lunedì 20 novembre 2017

Il Cinema di Corallo* Vol.4, "La Grande abbuffata e il niente"

"Io alzo il mio bicchiere, non so a che cosa ma alzo il mio bicchiere…"

"La Grande Abbuffata", locandina cinema.

Nel film “La grande abbuffata" di Marco Ferreri, c’è una scena in cui Tognazzi fa sesso con la protagonista Andréa Ferreol impastandole il culo con la torta che sta preparando. É una delle scene che furono censurate a suo tempo assieme ai baci alla francese di Mastroianni e altri momenti grotteschi. A rivederle oggi non appaiono così scabrose, anzi. Dal 1973, data di uscita del film, siamo spettatori abituati a tutto, non solo al Cinema ma anche in TV e sul Web. Perciò quella merda che - ieri - esplodeva dal cesso inondando le stanze - oggi - diventa un simbolo potente. É il messaggio stesso dell'opera che si é compiuto: la nostra società continua a ingurgitare ed espellere per inerzia fino a ricoprirsi di escrementi. Un pompino fatto in un armadio passa tranquillamente in prima serata mentre un personaggetto scorreggia e tutti ridono, ci si fanno discussioni a riguardo, addirittura tavole rotonde dove partecipano altri personaggetti. La merda è arrivata ovunque, “La grande abbuffata" s'è avverata ma a morire non sono i protagonisti del film né quelli della tv, anche se metaforicamente sono già morti nell'anima. A morire organicamente sono sempre i soliti che sono morti dall'inizio del mondo e che non hanno nemmeno mangiato o scopato granché durante la loro permanenza sulla terra. Ma questo è un dato di fatto. Se il pregio dell'Arte é quello di penetrare con anticipo i tempi svelandoli agli increduli borghesi, il film di Ferreri lo ha fatto. Eppure di grandi abbuffate ce ne sono sempre state. Dalle orge greche e latine, via via nella storia fino ad oggi.
Gaio Sallustio Crispo, attorno al 40 a.c. già scriveva del crollo dei valori di Roma, voracità dei pubblici amministratori - ambitio multos mortalis falsos fieri subegit, aliud clausum in pectore, aliud in lingua promptum habere - avidità imbevuta di veleni - avaritia pecuniae, venenis imbuta - lussuria e prostituzione universale. Perché l’umanità mastica e caga allo sfinimento, in ogni epoca. "Mangia! Se tu non mangi, non puoi morire!" urla Tognazzi a Michel ingozzandolo di purè. 
Il film l’ho rivisto un sabato notte, il giorno dopo sarebbe stato ovviamente domenica, “Buon appetito, oggi si mangia, si scopa e si caga”, ho pensato. É tutto un epifenomeno? Vanitas vanitatum? La vita è un’allucinatoria esperienza corporea, tutto qui? Forse, forse no, forse vaffanculo. 
Il fatto é che “La grande abbuffata" é un film intellettuale dove pure Pasolini si è messo a scriverne sopra: “totalmente neorealistico è il dialogo, dove mai la parola è pregiata, a causa dell’assoluto privilegio conferito alla chiacchiera. La lingua di tutto il film […] è solo e semplicemente “fatica”. Si parla solo per parlare, e si parla sempre d’altro: ma quest’ “altro” è insignificante. E’ il “più o meno” piccolo borghese”, cit. da "Cinema Nuovo" n. 231, 1974. Già, la “parola insignificante” che nel film è affannosa per il troppo cibo, sesso, merda, e che voleva denunciare una vuotezza di spirito, oggi, è diventata la parola perfetta per giornalismo, tv, web e social network. Se di eccessi in negativo la Storia s’è sempre riempita - lasciando i soliti stronzi a morire - almeno si tentava di mantenere uno stile epico che oggi non c’è più e che vogliono addirittura cancellare. Sembra che oltre alla merda sul pavimento vogliano ridurre tutto a pochi essenziali termini basici anche nel linguaggio. Si scrive male e si scrive solo di stronzate. E se usi un termine che per loro è poco ortodosso o una foto che a loro non piace, nonostante lo schifo che lasciano passare ogni giorno, ti censurano.
Ne “La grande abbuffata” si parla di morte. I quattro protagonisti maschili desiderano morire e ci riescono. Ed é quasi tutta gente morta anche nella realtà, tranne l'attrice Andréa Ferrèol, che ha 70 anni e fa ancora fiction per la tv. Lei, come nel film, ancora sopravvive. Ultimo messaggio di speranza è il femminile che accompagna gli uomini negli eccessi ma si ferma un istante prima della fine, perché la donna é il simbolo della resistenza alla pulsione di morte in quanto destinata dall'esistenza alla connessione organica con la vita, ora e sempre. Resistenza.

"La grande abbuffata", sequenza Ugo Tognazzi, sesso, torta, Andrea Ferreol, censurata.


lunedì 13 novembre 2017

Un bacio in tasca

Un bacio in tasca



Saranno state le undici del mattino di sabato. Sulla metro lilla, tornavo verso casa dopo una commissione. Me ne stavo seduto in un angolo mentre il vagone senza conducente scivolava sottoterra, pilotato da chissà quale congegno. Pensavo tra me e me che fossi stato un bambino avrei voluto sedermi davanti, dove c’è la vetrata e i binari ti scorrono incontro, come fossi tu a guidare. Ma non sono un bambino, sono un cagnaccio pressoché adulto. Fatto sta che tutti i posti erano occupati, gente varia un po’ infreddolita, un po’ assonnata. Questo non è un racconto dove si parla di umanità meschina o altro, è solo un fatto che mi è capitato - per caso - in metropolitana. 
Me ne stavo seduto in un angolo, col giubbotto di pelle da motociclista tutto allacciato, stretto, con la cerniera fino a su, che però si chiude di lato. Mi piace il mio giubbotto da motociclista, l’ho preso tanti anni fa in un mercato dell’usato a Napoli, anche se non avevo la moto. E' come una corazza di cuoio dove mi sento protetto.
Il vagone si ferma accanto alla banchina, dalle porte automatiche entrano altre persone. Sarei bugiardo se dicessi di non aver notato una ragazza, forse di vent’anni, capelli lunghi e scuri, corpo snello, farsi strada verso di me. Non che volesse me, voleva solo venire dalla parte del vagone dove stavo io. Resta in piedi, chiusa nel giubbottino stretto, forse ascolta musica dagli auricolari. Ne ho viste un milione così in metro. Giovani ragazze, snelle, auricolari, sguardo apparentemente distratto. 
La metro riparte, quasi socchiudo gli occhi stringendomi di più nel giubbotto di pelle che fa quel suono di pelle che mi piace tanto, ma davanti al mio sguardo spunta il pancione di una donna incinta e là rimane, tondo e materno. Non ci ho messo molto ad alzarmi per cederle il posto. 
Lo dico subito, non è una questione di galanteria o senso civico, il mio è senso di colpa. Non ce la faccio a non lasciare il posto a una donna incinta oppure a una signora anziana o chiunque altro mi dia l’impressione di averne bisogno. Mi sento sporco altrimenti. E l’ho fatta un milione di volte questa cosa di alzarmi senza dire nulla, giusto un cenno del capo, e mettermi in piedi vicino le porte automatiche. Senza alcun eroismo.
Solo che stavolta la ragazza di vent’anni, bruna e snella, ha assistito alla scena; e deve avermi proprio notato, perché ha fatto una cosa “antica”.
Mancavano ancora un paio di fermate alla mia, poi avrei preso la linea gialla in direzione Comasina. Sarei un bugiardo se dicessi di non aver osservato le cosce sode della ragazza di vent’anni riflesse nel vetro. L’ho fatto eccome, come l’ho fatto un milione di volte e amen. Vedo che lei inizia a trafficare nella borsetta che tiene a tracolla e in tutta fretta prende un’agendina da cui strappa un foglio. Noto il gesto e noto anche che stappa un bel rossetto rosso uscito anche lui velocemente dalla borsetta, se lo passa sulle labbra facendo poi quel bacio a schiocco nell’aria, avete presente no?
Il vagone inizia a rallentare, si vede la prossima fermata apparire dal fondo del tunnel. La ragazza prende il foglietto di carta strappato e gli stampa un bacio forte sopra, lo osserva  sorride soddisfatta e mentre le porte scorrevoli si aprono cammina verso di me, guardando proprio me. Senza dire nulla mi porge quel bacio che io prendo per istinto, esce dal vagone e se ne va. Resto un attimo intontito, sento qualche sguardo della gente addosso, forse arrossisco. Proprio io, che sono un cagnaccio pressoché adulto, arrossisco.
La cosa interessante, per me, è stato il sovrapporsi del ricordo di mia nonna in tutta questa storia. Già, è così. Mia nonna Ines, che anche a settant’anni si metteva il rossetto per uscire di casa, era un’anziana donna che un tempo era stata giovane, bruna e snella. Quel gesto del rossetto e del fazzolettino che poi usava per asciugarsi le labbra io l’ho visto per anni fatto da lei. Non da mia madre, eh, ma da mia nonna. E l'ho rivisto quel sabato mattina nella ventenne sconosciuta; che non mi ha chiesto il numero di cellulare per mandarmi un watzap con l’emoticon di un bacio, e non mi ha dato nemmeno un bacio se per questo, ma mi ha regalato un foglietto di carta con le sue labbra rossettate impresse sopra. E perché? Perché ho ceduto il posto a una donna incinta, già.
E’ stato un gesto antico. 
In quella serie di piccole azioni ho rivisto una donna che non c’è più e uno stile talmente anni ’50 da sembrami strano in quel contesto metropolitano, moderno, automatizzato, milanese e imbruttito. Eppure è stato. Tant’è che mi sono ritrovato in tasca un bacio, fino a casa.

La morale della storia? Non lo so. 
Forse avrei dovuto correrle dietro e dire “Signorina, mi permetta di offrirle un caffè…” o cose così ma credo di no. Si sarebbe rovinata la poesia un po' retrò di incertezza. Forse era un modo per ricordare a me stesso che certe tradizioni saltano fino a rincontrarsi nei gesti dei pronipoti anziché dei figli, e che se la mia generazione queste cose se l'è dimenticate quella dei ventenni potrebbe fare meno schifo di quanto temiamo. Forse nulla.
E’ bastato il riflesso sovrapposto di un gesto antico ed attuale a ricompensarmi quel sabato mattina. 
A casa, poi, mi sono svuotato le tasche della giacca di pelle, ho tolta la tessera ATM, le monetine, gli occhiali da sole - che non servivano - e un bacio su un foglietto. Li ho appoggiati sul tavolo e ho scattato una foto, perché mi potesse servire per scriverci un raccontino sopra; così magari domani qualcuno si alza per lasciare il posto a una donna incinta, e forse se ne torna anche lui con un bacio in tasca.

lunedì 30 ottobre 2017

La mano e l'anguria


E’ la mia mano che regge una piccola anguria. Ci ho visto qualcosa di protettivo, come un bambino piccolo e arrotolato su se stesso stare al sicuro nel palmo del padre. Un’anguria che dovrebbe significare un frutto ingombrante invece qui è tenera, quasi indifesa. Anche le cose che nel nostro immaginario assumono proporzioni grottesche cominciano la loro vita in forma dolce. Ho osservato le mie dita. Stanno diventando come quelle di mio padre e dio mio nonno, stanno invecchiando. Sto evolvendo in un frutto meno tenero e più ingombrante al contrario della piccola anguria. E’ la foto delle mie contraddizioni, questa. E’ anche qualcosa di erotico, è mano virile di uomo che tiene un giovane seno di donna, sodo, rotondo, giusto. Da ultimo ho pensato: “E se invece della mia mano che regge una piccola anguria, come fosse un bambino arrotolato o il giovane seno di donna, avessi pubblicato la mano di una ragazza che tiene un qualsiasi ortaggio oblungo, quali pensieri avrei avuto? La volgarità avrebbe vinto, per forza. In certi casi è vero che all’uomo spetta la poesia, suo malgrado. E’ un’altra contraddizione dell’esistenza…”, dopodiché ho messo la foto sul web. E’ piaciuta. Chissà poi cosa ci vede la gente in una mano di uomo che regge una piccola anguria, vallo a capire…

Libertà e sugo coi peperoni


L’uomo veramente libero è colui che rifiuta un invito a pranzo senza sentire il bisogno di inventare una scusa.
(Jules Renard)



Sono tornato a casa tardi dal lavoro oggi e stavo per mangiarmi un schifezza cedendo alla stanchezza, al nervosismo, all'incertezza della vita e alla vacuitá del mio frigo. 
Poi ho pensato "No, non cedere, uomo!". 
Allora mi sono messo a fare il sugo semplice col pomodoro e basilico, "Ecco, bravo...", ma poi ho ripensato, con la fame crescente, "Già che ci sei fai anche quello coi peperoni" e l'ho fatto. 
Questo per dire che nella vita bisogna credere e non cedere, anche quando sei solo, anche se hai poche cose in dispensa, anche se la sera inizia ad essere fredda qui a Milano. 
Almeno fino a quando non ti sposi e allora "Cazzo, ho lavorato fino a mó! Manco un sugo hai preparato?!" potrai dire a lei che ti risponderà "Ma vaffanculo, mica sono la tua cuoca!", e tu potrai rimpiangere quel sugo coi peperoni che ti facevi la sera e ti restava sullo stomaco, ma almeno la colpa la potevi dare solo a te stesso. 
"Ma vedi 'sto cretino, pure il sugo pronto vuole..." continuerà intanto a dire lei, amandoti con odio #corallino

Per molti, libertà è la facoltà di scegliere le proprie schiavitù.
(Gustave Le Bon)


domenica 15 ottobre 2017

weinstein e l'argento


Ok, ormai la notizia ha una settimana di vita e nella prospettiva del web é, quindi, vecchia. Ne parlo lo stesso. Tutti si sono espressi a proposito del produttore hollywoodiano e delle attrici che hanno ammesso di aver subito abusi e violenze da Weinstein. Tra queste donne, anche Asia Argento ha denunciato il fatto. Ma lo ha fatto dopo vent'anni dall'accaduto sentendosi poi chiamare "troia" dal popolo di internet per non aver parlato chiaro e subito. Lei si é difesa dicendo che tutte le donne coinvolte erano spaventate da Weinstein e proprio come loro ha temuto il suo potere fino ad oggi.
Io sono un uomo, il mio pensiero sarà sempre condizionato dall'esserlo, però ho provato a riflettere.
Molto spesso uomini "di potere" hanno molestato donne promettendo favori e carriere stellari. In un mondo come quello del cinema di Hollywood immagino sia sempre stato all'ordine del giorno, no? Non dico sia giusto, dico sia un fatto. E molte promettenti attrici non avranno accettato e altre ancora sí, chi può dirlo?
La questione però è un'altra: perché tutta questa rabbia contro Asia Argento? Forse perché migliaia di donne, ogni giorno, vengono abusate e molestate, forse perché non tutte loro stanno provando a far carriera nel cinema né sono figlie di un noto regista né tantomeno hanno assunto un'aria da rockstar glamour come lei, é chiaro? Lo ripeto, ogni giorno il genere femminile é sottoposto ad abusi da parte di uomini "di potere". Ogni giorno il genere femminile subisce violenze. Ogni giorno una donna teme di dire ad alta voce quello che le é accaduto sentendosi assurdamente colpevole nonostante non sia colpa sua.
Ogni giorno, é chiaro?
Il fatto é che Asia Argento non sembra aver denunciato Weinstein per liberarsi da un dolore atroce che la distruggeva nell'intimo o per esortare altre donne a parlare ribellandosi al silenzio. No, sembra  che Asia, la nostra italica strafottente figlia di Dario, ex compagna di Morgan, attrice e regista, modella, monella, tossichella  etc. lo abbia fatto - in fin dei conti - per ricevere tutto il nostro calore, affetto e compassione. Nonché il nostro devotissimo applauso. Un applauso per Asia Argento che mentre frequentava Hollywood e faceva la star in realtá soffriva per colpa del potente produttore di film americani.
Un applauso per Asia, mentre migliaia di altre donne sono rimaste vittime e zitte.
Ecco, forse é questa la sensazione di rabbia che é emersa malamente dal popolo del web che l'ha insultata.
Per quanto mi riguarda, da uomo, ho compreso da vicino il dolore delle donne che han subìto questi fatti e la loro rabbia sia per chi ha parlato sia per chi é rimasto zitta/o. Ho capito che esiste un rancore profondo in entrambe le direzioni e in entrambi i casi. Da uomo, ho capito che il genere umano é miserabile e violento il più delle volte. Ma questa é una cosa che ho capito in generale e abbastanza tempo fa. Però, come dicevo all'inizio, é una notizia di almeno una settimana, perciò é storia vecchia.
Fino alla prossima violenza, no?

mercoledì 21 giugno 2017

Sobrietá

"It's a hard life
To be true lovers together
To love and live forever in each others hearts
It's a long hard fight
To learn to care for each other
To trust in one another right from the start
When you're in love"

It's a hard life, Queen


É anche una questione di sobrietà, mi spiego. Scrivere cose per mandare messaggi, spartire esperienze, indicare una strada che porti aldilà del "basta che sto bene io, 'fanculo il resto". Ci vuole stile per dire cose sagge, però noialtri viviamo nel mondo occidentale e non possiamo fare troppo gli spirituali di tipo zen, non così in fretta. Su questo argomento ne ha parlato anche Jung, andatevelo a leggere.
Noialtri dobbiamo prima affrontare l'ombra e reintegrarla, prima di essere lievi, anche liberi, e simpatici. Invece siamo costretti a essere ironici, il che presuppone la radice "ira", spesso sarcastici, mai affrancati da certi pesi culturali. Perché? Perché siamo cresciuti con l'idea che bisognava spaccare culi a tutti, e vincere. Lo si vede in Tv, social network e politica. Però tutti a dire che sono illuminati. Certo, illuminati dai flash dei loro stessi autoscatti. 
Servirebbe una sobrietà tipo quella di Freddie Mercury, non scherzo. Eccessivo in bellezza, fantasia, colori e sessualità. Pieno di luce. Amore, amicizia, vita e morte. C'era tutto in lui, c'è ancora per quanto mi riguarda. E quando sono disgustato dal mondo ascolto i Queen, vedo i loro video e imito le mosse col pugno chiuso verso il cielo, faccio i passetti di Freddie. Un giorno indosserò una parrucca, una minigonna di pelle e passando l'aspirapolvere canterò "I want to break free". É gay? Cazzo me ne frega, é il più sobrio dei gay secondo me. Il più spirituale e profondo allo stesso tempo.
Il talento serve a smuovere la coscienza delle masse, per fargli incontrare i mostri e assimilarli. Lui ci riusciva, Freddie.
La sobrietà é disciplina, la disciplina é forza, la forza é assenza di paura, l'assenza di paura é piacere. Per assurdo la sobrietà porta al piacere più soddisfacente, perché non c'è senso di colpa.
Che post é questo?
Nulla, é che chi legge la mia roba lo fa di nascosto. Già, appena pubblico qualcosa ci sono almeno un centinaio di visualizzazioni che crescono e si assestano verso sera, più o meno il doppio che al mattino. Quanti "mi piace" ricevo pubblicamente? Uno, due, qualcuno di più se é solo una poesia. Il resto é occulto. La gente mi legge, lo vedo dai grafici, ma la gente non lo dice. Mi sta bene. Il mio stile non è sobrio, io sono eccessivo, e se risultando io il peggiore vi faccio sentire migliori, vinco. Anche quando perdo, io vinco. Perché non me ne importa più di spaccare culi. A me interessa godere, il che é diverso. 
Allora ballo con le mosse di Freddie Mercury e son felice se siete felici. Basta che non mi provocate sennó vi risponde Nelson Corallo* e lui é cattivo, si sa. Per me, invece, é tutta una questione di sobrietà, talento, niente rabbia, assenza di paura, piacere etc. etc.

domenica 11 giugno 2017

Just send chocolate

"Non c’è niente di speciale nella scrittura. 

Devi solo sederti davanti alla macchina da scrivere e metterti a sanguinare"


Ernest Hemingway



Dunque, a un certo punto ho capito di dovermi dare una calmata, altrimenti finivo male. Male davvero, senza scherzi. É molto più facile impazzire che restare sani, in ogni caso. Anche se non si va in cronaca nera il mondo è pieno di gente folle che soffre, e mi dispiace senz'altro. Fosse per me dovrebbero essere tutti liberi e soddisfatti, pieni di consapevolezza e amore. Liberi, soprattutto, di quella libertà che va di pari passo con la cultura e il rispetto proprio e altrui. Ma non è così, purtroppo. 
E come dicevo all'inizio, ho rischiato di brutto di diventare un matto, magari integrato in una società malata, ma pur sempre un matto. Cosa mi ha impedito di esserlo? I libri, innanzitutto, e la scrittura. La psicologia, la filosofia, i film giusti, l'arte, la musica. Alcune persone, anche. Sí, certi rapporti mi hanno salvato. Altri no, anzi, hanno rischiato di portarmi ancora più a fondo. Ne ho conosciuta di gente fuori di testa, soprattutto mentre mi "disintossicavo" da dinamiche malate. Oh, facevo schifo anch'io, non dico di no, però mi ci mettevo d'impegno. Sia a far schifo che a venirne fuori. Ma in quel periodo di transizione lasciavo spazio a persone borderline che non si capiva esattamente cosa volessero. Addirittura qualcuna tentava di guarirmi. Venivamo da me, mi coccolavano, seducevano, si facevano spazio nel mio quotidiano confuso, entravano nella mia vita e provavano a darmi dei consigli. In realtà cercavano aiuto, forse più di quello che cercavo io stesso, per me. Loro davano qualcosa a me per ricevere qualcosa da me. E quando me ne accorgevo, Cristo Santo, rompevo il dialogo. Perché stavo male di mio, cazzo, e gliel'avevo detto che stavo provando a uscirne, ma loro niente. "Solo io ti capisco e solo tu puoi capire me!", dicevano loro, senza accorgersi che non ero né il loro psicologo e nemmeno un loro amico. Già, era dura da accettare dopo tutte quelle ore passate a parlare di traumi, aspettative e delusioni. Lo stesso non ero un loro amico, ero solo uno confuso, pieno di rabbia e paura, che tentava di non morire. Allora quelli tentavano di farmi fuori. Soprattutto le donne, giá. Tutta la rabbia repressa per gli ex fidanzati, padri, fratelli, sconosciuti etc. ricadeva su di me, perché io ero Nelson Corallo*, l'infame. E dovevo pagare, in un modo o nell'altro anche per i cazzi altrui.
All'inizio me la prendevo. Rispondevo male e giocavo ad alimentare la loro rabbia, perché in fondo ero un sadico, pensavo addirittura che mi cercassero proprio per quella mia virtù oscura. Insomma, mi dicevo "Che cazzo, se avevano voglia di parlare con me, andava bene. Leggevano le mie storie di sesso, ok, magari ci si confrontava, però chi le conosce? Mica erano le ragazze che avevo odiato oppure amato, o tutte e due le cose. Erano persone virtuali. Anche quelle con cui avevo bevuto qualcosa, dal vivo, anche loro erano sconosciute in fondo. Eppure pretendevano da me "qualcosa". E allora vaffanculo!"
Mi sentivo depresso, arrabbiato, e ancora depresso. Ma alla fine provavo pena. Perché nel frattempo vedevo un po' di luce, una certa chiarezza e luminosità nella mia vita, dopo tanti sforzi. Allora restavo semplicemente zitto. E continuavo i pochi rapporti sani che ero riuscito faticosamente a costruire con altre persone. Formichine, bricioline, cosettine belle. 
Certo, ogni tanto avevo delle ricadute, tipo che una leggeva le mie cose e mi scriveva. Faceva complimenti, piccole fusa notturne ma non capiva. Proprio non capiva che se mi avesse detto "aiutami", l'avrei fatto. Col cuore. Invece lei mi provocava nonostante fossi "morto", tentava di parlare col mostro di me stesso, che rispondeva sibilando, e dopo un attimo le chiedeva di mandare almeno delle foto zozze, o di venire a scopare portandosi dietro un'amica cagna, diceva che se proprio voleva resuscitare la mia ombra, Cristo di Dio, lo facesse nella maniera più sordida e porca possibile! Non carezze, non paroline, non timide provocazioni ma SANGUE e CARNE, ANIMA CORROTTA, PORNOGRAFIA, DEPRAVAZIONE...
Niente.
Perché loro non volevano giocare per davvero, non fino in fondo. E non volevano nemmeno cambiare vita. Ché se lo avessero voluto, giuro, avrei potuto dare una mano. Perché sono un esperto ormai, lo so fin dove si potrebbe arrivare a far schifo, ma so anche come si fa a tornare indietro prima che sia troppo tardi. 
Dopo aver scritto "La Morte di Corallo*", sono cambiato. E' stato il mio passaggio in un'altra dimensione, giuro. Un personalissimo attraversamento del fiume Giordano, dove si lasciano le pietre alle spalle e non si guarda indietro. Ma molta gente non l'ha capito, all'inizio nemmeno io, in effetti. Allora ho dato lezioni private di scrittura autobiografica e studio degli archetipi. L'ho fatto per i soldi, anche per i soldi, perché ho un diploma di master in scrittura e regia. E l'ho fatto anche perché lo so fare. Infine l'ho fatto per dimostrare che non ero più quello di prima, quel bamboccio che chiedeva, chiedeva, chiedeva aiuto, commiserazione e cioccolata emotiva senza mai cambiare. No, ero diverso rispetto all'inizio di tutta la faccenda.
Quindi dicevo che davo lezioni di scrittura e vedevo che in molti/e mollavano quando si arrivava troppo vicini al "mostro" che ognuno deve per forza incontrare, riconoscere e sconfiggere, oppure trasformare, per andare avanti. Mollavano perché fa paura, è normale. Il problema è che poi  se la prendevano con me, con Nelson Corallo*, con tutti, tranne che con loro stessi. Mollavano ma pretendevano la mia "amicizia". Dicevano "Noi siamo uguali, io e te", ed io li guardavo e dicevo "No, non è così", ma quelli a insistere "Tu DEVI essere mio amico! Siamo PARI!", "Ma quale parità?!", rispondevo, "Che manco mi rispetti dopo tutta la merda che ho dovuto ingoiare e poi ripulire. Che ancora mi vedi come un sociopatico mentre non ti accorgi di quanto sei infognato/a nel tuo stesso fango, e non ti sforzi per uscirne". 
E mi dispiaceva. 
Ci vuole forza e impegno. 
Io l'ho fatto.
"Tu sei un arrogante! Ti metti su un piedistallo e sei troppo severo!", dicevano ancora, "E cazzo, sì! Sono spietato con te perché lo sono stato con me stesso, Cristo Santo!", rispondevo, "Altrimenti a che serve? Noi non siamo amici! Siamo persone che vogliono uscirne!". Niente, tentavano di farmi fuori lo stesso, come se fosse proibito avere un minimo di esperienza alle spalle.
Però altri non hanno mollato, sono pochi. Quelli a cui ancora do una mano, gli faccio vedere i trucchetti, li accompagno nel percorso. E li vedo diventare liberi, forti, consapevoli. Alla fine diventiamo amici per esigenza naturale oppure ognuno va per la sua strada, serenamente.
Voi?
Che volete, voi?
Cioccolata?
Ok, se siete in cerca di un momento di passionale oscurità per poi tornare a fare finta di niente, se vi rivolgete a me perché vi piace la maschera di Nelson Corallo*, e se siete femmine, almeno quella cioccolata fatevela sciogliere addosso e alla fine SCO-PI-A-MO!
"Scopare, fottere, ficcare", vi direbbe Nelson Corallo*, perché lui era malato e tossico ma era anche un idealista. Nella sofferenza si svenava fino in fondo. E ci vuole coraggio, anche a fare cose folli. 
Già. 
Per il resto è sufficiente la mediocrità.

sabato 27 maggio 2017

"Volgare Amore"

"Volgare Amore"
di
Nelson Corallo*




Mi scoperei tutto di te
Quello che si può e quello che non si può
Mi scoperei
Il tuo corpo intero
Le unghie
I capelli
Le caviglie
Le sopracciglia una ad una
Mi scoperei tutto di te
E le lenzuola del tuo letto
I tuoi vestiti
Le tue creme profumate
La tazzina del caffè
Le sedie e gli sgabelli
Mi scoperei tutto di te
Il mondo dove vivi
L'aria che respiri, me la scoperei
L'acqua che ti bagna, me la scoperei
La luce che ti illumina, me la scoperei
La terra dove cammini, me la scoperei
Mi scoperei l'universo intero
Ogni pianeta, stella, supernova
E le costellazioni
Le galassie
I buchi neri
I soli sconosciuti
Mi scoperei l'idea di te
Il pensiero di te
Il dubbio di te
Il ricordo di te
L'assenza di te
Il vuoto di te
E tu mi chiedi perché?
Perché ti amo, sciocca.
E mi scoperei il "ti amo" di te
Ogni parola
Ogni lettera
Ogni punto e virgola
Mi scoperei tutto di te
Quello che si può e quello che non si può
E quando sarò morto
La Morte stessa mi scoperó
Le sue ossa secche
La sua veste nera
La sua falce infame
Mi scoperó
E la terrò stretta
Legata a me
Perché di te
Lei
Non possa prender nulla, mai.



venerdì 28 aprile 2017

Il Cinema di Corallo*, Vol.3, “L’ultima sigaretta di Adele”

Il Cinema di Corallo*, Vol.3, “L’ultima sigaretta di Adele”



Buio in sala.

- ‘Stavolta si parla de “La vita di Adele” - dico io.
- E perché? - chiede Nelson Corallo*.
- Per molti motivi.

Sipario.

- E’ quasi un anno che non ho attacchi di panico, ansia o rabbia. Quasi. Forse perché ho scritto “La Morte di Corallo*”, e alla fine di tutta la faccenda mi conoscevo meglio.

Se questo fosse davvero un monologo - bipolare - in teatro, ora vedreste il palcoscenico illuminato. 
Un tizio seduto alla scrivania con un computer portatile lo aprirebbe sollevandone lo schermo. 
Il tizio indosserebbe una camicia azzurrina da bravo ragazzo e un paio di jeans. 
Dalla sua ombra proiettata sul fondo ne uscirebbe un’altra. 
L’ombra seguirebbe i movimenti del tizio seduto, poi diverrebbe indipendente, alzandosi, camminando verso il lato sinistro della scena. 
Adesso vedreste due soggetti, uno alla scrivania e l’altro in piedi.

- “La vita di Adele” era al cinema mentre vivevo a Barcellona con la Liz, ottobre 2013. Una sera mi chiese di andarlo a vedere ma era già tardi. Passammo accanto alla locandina del film, con le due ragazze che si abbracciano, una castana e l’altra coi capelli blu, e tornammo verso casa…
- A fare sesso e litigare, già. Erano delle gran scopate con quella psicotica di Liz.
- Il film l’ho visto mesi dopo. Stavo ancora a Barcellona, luglio 2014. Vivevo nel terzo appartamento, quello con la finestra affacciata sul vicolo buio. Ero scappato sia da Liz che da Sabine.
- Altre scopate, altra rabbia, no?
- Sì, sesso e rabbia. 
- Cosa c’entra col film?
- Proprio questo, intanto. Che è una storia d’amore e non una di quelle stronzate che vivevo io. E poi in quel periodo avevo parecchi amici e amiche gay, volevo discuterne con loro visto che si parlava di una coppia di ragazze lesbiche. Comunque quella storia mi ha segnato. 
- Perché ti lasci sempre coinvolgere troppo.
- Ma anche perché ho odiato Adele. La ragazza protagonista del film. Ma prima di spiegare la ragione è meglio cominciare dall’inizio.

Il tizio seduto alla scrivania indossa gli occhiali e inizia a scrivere al computer.
L’altro tizio manovra un vecchio proiettore che manda immagini sul fondo.
Frammenti di film, vita reale, colori.

- Il film ha vinto la Palma d’oro a Cannes nel 2013, con Spielberg presidente di giuria.
- Fotte sega.
- Ascoltami Corallo, ti conviene.
- Và avanti, ma vedi di non sbrodolare. Alla gente piace la roba snella. Invece stai per parlare di un film francese che dura tre ore.
- A parte la palma d’oro, quel film è intelligente. Cioè, è una storia d’amore raccontata nel modo giusto.
- Io mi ricordo le scene di sesso lesbo mica male.
- Già, te le ricordi come se le ricorda un sacco d’altra gente. Ne hanno parlato tutti di quelle scene. Polemiche, curiosità morbosa, bigottismo. Anche l’autrice del fumetto da cui è tratto il film le ha contestate. Ma non è il momento adesso.
- Allora cosa?
- Adele, la ragazza coi capelli in disordine, labbra carnose, mangia di continuo… 
- E sembra un po’ rincoglionita?
- Proprio lei. Una mattina esce di casa, va a scuola in autobus, cazzeggia con le compagne di classe. Ascolta una lezione di letteratura, si parla d’amore. Anzi, si parla del sentimento d’amore.
- Beh?
- Adele non è un genio ma non è nemmeno una stupida, è una ragazza normale.
- Non è proprio normale, eh. E’ una gran figa.
- Dio Cristo, fammi andare avanti.
- Scusa.
- Adele è una liceale. E’ spettinata e si riempie la bocca di schifezze. E’ carnale, è sporca.
- Adolescente in fase ormonale.
- Esatto, e le sue compagne sono come lei. Unte, parlano di sesso usando parole zozze per sentirsi più grandi. Le dicono che deve “scopare”, le fanno notare che c’è un tipo che la guarda…
- La scena nella mensa, sì.
- Finora la cinepresa è stata stretta su Adele. Tutte le immagini riguardano lei, perché è di lei che si parla: Adele.
- Lo dice pure il titolo, e allora?
- E’ una questione di stile. Al regista interessa stare con lei, sentirla da vicino, anche se è una liceale francese qualunque.
- Ma figa.
- Fatto sta che Adele rivede il tipo della mensa in autobus. Scambiano qualche parola, si danno appuntamento per un altro giorno. Lui è carino e pure gentile. Ma sappiamo che non è lui il protagonista della vicenda.
- Eh no, serve solo come pretesto. Fico no? 
- Perché sarebbe fico?
- Perché fa vedere che anche le ragazze si scopano qualcuno tanto per, insomma, giusto di passaggio…
- Ok, Adele si prepara, esce di casa, sta andando all’appuntamento. Ma mentre attraversa la strada vede lei. 
- Emma, la tizia coi capelli blu, sbang!
- E’ il primo punto nodale del film. Ci sono solo sguardi. Adele non scambia nemmeno una parola con Emma, però nell’aria c’è già lei. C’è l’amore. Nella vita di Adele è appena entrato l’amore, capisci?
- Che c’è di tanto speciale?
- Come?! Stiamo già rispondendo a una cazzo di domanda. Esiste l’amore? Sì. Si annuncia l’amore? Sì, è già nell’aria. Anche se stai andando a un appuntamento con un’altra persona. L’amore è qualcosa che esiste al di là delle tue intenzioni. 
- Potrebbe essere.
- Adele attraversa la strada ma vede gli occhi e i capelli blu di Emma. E’ già legata a lei, “ineluttabilmente”.
- Ineluttabile, come una condanna?
- Già. 
- Ok, la vecchia teoria del colpo di fulmine. Però quel pomeriggio sta col tipo e si riempie la bocca di kebab, Adele.
- Sì, la ragazzina va a mangiare kebab perché lei ha fame. Sempre. E’ un’altra caratteristica importante, descrive il personaggio tramite azioni semplici.
- E poi vanno a scopare, lei e il tipo.
- Il giorno dopo le sue amiche di scuola sono tutte contente. “Ti si vede addosso che hai scopato, si sente dall’odore” dicono loro.
- Ma Adele molla il tipo…
- Sì, e lui ci rimane parecchio male. Le dice che lei è un’egoista.
- Già, e Adele che fa? Torna a casa, piange, mangia un quintale di cioccolata e piange ancora. Che senso ha quando le ragazze fanno così?! 
- Oltre alle lacrime e alla cioccolata c’è la scena dove Adele si masturba ripensando a Emma. Adele è stesa sul letto. Rivede mentalmente i dettagli, le schegge di memoria di una ragazza che nemmeno conosce. Si tocca e già sente quello che sarà.
- Lo fa prima o dopo essere andata a letto col tipo?
- Non mi ricordo. Non mi ricordo nemmeno quand’è che bacia sulla bocca una sua compagna di classe, nel bagno della scuola e poi quella la respinge, le dice che era solo un gioco.
- Perché l’hai odiata se Adele è tanto “femmina”?
- Te lo dico dopo. Una sera esce con un amico, vanno in un bar gay. Adele se ne sta là tranquilla, a bere una birra, ma l’istinto la chiama. Senza farsi notare esce dal locale e attraversa la strada, entra in un altro bar. Stavolta ci sono solo ragazze.
- Lesbiche?
- Lesbiche, e una ci prova appena vede Adele tutta sola.
- Già, ma arriva la tizia coi capelli blu e manda affanculo l’altra.
- Emma vede Adele da lontano, la punta. Da come si muove si capisce che ha esperienza, che in quel bar è conosciuta. Adele è buffa, Emma è sicura di se’.
- Una è femminile e l’altra è maschile?
- E’ più una questione di maturità e temperamento. 
- Una è passiva, l’altra è attiva?
- Forse, ma è sempre Adele ad andare incontro a Emma. E’ lei la protagonista, è lei che affronta il proprio destino. 
- Sembrerebbe il contrario. E l’approccio di Emma è roba che se lo facesse un uomo risulterebbe abbastanza ridicolo. 
- Perché?
- Se riguardi la scena Emma è un teppistello anni ’80, un maschiaccio che piace solo alle adolescenti.
- Già, ma Adele è un’adolescente, no?
- E’ vero. 
- Comunque l’incontro c’è stato, e il giorno dopo Emma va a prendere Adele davanti al liceo.
- L’aspetta fuori con aria da bullo.
- Emma e Adele si siedono su una panchina. Parlano di filosofia, musica, arte. Si conoscono.
- E fanno sesso come due animali.
- No, cazzo, no.
- Come no?
- Corallo, stai attento. Si baciano. Capisci?
- Certo che si baciano, e allora?
- Si baciano e dietro c’è il sole. Proprio dietro le loro teste, mentre muovono le labbra, quel sole esce dalle loro bocche. Raggi di sole in un bacio, Cristo di Dio! E’ una scena epocale, Corallo. E-po-ca-le. 
- Anche la parte del sesso è importante. Si leccano, sudano, scopano di brutto. Sembra che puoi toccarle, c’è carne ovunque nelle inquadrature. 
- Pare che il regista abbia speso un sacco di tempo per girare quelle scene. 
- Eh…
- Pare che le abbia fatte sfiancare a posta, che volesse quell’effetto estenuante. Sì, sono due scene di sesso “estenuante”.
- Forse perché era un porco.
- Forse perché in un film che dura tre ore e che parla di una passione amorosa è necessario far vedere anche quello.
- Peccato non averlo visto al cinema. Saremmo andati con la Liz, come avrebbe reagito?!
- Non lo sapremo mai. Comunque, ci sono altre due scene importanti. Anzi fondamentali. La cena a casa dei genitori di Emma e la cena a casa dei genitori di Adele.
- Emma è ricca.
- Di sicuro è borghese. La madre è bella e curata, il patrigno forse si occupa d’arte o qualcosa del genere. Mangiano ostriche, sanno che la figlia è lesbica e non è un problema. Francesi di cultura superiore e forse snob. Più che altro è la madre di Emma, quando chiede ad Adele cosa vorrà fare “da grande” e lei risponde “l’insegnante”, a guardarla schifata. Adele non ha grandi aspirazioni, Emma sì. E poi c’è la cena dai genitori di Adele, gente semplice. Il padre prepara gli spaghetti al sugo e dice che l’arte non è roba seria, meglio trovarsi un fidanzato e un lavoro vero. 
- Ho già capito, aspirazione borghese contro proletariato. Ancora la lotta di classe, ma che cazzo…
- Non ho detto questo, Corallo. E’ il film che sottolinea questo aspetto, non io. E’ il regista a farlo. E sarà uno dei punti che manderà tutto a farsi fottere.
- Cosa?
- La questione delle ambizioni. Emma frequenta gente che potrebbe farle fare carriera, mentre Adele diventa insegnante e le va bene così. La nostra ragazzina sta bene, non chiede altro, non aspira ad altro che vivere l’amore per Emma.
- Ma Emma poi inizia a spingere, no?
- Inizia a guardare Adele con aria di superiorità, le dice che dovrebbe fare qualcosa di più nella vita. 
- Già.
- Mentre Adele ama Emma semplicemente perché è Emma, Emma ama Adele per come vorrebbe che fosse. Hai capito?
- Poco.
- Emma sminuisce Adele perché si accontenta di poco. C’è un’altra sequenza dove si vede bene questa differenza, dove si capisce la rottura tra loro due. Alla cena in giardino.
- Sempre durante le cene succedono ‘ste cose?
- Si vede che i francesi prendono le decisioni a cena.
- Allora vedi che non si parla d’amore?!
- Corallo, che cazzo dici? E’ dall’inizio che si parla d’amore!
- L’amore si ferma in base al lavoro che uno fa? L’amore è spezzato dalla differenza sociale? 
- E’ la prima volta che fai una domanda intelligente, Corallo.
- E’ del tutto involontaria a essere onesto.
- E quando mai sei stato onesto, tu?
- Mai.
- Quindi hai fatto una domanda intelligente senza accorgertene?
- Probabile che sia così.
- Bravo, Corallo.
- Grazie, ma finiamola qui. Non sono abituato a sentirmi dire “bravo” o roba del genere. Nelson Corallo* deve restare cinico fino alla fine, lo sai.
- Tranquillo.
- Quindi? L’amore perde di fronte alla carriera? L’amore si ferma davanti alla convenienza sociale? E’ questa la cazzo di questione del regista?!
- Di sicuro è la seconda questione nel film. L’amore esiste, ok, arriva, ti cerca, ti prende, ti lega. Ma va avanti? 

Forse servirebbe un cambio di luci sul palco. Magari uno scambio di posizione tra i due soggetti. Non lo so.

- E’ passato del tempo, Adele ed Emma sono una coppia, vivono in un bell’appartamento. Una fa la maestra, l’altra dipinge e aspira a grandi cose.
- L’abbiamo già detto.
- Emma è sempre più occupata col lavoro. Non torna a casa la sera, frequenta una ex che potrebbe aiutarla a fare carriera. 
- Trascura Adele, ok.
- E’ per questo che la nostra ragazzina accetta l’invito a uscire con un collega di lavoro. Per la prima volta si stacca da Emma, va a bere e ballare.
- Una gran scena, si sentono gli ormoni nell’aria, e Adele si muove benissimo…
- Adele inizia a scopare di nascosto col collega. Fino a quando Emma non la scopre. E tutto crolla.
- La chiama puttana, la prende a schiaffi, la caccia di casa.
- La sbatte fuori, subito.
- Senza pietà.
- Senza nessuna pietà.
- E’ per questo che hai odiato Adele? Perché è una puttanella che va a scopare in giro quando si sente trascurata?
- In realtà è dopo questa scena che arriva il mio odio per lei. Cioè quando Adele inizia a soffrire per la perdita di Emma. 
- Non dovrebbe?
- Cristo Santo, Adele soffre. Soffre ogni giorno, soffre tra gli alunni, soffre nella pioggia, soffre al mare, soffre alla festa di fine anno della scuola. Adele soffre costantemente per Emma.
- Beh?
- Ecco perché l’ho odiata. Mentre vivevo a Barcellona e vedevo quel film, dopo un milione di storie malate, ancora non capivo perché fosse finita una storia che per me era importante… 
- Oh merda! Ancora la questione della brunetta?!
- Già.
- Ma puttana eva cazzo, tutto questo discorso sul film è una trappola? Vuoi tornare a parlare dei cazzi tuoi?! Ancora!
- L’arte serve a elevarci e poi tornare a noi stessi. Il compito dell’arte è smuovere qualcosa. L’arte serve a risolverci, cazzo, altrimenti è intrattenimento.
- E vuoi tornare a dare la colpa a me? Alla tua ombra?! A Nelson Corallo* l’infame?!
- No, Corallo, stavolta no. 
- E allora, cosa?
- Se mi sentivo come Adele riguardava solo me. 
- Grazie per l’ammissione di colpa indipendente dal lato corallino.
- Semmai la parte che riguardava te era il tradimento come soluzione temporanea a risolvere le cose, a cazzo di cane.
- Sì, questo lo accetto.
- Odiavo Adele perché, come lei, non capivo cosa fosse accaduto. Non capivo perché una passione tanto grande si fosse spezzata in modo così irrevocabile. Senza nessun tentativo di risanarla, non concepivo potesse accadere, capisci? 
- Tu frequentavi ragazze che ti trattavano come roba “usa e getta”, e a me andavano bene, lo sai. 
- Sì.
- Vedevano solo il lato corallino. La parte disimpegnata, no? 
- Già.
- Perché loro erano “Emma” e ti facevano sentire come “Adele”.
- Porco cazzo, sì. 
- Ma è storia vecchia! Siamo andati oltre ‘ste puttanate! Addirittura io non ci trovo più gusto…
- Non sto dicendo che ora vivo così. 
- Quindi?
- Sto spiegando perché in quel momento ho odiato Adele.
- E dillo!
- Perché non volevo accettarla, Cristo Santo! Non potevo vedere il suo dolore altrimenti avrei dovuto vedere il mio, capisci? E ho provato a ribaltare la cosa, a fingere di essere diverso, più razionale, più concreto e più cinico. Ti ricordi?
- Ricordo che all’inizio ci è andata bene. Scopavamo di brutto così. Poi mi hai impedito di fare altre cazzate, e mi hai fatto pure “morire”.
- Dovevo fermarti, Corallo. Mi stavi trascinando troppo a fondo, e lo sai.
- Lo ammetto. Ma è la mia natura. Io vivo sul fondo.
- Ho odiato Adele perché nel suo amore totalizzante ci ho visto qualcosa di me. 
- Sfigato.
- Le poche volte che mi sono innamorato ho sentito lo stesso sentimento devastante. 
- Che cazzo di errore, eh?
- Fino a un certo punto, Corallo. 
- Per me è un errore grave. Anzi, gravissimo.
- Che merito avrebbe trattenersi? Eh?! 
- Il merito di non farsi fottere.
- E’ solo cinismo. 
- E’ una questione di sopravvivenza, fratello.
- Già, la sopravvivenza. Vuoi vedere che adesso smonto la tua teoria di merda?
- Provaci.

Questo potrebbe essere il momento in cui il tizio seduto alla scrivania si toglie gli occhiali e si alza. Inizia a fumare una sigaretta. L’altro si siede al suo posto, con le braccia conserte.

- Mettiamola così, Corallo. Se ti dicessi che tutte le volte che ci siamo drogati, abbiamo bevuto, scopato e fatto risse…
- Bei tempi.
- Se ti dicessi che ogni volta che abbiamo spaccato, perso la testa mentre eravamo diabolici, invasati, pazzi, proprio in quel momento avremmo dovuto trattenerci?! Che euforia sarebbe stata? 
- Eh, porca troia.
- Esattamente come Adele. Lei ama, e mentre lo fa non aspira ad altro che amare. E quando soffre, soffre. Che senso avrebbe una mezza misura? Anche se poi va a sbattere contro una verità fin troppo umana, rappresentata da Emma.
- Cioè?
- Certe persone, uomini o donne, etero o gay - non importa il genere o la preferenza sessuale - non sono capaci di andare in profondità. L’amore è una scelta che dura nel tempo anche se non ci sono garanzie. E parliamoci chiaro, Emma non vedeva l’ora di liberarsi di Adele per rimettersi con la ex.
- L’avrebbe aiutata a esporre i quadri, certo.
- Esatto, Emma fa fuori Adele per convenienza.
- Sì.
- E mentre la nostra ragazzina piange, l’altra si sistema. Nel film si capisce che passa qualche anno, e poi si rincontrano in un bar. 
- Adele si fa mettere una mano tra le cosce…
- Adele tenta di sedurre Emma che confessa di non aver mai provato la stessa intensità con nessun’altra. Neanche con la compagna con cui sta in quel momento…
- La tizia della galleria d’arte?
- Proprio lei. Ricca, introdotta nell’ambiente, vincitrice.
- Vincitrice di che?
- Ah, non lo so. Vincitrice del premio “borghesia francese”, forse. 
- Finisce così il film?
- No, manca ancora un pezzo alla fine di tutta la faccenda. E’ passato altro tempo. C’è l’inaugurazione della mostra di Emma. Adele va alla galleria, si presenta con un vestito azzurro, lo stesso colore dei capelli di Emma quando erano innamorate. Ora ce l’ha addosso Adele quel colore. 
- Emma è felice?
- Emma è ingrigita, con un velo di stanchezza negli occhi, e non ha più quell’aria da teppista che aveva all’inizio. Non ha più colore, in fondo. 
- E Adele?
- Le parla, le fa i complimenti, poi qualcuno le interrompe. Adele gira tra i quadri, beve qualcosa, saluta un tizio conosciuto la sera della cena in giardino. E’ il ragazzo che faceva l’attore e che nel frattempo ha rinunciato alla carriera artistica. Adele gli parla ma è distratta, esce dalla mostra. Esce dalla vita di quelle persone. Adele cammina, va via, si accende una sigaretta.
- L’ultima sigaretta.
- Quella sigaretta, fumata camminando, è il momento di rottura definitivo.
- Intanto il tizio prova a richiamarla indietro, la insegue, sbaglia direzione…
- Adele fuma, volta le spalle, è cresciuta.

Silenzio.

- Hai finito?
- Ti pare poco?
- Mi pare normale. E’ la presa di coscienza di un mondo dove la convenienza vince sui sentimenti. 
- E’ mostruoso.
- Forse.
- Corallo, che vorresti dire?
- Innanzitutto che è un film, come tale è opera d’ingegno di un essere umano, quindi limitato e fallibile. 
- L’arte è rappresentazione di un segmento della vita. L’arte prova ad andare dal singolare all’universale, e cerca risposte esistenziali. Questo film, secondo me, ci riesce.
- Ma con tutti i limiti di una struttura narrativa. E ci sono troppe proiezioni da parte tua, che riguardano te stesso e le tue relazioni con certe ragazze. Posso essere d’accordo che Emma è una stronza borghese che preferisce la carriera all’amore, ok, te la lascio. Magari è succube di quella stronza snob di sua madre, magari è più vittima di quanto noi non possiamo sapere. La vita è un sacco di cose che non possiamo sapere, e Adele è una bamboccia senza prospettive.
- Cazzate coralline…
- No, sono realista. Che ti credi? La gente si mette assieme ad altra gente per necessità. Proprio come fanno gli animali: per assicurarsi cibo, casa e sesso sicuro. La gente è pragmatica. 
- La gente è un concetto astratto.
- Diciamo la maggioranza delle persone, ok?
- Và avanti.
- Prendi noi due, per esempio. 
- Io e te, Corallo?
- Proprio noi. Ti sei dimenticato che fino a un anno fa eravamo incapaci di fare mezzo programma che si potesse considerare realistico?
- In effetti.
- Un anno fa - mi fa ridere solo pensarci - stavi finendo “La Morte di Corallo*” ma vivevi ancora storie a metà.
- Già.
- Figuriamoci se potevi costruire una relazione profonda, o no?
- Merda.
- Bravo, tocca a te adesso. Tante chiacchiere, scopate e puttanate! Lo sai che spingo per questa roba fino in fondo. Sono il primo a scegliere l’incertezza alla quiete. E lo hai detto pure tu: solo perché da un po’ di tempo faccio il bravo non significa che io sia una brava persona. Anzi, in fondo faccio schifo come al solito. E certi giorni mi fotterei il mondo, detestandolo e poi pisciandoci sopra. Ma ho imparato ad aspettare. E pure tu.
- Corallo, pensi di essere originale?
- In che senso?
- Quando te ne esci con ‘ste cose tipo “mi scoperei il mondo etc. etc.”, pensi di essere l’unico? E’ pieno di personaggi come te là fuori. Adolescenti, arrivisti, incazzati. Il mondo è più simile a te che a me. Ti vedo ovunque abbaiare con la bava alla bocca, senza credere a nulla, tranne al profitto istantaneo.
- E’ vero. Ma almeno io lo ammetto. Noialtri siamo quelli che vogliono la felicità subito e a poco prezzo. Zero domande, zero approfondimenti. Non siamo mica nati per amare. L’amore di Adele è imprevedibile. L’amore in generale è un rischio senza garanzia. Perché stare appesi a un sentimento sapendo che potrebbe finire da un momento all’altro? E con l’ansia costante del fallimento?!
- E’ difficile.
- Appunto, è difficile. Non puoi biasimarmi se scelgo la parte più conveniente pur di campare, come fa Emma.
- Stai parlando di Emma nel film o della brunetta nella realtà?
- Di entrambe, cazzo. E se pensi che la “tua” brunetta avrebbe dovuto preferire te a quell’altro, che magari è un tipo a posto, tranquillo, coi soldi, non bipolare, non dissociato, non pazzo come noi, ti sbagli. Ti sbagli fottutamente!
- Come puoi dire una cosa del genere, Corallo? Che fine ha fatto l’orgoglio?
- L’orgoglio ce l’ho ancora. Ma non sono scemo. A forza di aspettare ho capito anch’io qualcosa, che ti credi? 
- E cos’hai capito?
- Quello che ho detto prima. La gente razionale sopravvive. Dovremmo fare come loro, e meglio di loro.
- Ma io e te non siamo razionali, Corallo. Tu sei un’idea malata. Sei il prodotto della mia oscurità.
- Appunto! Ma ti accorgi che non è facile né divertente starci appresso? Noi siamo destinati a prendere quel che viene, quando viene e solo se viene. Stop.
- Una volta la brunetta mi ha detto di aver fatto un sogno…
- Oh, cazzo, tiri in mezzo pure l’inconscio! Non ti bastano il cinema e il teatro?
- Era quando ci frequentavamo e passavamo la notte assieme, da lei. Avevamo già litigato un paio di volte ma non s’era ancora rotto il meccanismo. Mi disse di aver sognato di stare sul tetto di un palazzo, in città. Aveva paura per le vertigini. Con lei c’erano due suoi amici, una coppia nella vita reale. La donna le diceva di non sporgersi, di stare ferma, di non saltare. L’uomo invece la incoraggiava. Lei stava là, indecisa su chi dare retta. Non riusciva a muoversi. Poi sul tetto compariva un tale che indossava jeans e una felpa grigia col cappuccio, come me quel giorno. Il tale prendeva la rincorsa e saltava giù dal palazzo. Saltava senza paura. E si poi schiantava sull’asfalto.
- Oh, merda.
- Mi disse che il tale si spappolava per terra, nel sogno. C’era sangue dappertutto. Lei si sentiva male per lui. Ma succedeva un’altra cosa. Il tipo si rialzava, si rimetteva a posto e tornava sul tetto. Già, tornava accanto alla brunetta e le diceva “Stavolta mi è andata male, ma ci riprovo lo stesso”. E fine del sogno.
- Beh?
- Come beh? E’ stato un momento importante. La brunetta ha “visto” che fine avrei fatto. Ha intuito tutto di me, il mio percorso di autodistruzione e rinascita. 
- E’ molto carino, ma è sempre l’interpretazione di un sogno, esattamente come l’interpretazione del film.
- Lasciamo perdere un attimo il film, ok?
- Ok.
- Ragioniamo sotto un altro aspetto. Parliamo di massimi sistemi. Per prima cosa, l’amore esiste?
- Sì, credo di sì.
- E cos’è l’amore, Corallo?
- L’amore è tante cose. Più che altro siamo noi ad essere fottuti mentre l’amore agisce. In quel momento esistiamo in funzione di chi amiamo, e siamo speciali.
- E poi?
- E’ come un terremoto che si assesta. 
- Che significa?
- Quello che ho detto. Dopo il primo momento si torna coi piedi per terra. E si fanno i calcoli che riguardano la vita di tutti i giorni. Cioè la cazzo di sopravvivenza, come gli animali.
- E non siamo più speciali?
- Non così tanto.
- La nostra specialità risiede nell’amore che riusciamo a mandare avanti? 
- Potrebbe, ma è difficile. Ci sono un sacco di bordelli nel mezzo.
- Ma se uno fosse più forte dei bordelli, potrebbe continuare ad amare?
- In teoria sì.
- E come?
- Tramite l’affetto. 
- Quindi l’affetto è un fattore basico dell’amore?
- L’affetto è la cosa che ci distingue dalle cose inanimate. Anche gli animali provano più affetto di quanto possiamo immaginare. Magari anche le piante si vogliono bene. Di certo un frigorifero non prova affetto per un tostapane, no?
- Sì, l’affetto ci distingue dagli elettrodomestici. Tornando al film, Adele ama Emma. Il problema è che Emma a un certo punto molla il colpo e va avanti senza di lei.
- Certo, e lo sai perché?
- Perché?
- Semplicemente perché funziona. Pensaci: non si può vivere senza bere, senza mangiare o senza aria, ma si può sopravvivere senza amare. L’importante è andare avanti, e magari mettere al mondo qualcuno che prenda il nostro posto. Ci sono milioni di marmocchi nati senza che i genitori si amassero, no?
- Che vorresti dire?
- Che siamo tutti sostituibili, nessuno è indispensabile, nessuno. Moriremo tutti, saremo rimpiazzati, la vita andrà avanti lo stesso. La condizione umana è crudele: sappiamo oggettivamente di non essere speciali, tranne per quelle poche persone che ci considerano tali. Siamo speciali in funzione di qualcuno, non in assoluto. Siamo i pidocchi del mondo. E allora che frigni a fare?! Se lo sai, prenditi quel poco che c’è e fattelo andare bene! Soldi, casa, cibo, sesso, e via…
- La tua teoria potrebbe mandare avanti il mondo, Corallo.
- Lo so benissimo.
- Ma è la fine dell’umanità. Senza empatia siamo poco più che elettrodomestici, e ci meritiamo di essere rottamati senza garanzia di restituzione. A forza di togliere affetto alle persone, quelle perdono di specialità e diventano numeri. E i numeri sono più facili da eliminare. Li prendi, gli rasi i capelli, gli stampi una cifra sul braccio, gli tiri un colpo di pistola in testa…
- Sei troppo drammatico, perché devi tirare in mezzo i nazisti?
- E’ la verità, coglione. E mica solo coi nazisti. Il ragionamento che fai tu è alla base di ogni sterminio. Se togli l’affetto, non resta nulla di umano. E se non c’è nulla di umano, allora affondi le barche in mare, sganci missili sui villaggi, tiri il gas tra le strade, e poi conti i numeri. Cristo Santo, come fai a non capirlo?
- Anche se lo capisco, cosa c’entra con l’amore? Cosa c’entra con la vita di Adele?!
- C’entra, Corallo, perché è partendo dai rapporti più intimi con le persone che ci stanno attorno che noi valutiamo il mondo. Se riesci a disfarti di un amore basandoti su un calcolo tra guadagni e perdite, sei capace anche di fare il resto. 
- Esageri, ma hai anche ragione. La base della malvagità umana sta tutta lì. Bravo, sei diventato più furbo.
- Non sono furbo, testa di cazzo. Ho solo capito che nella nostra precarietà, chi più chi meno, non vogliamo solo sopravvivere ma dare un senso ai nostri giorni. A meno che tu non sia un malato di mente, un figlio di puttana, un cane di merda che vuole lo sterminio dell’umanità, dovresti aspirare ad amare chi ti sta a fianco. Anche facendo uno sforzo, Cristo Santo!
- Ma devi per forza amare qualcuno per dare un senso ai tuoi giorni? Potresti costruire un ponte, vincere un reality, fare una rapina in banca. Anche quello ti darebbe un senso!
- E’ proprio questa la differenza tra te e me, tra Adele ed Emma, tra razionalità e sentimento. Noi sappiamo che si muore, ma se dovessimo scegliere tra vivere cent’anni come elettrodomestici oppure 365 giorni come esseri che hanno un cuore, ‘fanculo, sceglieremmo la seconda ipotesi.
- E vivere cent’anni scopando e godendo?
- Lo sai che è impossibile. 
- Facevo un’ipotesi divina.
- Noi siamo mortali.
- Parla per te, io sono diverso. 
- Sì, Nelson Corallo*, il personaggio letterario è diverso: sei una cattiva idea, tu.
- Un’idea si propaga all’infinito, se funziona. E viviamo in un mondo dove ho più ragione io che tu. Comunque è vero, morirai si-cu-ra-men-te.
- Sì, come tutti gli altri.
- E allora? Che decidi di fare?
- Salgo in cima a quel palazzo. Lo stesso dove mi ha messo la brunetta in sogno. Sono lassù proprio ora, fumo un’altra sigaretta come Adele che va avanti nonostante la merda, e al momento giusto salterò nel vuoto. Semmai a costo di spappolarmi. Mi ricorda anche la conclusione di “Vanilla Sky” ora che ci penso. E tu, Corallo, che farai?
- Te l’ho detto, ho imparato ad aspettare.
- Sono io che ho imparato a farti aspettare, è diverso.
- Va bene, fratello, va bene. Staremo a vedere. Niente episodio corallino a ‘sto giro?
- No, ‘stavolta no, va bene così.
- Cristo Santo, ci vuole troppa pazienza!
- Volevi essere speciale ad ogni costo, Nelson Corallo*, e ora lo sei.
- Cioè?
- In questa attesa, senza sapere come andrà a finire, siamo tutti speciali. L’umanità intera è sul tetto di un palazzo, pronta a fare quel balzo nel vuoto, ancora, ancora e ancora. E’ da secoli che aspetta il suo momento, ne sono certo. Anche se ogni tanto si dimentica e ascolta le tue idee coralline di merda, in fondo l’umanità sa che vivere, e pure morire, vale la pena. Se alla fine si ama.

Buio.
Applauso.
Sipario.