette la roba sul rullo.
Certa gente non dovrebbe neanche venire a fare la spesa... dice la signora acida alla cassiera.
Vito Di Nola intanto sfoggia una faccia comprensiva, da onesto figlio di puttana, e sorride laido alla biondiccia. Eh sì, perché Di Nola padre odia i porci musulmani, i loro figli e le loro mogli, perché gli tolgono il lavoro. E non quello alla ditta di giardinaggio, ma quello più remunerativo dello spaccio della coca. Cosa neanche del tutto esatta, perché nel quartiere i musulmani fanno tutti i kebabbari, oltre a farsi i cazzi loro. Semmai qualcuno frequenta viale Jenner ed ha un parente che nel fine settimana si dedica alla jihad, ma niente di serio. Giusto una formalità.
Nico inizia a sentire addosso la necessità di dover uscire dal discount. È in fila alla cassa. Muove le labbra senza pronunciare parole. È il solito attacco di timidezza. Di Nola, il bastardo, continua a fissarlo in silenzio, ma con lo sguardo parla e dice: stronzo, ti sto aspettando da due giorni, perché a mio figlio lo dovevi lasciare stare!
E intanto gioca a fare il capo dei capi. Parla alla cassiera col camice verde mentre fa un gesto nella direzione della mamma islamica:
Guarda ‘sta cazzo di stronza! Manco i figli sa tenere… dice Di Nola con la bocca storta.
Certo, lui il figlio lo ha cresciuto addestrandolo come un pitt-bull, quindi è stato davvero un buon padre, mica come gli arabi. La cassiera dal camice verde fa di sì con la testa, con un broncio trafitto da un piercing sul labbro inferiore, mentre passa i pochi prodotti della signora bionda sulla fotocellula per la lettura del prezzo.
Si sente solo il bip-bip-bip del laser, come il suono di un elettrocardiogramma.
Nico è sempre in fila, inizia a mettere la sua roba sul rullo. Cerca il riflesso della schiena di Di Nola nel pannello di plastica che sta dietro la cassiera. Vuole controllare che il bastardo non abbia nascosto un cannone nella cintola dei pantaloni. La sua timidezza lo tiene buono come un grosso vitello, poi, all’improvviso nella testa del pugile avviene una rara illuminazione.
Felix, prendimi la salsa di soja, per piacere… dice al gatto.
Che hai detto, capo? chiede Felix che si è acquattato sotto la cassa.
Prendimi una boccetta di salsa di soja, per piacere… ripete Nico.
Salsa di soja? domanda il gattaccio.
Sì… mi piace la salsa di soja.
Se lo dici tu…
Felix dà un’occhiata a Vito Di Nola, alla cassiera ed alla donnetta biondiccia che intanto cerca i soldi nel borsellino. Non riesce a capire la situazione ma l’istinto felino gli suggerisce che qualcosa sta per accadere. Poi si gira e va verso lo scaffale delle salse. I mocciosi islamici e la mamma col velo si mettono in coda alla cassa, dietro il pugile.
Nico si volta a guardare la donna dalla pelle color rame. Lei gli sorride, timidamente. Ha occhi grandi, contornati da matita nera e labbra scure, carnose. I mocciosetti invece fissano le ombre viola intorno alle palpebre di Nico. Uno dei due si mette un dito nel naso e rimane fermo, mentre l’altro tira la veste della madre e le chiede perché quel signore è così brutto. Nico sorride e diventa rosso. Vito Di Nola intanto deve trovare un pretesto, in fretta, per tirare in mezzo il pugile e provocare la rissa, per fargli pagare l’affronto fatto al figlio col nasino rotto.
Solo che, tra gli scaffali pieni di prodotti scadenti, all’interno di un discount di periferia, non si trova esclusivamente l’intolleranza di donnette bionde e sterili, i regolamenti di conti in sospeso tra uno spacciatore meridionale ed un pugile dal cuore tenero, un gatto tossico ed una mamma musulmana con i figli mocciosi. Ci sono anche dosi di violenza in confezioni da sei. E non sempre si fa in tempo ad accorgersi da quale parte vengano servite.
La porta d’ingresso a scorrimento automatico del discount si apre e fanno irruzione quattro tizi con addosso un passamontagna.
La signora biondiccia caccia un urlo perforante ed alza le mani, facendo cadere a terra la busta della spesa ed il borsellino pieno di spiccioli che tintinnano fuggendo in ogni direzione.
Uno dei quattro rapinatori ha una pistola a tamburo in una mano.
Bang!
Il tizio spara al soffitto mentre i compari si lanciano tra i corridoi per razziare portafogli e bloccare le uscite di sicurezza.
Bang!
Altro colpo d’avvertimento in aria.
La cassiera rimane ferma, immobile, con il suo broncio trafitto dal solito piercing al labbro inferiore. Forse è l’unica che alle rapine tuttosommato c’è pure abituata.
Bang!
Vito Di Nola è scomparso dietro la cassa e si fruga la cintola dei pantaloni.
Bang!
Felix stringe in una zampa il collo di una boccetta di salsa di soja che è appena andata in frantumi dopo l’ultimo proiettile esploso dal cannone del rapinatore.
Fanculo, dice Felix impermalosito e tutto schizzato di soja.
Nico si è buttato a terra tenendo stretta la mamma musulmana e i due mocciosetti che non urlano più. Anzi, quello che prima si era ficcato un dito nel naso si è appena pisciato addosso.
Vito Di Nola salta fuori dal suo nascondiglio dietro la cassa. Ha un’espressione feroce ed una bella Beretta nella mano destra. La punta alla faccia del tizio che ha sparato già quattro colpi. Urla:
Pezzo di merda io t’ammazzo! dice Di Nola padre.
No… fa in tempo a dire Di Nola figlio da sotto il passamontagna.
Bang-Bang! dicono nello stesso momento entrambe le pistole strette nelle mani dei Di Nola padre & figlio.
Porca merda… dice alla fine Felix, ancora fermo nel corridoio.
Gli altri tre rincoglioniti col passamontagna fuggono in fretta. Nico si alza lentamente, stando ben attento a tenere al sicuro la mamma e i pulcini arabi. Nel momento in cui riemerge si accorge che la faccia della cassiera e della donnetta bionda sono dipinte di un bel rosso intenso, condite da pezzetti di materia cerebrale. Ma stanno bene. I Di Nola, padre e figlio, se ne stanno tranquilli sul pavimento. Loro però la faccia non ce l’hanno più. È sparpagliata un po' dappertutto...
Come ti chiami? chiede Nico alla mamma musulmana, arrossendo ancora di più.
Noha… sussurra lei.
Capo, senti un po’… - interviene Felix – Quella salsa di soja è andata a male. Che dici? Ne prendo un’altra?
Sono un pugile. Non lo so se mi fa bene tutta quella salsa di soja… dice dubbioso Nico.
Ma sì, un pugile alla salsa di soja! Mi suona bene… conclude Felix.

Fine 

mercoledì 21 dicembre 2011

Le case.

Fuori dalla finestra ci sono le case.
Viste da qui sono tutte più basse rispetto al mio palazzo, così l'orizzonte è fatto di case in cui sembra che ci puoi spiare dentro. In effetti, volendo, è possibile vedere il mondo che si muove in quelle case. Ma io non lo faccio, per falso pudore.
Una volta, però, fumavo una sigaretta sul mio balcone.
Me ne stavo là, che era estate, e sullo sfondo le solite case.
Una macchina si ferma nel parcheggio sotto il mio palazzo, quello antistante le case. E dentro la macchina un ragazzo ed una ragazza, giovani, parlano. Sto per finire la mia sigaretta, ma mi distraggo. Intanto nelle case si muove un mondo nascosto. Ma in quella macchina la ragazza è scomparsa, o meglio, la testa della ragazza è scomparsa. Anzi no, adesso fa su e giù. Da qui infatti, oltre alle case, è possibile vedere cosa succede nelle macchine parcheggiate sotto il palazzo: si vedono rapporti orali consumati sotto casa.
Adesso non so se io sono stato inconsapevole guardone quel giorno, tant'è che imbarazzato ho cercato di attirare l'attenzione dei due amanti-orali con movimenti sul mio balcone del tipo "ragazzi, si vede che ci state dando dentro, soprattutto tu, bella..." ma quelli, che mi hanno pure visto, hanno proseguito fino a quando lui non si è aggrappato con entrambe la mani al tettuccio dell'abitacolo con un'espressione di stravolto godimento. E se n'è venuto. Lei è riemersa asciugandosi la bocca, ha lanciato uno sguardo verso una casa, ossia la mia, con me sul balcone che guardavo lei, ha fatto un sorriso malizioso e sicuramente ha detto al ragazzo "...è bello quando ti guardano dalle case".
La macchina è ripartita.
Io ero ancora là, fermo. Mi sono accorto che le case sull'orizzonte non si erano mosse.
Anche adesso che le guardo, ed è inverno, sono sempre là, coi loro mondi nascosti dentro.

Nelson Corallo