Pure, l’amore che volevi l’avevo io da darti;
l’amore che volevo – lo dissero i tuoi occhi
sciupati e diffidenti – l’avevi tu da darmi.
Si sentirono, si cercarono i nostri corpi;
compresero la pelle e il sangue.
Ma ci nascondemmo, tutti e due sconvolti.
Costantino Kavafis
Mi torturo guardando la foto che Eva ha messo sullo status di WhatsApp: lei, lui, loro figlia in braccio. Sorridono tutti. E io dove sono? Perché non sono presente al posto di quell'altro, che è sicuramente meno bello di me?
Non è capitato una sola volta di dover assistere allo spettacolo triste di lei, che avrei potuto amare ed essere suo compagno per la vita - finché morte non vi separi -, che dopo il mio forfait trova un altro uomo e concepisce ciò che sarebbe dovuto essere il nostro bambino o bambina. Avrei preferito una bambina.
Ma prima volevo trovare un me stesso che poi sono riuscito solamente ad abbozzare, e per costruire quello che sono oggi ho dovuto lasciare, abbandonare, mollare lungo la via tutte loro che oggi mi mancano e non penso possano essere sostituite mai. Non credo sia originale né autorevole scrivere ciò che ho appena scritto ma è la verità. Qualcuno si cerca così tanto e tenta con forza di farsi una struttura esterna che possa compensare il proprio dolore intimo che alla fine impiega ogni risorsa per mettere su un castello di carte traballante che poi crolla, dopodiché lascia rimorsi e una serie di stucchevoli "perché?" oltre alla consapevolezza di aver sbagliato tutto.
Immaginiamo che la maggioranza degli esseri umani faccia tentativi goffi per rendersi migliore di ciò che può realmente essere, impegnandosi allo spasimo a inseguire un'ideale versione di sé che non potrà raggiungere o, se ci riesce, non potrà mantenere a lungo, allora che cos'è l'umanità? Un ammasso di dilettanti che annaspa, spreca risorse, compie azioni orribili e perde l'occasione di essere felice in maniera più semplice. Ambiziosi e disillusi, io sono tra loro. A noi hanno dato un temperamento e un carattere sfortunato, siamo doppiamente perdenti. E rendercene conto è il castigo finale.
Mi torturo e me lo merito.
Vivo nell'epoca in cui il lamento è letteratura, è arte del se', è il personal branding, e soprattutto io so farlo meglio degli altri mediocri che però ricevono più likes, in quanto mediocri per l'appunto.
Nessuno avrebbe potuto fermarmi dalla corsa impazzita nella quale mi ero gettato. Né mio padre, né Eva, né nessuna dopo di lei. E se fossi riuscito a ottenere di più? Avrei guardato a quella foto di famiglia con ironia e disgusto snob? Probabilmente sì. E le lacrime di coccodrillo sarebbero arrivate più in là negli anni, in vecchiaia, perché successo e denaro possono anestetizzare ma non estinguere l'amore.
Se adesso avessi un cane almeno lo porterei fuori a fare un giro in questo paesino calmo della Sardegna del sud dove sono solo perché ho voluto restare solo per qualche giorno prima di tornare a Milano e rigettarmi nella nevrosi. Ho una pallottola di cotone nell'orecchio destro in cui è entrata troppa acqua, c'è un film di Woody Allen in tv e il ventilatore ronza e gira il capo da qui a là. So solamente scrivere cosa mi passa per la mente e leggere i libri di chi è più bravo di me. Inseguo sempre quell'idea che possa risarcirci di tanto malessere e scommetto che non lo saprò a breve. Sono pieno di malinconie e ricordi, sperando qualcosa si sblocchi e mi dia la prova che Dio esiste anche per me. E traballanti passi mossi in infradito sulla sabbia calda di pomeriggi di fine estate.
Potrei far parlare Corallo adesso ma non me la sento.
I miei genitori, i miei zii, il paese brutto e stupido che ho villeggiato per mesi in passato, la città, Salerno e il mare non balneabile, il sesso estivo che accadeva come temporali, il calore, il sale, sorelle, amici, erba, stelle, macchine in viaggio da sud a nord, tutto torna a me in un istante e sembra ieri e mille anni fa in un vortice di atomi e ricordi, mio Dio, che cos'è la vita e cos'è l'umanità?
Accadono i fatti e volano via i giorni e non si fa in tempo a comprendere mai nulla o quasi ma se ne ha questa consapevolezza estenuante per cui si può scriverne: è devastante.
Questo però non riguarda le persone fattive. Loro non sono né sensibili né hanno tempo per riflettere, loro fanno e basta. Loro sono i carrarmati del mondo e lo distruggono passandoci sopra, estraendo succo e sangue dalle masse che tentano di combinare qualcosa nella vita. Loro sono gli stessi che potrebbero pubblicare un mio romanzo, avvoltoi figli di troia. Mi piace pensare che morirete anche voi.
Fare una rapina.
Ammazzare qualcuno.
Organizzare una truffa.
Rubare qualcosa di molto prezioso.
Mettere una bomba.
Sedurre una donna bellissima.
Vincere la lotteria.
Esistono una serie di azioni per uscire dalla routine e dalla quotidiana paranoia di vivere. Per non dire dalla mediocrità e dal l'impotenza. Ne esistono anche altre di soluzioni ma le prime che mi vengono in mente sono quelle, forse perché sono un criminale e uno squilibrato.
Potrei dire che il mio modo di pensare è pressoché questo se non avessi conosciuto la letteratura. Tralasciando Shakespeare e tutto il resto, sorvolando sul problema dell'editoria che pubblica solo merda e mettendo da parte il destino infame, diventa ben poca cosa la mia esistenza. Eppure non ho avuto poco, anzi, a ripensarci sono saturo di emozioni e storia personale, tanto che potrei pure dire basta. Basta, grazie.
Invece no.
Sarà colpa della letteratura e dei sensi che ancora vivo e voglio proseguire nonostante il tedio. Potrei dire che abbiamo fin troppo tempo anche se la vita è breve. Ciò che è davvero breve è l'infanzia, la giovinezza semmai. Dopodiché inizia un mondo di ripetizioni dove, se si è come me, ci si arena nei pensieri. I fattivi invece fanno, costruiscono, proseguono incessantemente e mettono su cose. Ci sono diversi tipi umani, non tutti uguali, e di solito quelli fingono di governare il mondo. Truffatori pieni di risorse, costruttori, farabutti.
Vabbè, non sono io.
Io fino a ieri speravo di cambiare, maddai, non è possibile.
Sono destinato alla putrefazione e a rompere i coglioni. Al massimo uno dei fattivi potrebbe dire: "Voglio usare la tua roba" e io potrei dire "Dai, sì, pagami e facciamola finita". Potrei sentirmi per mezz'ora qualcuno, poi tornerei alla realtà, cioè che sono un parolaio.
Che volete? È natura.
Puoi chiedere a una rondine di non volare e a un lupo di non cacciare? No, appunto.
L'unico vero sforzo che noi parolai dobbiamo fare è quello di osservare per bene, riflettere per bene, studiare per bene e poi riversare ciò che abbiamo capito per bene. Altrimenti siamo parassiti. Ciò non toglie che una volta che abbiamo fatto tutto per bene poi nessuno ci consideri. Ma sapremo di averlo fatto come Dio comanda, nell'intimo.
Per il resto fingeremo di essere come gli altri e di avere altri problemi. Ipocriti senza colpa. Di questa condizione me ne sono reso conto anni fa, ho tentato di ignorare la cosa, ora è un fatto. Che sfortuna per certi aspetti, che fortuna per altri.
Spiegato questo che si fa?
Ti inventi una storia e provi a camparci sopra. Magari qualcuno ti ascolta e magari non ti ammazza di botte.
Non avrò indietro il tempo vissuto e non sarò nelle foto con lei accanto ma finalmente ne sono consapevole, sveglio, sincero e posso piangere e ridere mentre tento di farmi comprare e spendere poi tutto in fiori per i miei sogni infranti e amori non vissuti ma mai abbandonati.
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